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L'integrazione dei social all'interno delle aziende

Innanzitutto per diventare un’organizzazione sociale non è sufficiente implementare i servizi offerti dai social media nella speranza che si formino spontaneamente comunità collaborative. Il modello cosiddetto “provide-and-pray”, infatti, non cogliendo le reali necessità del sistema e non sfruttando appieno le risorse del management, renderebbe vano ogni sforzo collaborativo. La solo presenza sui social media non è sufficiente ed è pertanto necessario seguire un approccio che delinei la giusta via per utilizzare i social media strategicamente permettendo all’impresa di divenire un’organizzazione sociale in grado di replicare i successi nel tempo. E’ indubbio che questo approccio non garantirà automaticamente il successo, in quanto ogni tipologia di business ha le proprie definizioni, i propri mercati di riferimento e le proprie risorse. Esso, d’altra parte, può solamente mostrare all’impresa un nuovo significato di comando e controllo dei media sociali ovvero una via che attragga i vantaggi ed allontani gli svantaggi. Si tratta dunque di un modello flessibile e non di una serie di predefiniti e specifici passi atti al raggiungimento di un risultato, da seguire esattamente come descritti o nell’ordine dato. Esso deve essere interpretato come una guida verso il successo nella corretta ed efficiente gestione dei social media in cui le azioni descritte possono essere implementate, quando ha senso implementarle e non in momenti specifici già delineati a priori.

In primo luogo, al fine di permettere alla comunità collaborative di creare valore economico per l’impresa è necessario sviluppare una visione globale. Sono quattro i punti chiave a cui rispondere per raggiungere tale scopo:

1. Comprendere quando la collaborazione delle comunità è necessaria: essa infatti non è la risposta ad ogni sfida collaborativa. L’organizzazione potrebbe infatti esporsi a rischi significativi utilizzando in maniera inappropriata la collaborazione delle masse. Sviluppando una vision, dunque, un’organizzazione deve capire chiaramente le tipologie di problemi da risolvere e le opportunità che una community può apportare per creare valore economico;

2. Sapere dove una comunità collaborativa può raggiungere migliori performance. Se l’organizzazione ha già sperimentato qualche forma di collaborazione di massa, occorre analizzarla per comprendere le ragioni del successo o del suo eventuale insuccesso. Altrimenti è utile confrontarsi con quanto stanno facendo i competitor o anche con benchmark individuati in aree di business diverse dalla propria;

3. Schematizzare gli obiettivi e la cultura dell’organizzazione: per raggiungere maggiori livelli di capacità, infatti, è necessario esaminare con attenzione gli obiettivi aziendali indicando alle comunità collaborative il “terreno di gioco”. Inoltre, è importante conoscere la propria cultura aziendale fin dall’inizio nonché la propria attitudine nei confronti dell’utilizzo di media sociali;

4. Specificare la visione che dovrà guidare la collaborazione fra i membri della community. Rendere nota la propria visione organizzativa sviluppando, ad esempio, un manuale che faccia conoscere alle comunità le aree specifiche in cui esse possono supportare l’impresa nella creazione di valore. La redazione di uno statuto è il cuore della visione in quanto renderebbe tangibile il senso della collaborazione di massa mostrando chiaramente le via attraverso le quali l'organizzazione persegue i propri obiettivi.

Nell’insieme questa vision rappresenta la definizione delle aspettative che l’impresa ha sul futuro di un’organizzazione in cui la partecipazione delle masse collaborative forma l’intero modello.

La vision di cui si è discusso fino ad ora deve essere necessariamente accompagnata da una strategia finalizzata alla gestione delle masse collaborative in modo da estrapolarne i benefici e far si che si crei veramente valore economico per l’impresa. Per costruire una

buona strategia è indispensabile, in primis, stabilire come selezionare, tra la moltitudine di comunità che si sono formate una volta stabilita la vision, quella che l’organizzazione può seguire al meglio. In secondo luogo si dovrà determinare quando e dove investire o se investire nuovamente in specifiche comunità collaborative piuttosto che in altre. Infine, sarà essenziale costruire un modello di allineamento delle stesse. Tuttavia le comunità collaborative non potranno raggiungere delle buone performance e sfruttare appieno il loro potenziale in completa autonomia. Inoltre l’adattamento tra la struttura organizzativa e la collaborazione di massa potrebbe essere un problema di non facile risoluzione. Perciò, il management, oltre a guidare le comunità, dovrà assicurarsi che l’intera organizzazione nonché il contesto in cui opera, possa supportare la collaborazione di massa evitando di lasciare lacune di obiettivi.

Fino ad ora è stato descritto il processo attraverso il quale un’organizzazione può diventare un’organizzazione sociale: focalizzarsi su una visione, implementare una strategia ed adattare il tutto al contesto di riferimento. Una volta preso atto delle proprie potenzialità e capacità in via generale è necessario addentrarsi nella reale gestione di quelle comunità che permettono l’evolversi dell’organizzazione.

Innanzitutto, essendo lo scopo il motivo cardine per cui le persone collaborano, è importante perfezionarlo in itinere. Attraverso il concepimento di una mappa, ad esempio, sarà possibile visualizzare una serie di obiettivi intermedi concatenati tra loro che favoriscono il raggiungimento dell'obiettivo finale. In sostanza si deve cercare di allineare di volta in volta il proprio obiettivo con le evoluzioni che susseguono all’interno dell’organizzazione e delle comunità. Questa mappa servirà per far crescere, far evolvere e mantenere attiva la comunità.

Il secondo step, riassumibile nella parola “lancio”, prevede il passaggio della community dalla fase concettuale nutrita da scopi ed opportunità alla realtà di business. Essa, ad esempio, può disciplinare, tramite un’esatta descrizione, il modo in cui i membri della community dovrebbero interagire e come l’ambiente potrebbe assicurare un’utile e significativa esperienza. I managers che sponsorizzano la formazione di queste comunità collaborative saranno anche responsabili del risultato da esse raggiunto. Per questo motivo, una volta creata ed immessa nella realtà dell’impresa, la community dovrà essere guidata: il manager dovrà sostenere delle forme di controllo atte a direzionare l’attenzione degli

individui continuamente sullo scopo principale in modo da rendere l’operato efficiente. (Marco Minghetti, 2012)