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Come misurare i social media

Capitolo 2 L'uso dei Social Media in banca

2.12 Come misurare i social media

Ogni manager quando deve decidere se intraprendere una iniziativa o una attività investendo capitale, vuole poter prevedere e misurare i risultati che può ottenere. Questa logica viene applicata anche per i social media e sorge spontaneo chiedersi quale sia il loro ROI. La

domanda su quale sia il R.O.I. (Return on Investment) dei social media sta diventando ricorrente tra i professionisti del marketing e delle relazioni pubbliche. In realtà posta in questi termini la questione diventa impossibile da redimere, non per incapacità, ma perché è la domanda ad essere sbagliata. Proviamo ad analizzare il tema.

Con l’acronimo R.O.I. viene indicata una semplice formula per il calcolo della profittabilità del capitale investito. E’ generalmente usata come indice di bilancio delle aziende, ma viene anche impiegata per misurare singoli investimenti. Si tratta di una metrica prettamente finanziaria facile da calcolare se si sanno identificare gli elementi che compongono il numeratore (profitto ossia guadagno lordo meno costo dell’investimento) e il denominatore (costo dell’investimento).

I social media come abbiamo visto sono tutti quei servizi web-based (i blog, i social network, YouTube, ecc…) che rendono possibile la socializzazione sia del trasporto che della trasformazione del messaggio, ossia che permettono a chiunque di essere soggetto attivo della comunicazione. Quindi, se ci pensate bene, è come chiedere quale sia il R.O.I. dei mass media ossia di una serie eterogenea di media. Ma anche restringendo l’indagine ad un solo medium sociale, ci si troverebbe di fronte a qualche problema. In effetti anche la domanda “Qual è il R.O.I. di Facebook?” non è corretta. Sarebbe come chiedere “qual è il ritorno dell’investimento del telefono”. La richiesta andrebbe riformulata in modo da comprendere la specifica attività posta in essere, dalla quale ci si attende un risultato finanziario, e il tempo di riferimento nel quale si espleterà. Ad esempio: “qual è il R.O.I. della gestione della presenza su Facebook per il primo semestre del prossimo anno?” oppure “quale R.O.I. ci si può attendere dallo spostamento del 10% delle risorse dal call center

tradizionale al customer care via Facebook, nel prossimo trimestre?”.

3.342 social media marketer di tutto il mondo interpellati da MarketingSherpa dichiarano di aver calcolato il R.O.I. delle loro attività. Un quarto dice di aver raggiunto un indice del 100%, quindi il punto di pareggio tra investimenti ed entrate, mentre il 12% ritiene di essere arrivato al 200%. Ma quali sono i valori che includono nel calcolo del ritorno dell’investimento?

Si scopre che, al numeratore, il 62% considera il valore effettivo delle vendite generate dai programmi di social marketing, il 49% il valore stimato dell’incremento di traffico al sito web generato dalle attività social, il 47% il valore stimato delle nuove opportunità generate. Poi ci sono quelli che azzardano una stima del valore dei fan e dei follower (34%) o del sentiment e dell’awareness (24%). Solo il 13% considera la riduzione di costo del servizio clienti e dell’acquisizione di clienti determinato dall’introduzione dei social media. Inoltre si scopre che le organizzazioni che considerano quest’ultimo elemento nel calcolo sono anche quelle più strutturate e nella fase avanzata di utilizzo dei nuovi media. Alla domanda su quali siano i costi che vengono posti al denominatore, il 66% risponde quelli dello staff dedicato alle attività sui social media, il 48% quelli della pubblicità sui social media, il 31% l’implementazione o le licenze delle applicazioni sui social media, il 29% i compensi per agenzie e consulenti, il 28% indica i costi per lo staff non prettamente marketing, il 25% il costo di contenuti creati da soggetti esterni all’organizzazione. La survey mette in luce che sono soprattutto le aziende con un approccio strategico al social media marketing a considerare i costi di staff nel calcolo del R.O.I. Probabilmente perché, a differenza di quelle che si trovano in uno stadio di uso tattico dei nuovi mezzi, comprendono quanto sia importante il lavoro delle singole persone per il successo delle attività sui social media. Un’analisi di IBM e comScore sulle vendite del cosiddetto “Cyber Monday” del 2011 (il giorno in cui tradizionalmente inizia lo shopping online natalizio dopo il giorno del ringraziamento) ha rivelato che 7 milioni di dollari di venduto, lo 0.56% di tutte le vendite online del giorno, sono direttamente attribuibili ai social media. E’ bene sottolineare che il R.O.I. è soltanto uno dei tanti indici di risultato (o Key Performance Indicator) che si possono misurare e che non tutte le attività attraverso i social media devono necessariamente essere misurate in termini di ritorno finanziario sull’investimento. Quelle di relazione con gli opinion leader della rete, la gestione di una

crisi attraverso i social media, la gestione della presenza online per produrre awareness, non sempre possono essere direttamente legare ad un risultato finanziario. Dunque la questione del ritorno finanziario dell’investimento nei social media è più rilevante per quelle aziende che vedono le attività social come mere campagne media, come attività di marketing a sé stanti e di breve respiro, scollegate dai complessivi obiettivi di business. Ciò non vuol dire disconoscere il ruolo della misurazione, tutt’altro. Significa acquisire la capacità di creare un programma strategico e un framework di misurazione subordinati al raggiungimento di obiettivi di alto valore aziendale. In definitiva dare al ROI un significato più ampio e di lungo periodo. Ad esempio se l’obiettivo più elevato è migliorare le performance finanziarie aziendali e il servizio clienti, si può studiare un’attività attraverso i media sociali, che riduca le richieste al call center tradizionale. Un team di supporto su Twitter può essere creato e misurato su tre livelli. A quello più basso attraverso la percentuale di problematiche risolte attraverso la piattaforma di microblogging. A livello di business attraverso la riduzione del traffico al call center tradizionale. Al livello più alto misurando la diminuzione di costi dell’operazione di spostamento di alcune risorse dal call center tradizionale a Twitter e la soddisfazione dei clienti (vedi immagine numero 8).

Immagine numero 8 La piramide del ROI

Social Media ROI – Vincenzo Cosenza

Insomma è tempo di superare la fase dell’uso tattico dei social media, smettere di accumulare fan e follower senza costruire relazioni. Per sopravvivere in un mercato globale e sempre più competitivo sta ai manager più illuminati integrare gli strumenti di rete nelle

pratiche quotidiane e progettare attività sui nuovi media che abbiano un obiettivo di business e che siano misurabili anche in termini di metriche di business, non necessariamente finanziarie.

(Vincenzo Cosenza, 2014) (Olivier Blanchard, 2012) 2.13 Criticità

Se è vero che i social media offrono molte opportunità, è anche vero che nascondono diverse criticità e ostacoli. Affinchè le tematiche social diventino davvero mainstream nel settore bancario tali ostacoli devono essere superati.

La regolamentazione è il primo di questi: pochi settori sono molto regolamentati quanto quello finanziario. Le banche, soprattutto quelle presenti in diversi paesi, sono generalmente tenute a rispettare un crescente e complesso insieme di regole locali e internazionali. Dunque, potrebbe sembrare controintuitivo chiedere per il settore maggiore regolamentazione e orientamento. Tuttavia questo è proprio quello che serve per rispondere alla crescente diffusione dei social media nel settore bancario. Le banche sono preoccupate del fatto che, con le scarse linee guida fornite dal regolatore sull’utilizzo dei social media, le proprie attività social possano entrare in conflitto con la regolamentazione futura o prevedere dei controlli da parte delle associazioni dei consumatori. L’introduzione di canali alternativi di comunicazione con la clientela, come i social network, ha fatto emergere nuove criticità riguardanti la gestione delle tematiche di sicurezza informatica e soprattutto della privacy. La comunicazione attraverso i canali social, come per internet, rende necessaria una delimitazione delle responsabilità del titolare del trattamento dei dati e la trasparenza nel trattamento dei dati personali, tutelando la riservatezza delle informazioni e adottando misure adeguate per garantire la sicurezza informatica. Il regolatore riconosce ormai la necessità di un sistema di controllo più approfondito, in particolare sui social media, perché i rischi connessi (come ad esempio le potenziali truffe e l’errata consulenza per investimenti finanziari), sebbene fossero un tema da contrastare in un settore altamente regolamentato come quello dei financial services ancor prima dell’avvento dei social media, si sono acuiti per la velocità, l’accessibilità e la mancanza di processi formali di queste nuove piattaforme di comunicazione. Nel Regno Unito, la FCA (Financial Conduct Authority) ha sottolineato che le regole rimangono le stesse indipendentemente dai canali di

comunicazione. L’Authority ha inoltre aggiunto che il controllo dell’utilizzo che gli intermediari finanziari fanno dei social media sarà parte integrante dell’attività ordinaria di vigilanza e controllo sul mercato. Mentre le autorità di vigilanza statunitensi sono state più lente nel fornire linee guida per regolamentare il ricorso ai social media da parte delle banche e del settore del risparmio gestito, la SEC (Securities and Exchange Commission) ha dichiarato nell’aprile 2013 che avrebbe ammesso l’utilizzo dei social media per le comunicazioni relative agli utili e per la divulgazione di altre informazioni, a condizione che gli investitori fossero consapevoli che il canale rappresenta una fonte autorizzata. In Italia, il Garante della Privacy ha posto l’attenzione sul tema della protezione dei dati personali anche su internet e nelle nuove forme di comunicazione elettronica. A questo scopo, il legislatore, con particolare rapidità, ha interpretato i moderni trend internazionali, emanando a luglio del 2013 le ‘Linee guida in materia di attività promozionale e contrasto allo spam’ - 4 luglio 2013 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 174 del 26 luglio 2013). Le disposizioni del legislatore riguardano tutti gli strumenti di comunicazione diretta con la clientela più tradizionali (come ad esempio telefono, cellulare e mail), ma sono previste anche precise indicazioni riguardanti i social media. Per quanto concerne il contatto diretto con la clientela, il consenso ai fini dell’invio delle comunicazioni promozionali deve essere:

– libero; – informato;

– specifico (con riferimento a trattamenti chiaramente individuati, nonché documentato per iscritto).

A tale scopo non è pertanto ritenuta corretta la predisposizione di moduli in cui la casella di acquisizione del consenso, nota anche come check-box, risulta pre-compilata. Rispetto ai social media in senso stretto, qualora l'utente sia fan della pagina di un’azienda, oppure si sia iscritto ad un gruppo di follower di un determinato marchio, personaggio, prodotto o servizio, l'invio di comunicazione promozionale effettuato dall'impresa a cui fa riferimento la relativa pagina, può considerarsi lecita se, dal contesto o dalle modalità di funzionamento del social network, può evincersi in modo inequivocabile il proprio consenso alla ricezione di messaggi promozionali. Se, invece, l'interessato si cancella dal gruppo, il successivo invio di messaggi promozionali sarà illecito, con le relative conseguenze sanzionatorie. (KPMG, 2014)

Sicuramente una delle maggiori sfide che gli organismi di vigilanza del settore dovranno affrontare è il controllo che i Big Data e le informazioni raccolte tramite i social media da parte delle banche siano accuratamente protette, usate e gestite secondo le vigenti linee guida relative alla sicurezza e alla privacy. Dato che la gran parte dei Big Data non è strutturata e spesso viene fornita dall’utente stesso, gli organi di vigilanza vorranno accertarsi che qualsiasi informazione usata sia prima sottoposta ad un adeguato controllo. Comunque, dal momento che le banche hanno cominciato ad approcciare il tema dei social media e dei Big Data per raccogliere dati al fine di sviluppare e offrire servizi personalizzati ai clienti, è presumibile che la regolamentazione debba adeguarsi. Per questo i dirigenti bancari saranno tenuti a rafforzare le relazioni tra i propri sistemi IT, le funzioni compliance e risk management e il core business. La mancanza di chiarezza, che causa incertezza sul mercato, non giustifica un approccio attendista rispetto ai social media. Le banche devono andare avanti comunque, perché è molto più rischioso non fare nulla. Quindi, almeno per il momento, le banche devono fare riferimento alle normative vigenti per la regolamentazione dei social media. Questo richiederà una rigorosa revisione delle linee guida normative per individuare le aree che impattano la questione della rappresentanza e una revisione delle policy per garantire la compliance dei social media. Il vero problema per le banche è il tempo. Data la rapidità con cui si sono affermati i canali social e la velocità con cui stanno cambiando, le banche dovranno muoversi rapidamente per sviluppare strutture adeguate, non solo conformi alle normative vigenti, ma anche fornire un livello di flessibilità adeguato alla natura stessa dei social media in costante evoluzione. (KPMG, 2014)

Un’altra sfida è l’istintivo desiderio delle banche di volere misurare tutti i risultati in termini di ROI . La verità è che nessuna banca ha ancora trovato un modo per monetizzare i social media o valutare con un indicatore di performance i benefici ottenuti. Alcuni risultati si sono ottenuti riducendo i costi operativi e aumentando l’efficienza dell’organizzazione, ma ad oggi nessuno è riuscito a trasformare il social in una fonte sostenibile di ricavi (nemmeno Facebook, a quanto pare). Infatti, passare ai social richiede ai dirigenti delle banche e agli azionisti di andare oltre la logica tradizionale del ROI per poter valutare meglio i benefici intrinseci che i social network sono in grado di offrire. Questo crea difficoltà nell'accettare i social media da parte del consiglio di amministrazione di una banca. Parte del problema riguarda le metriche stesse da adottare e la loro interpretazione. Gran parte dei dirigenti ora

conosce bene la relazione esistente tra aumento del traffico sul sito e aumento delle vendite, aumento della presenza del marchio e raggio d’azione (reach). Ma quando il ROI è espresso in ‘follower’, ‘mi piace’ e ‘retweet’ i dirigenti di un banca tendono ad essere piuttosto disorientati e diffidenti e a non volere impiegare risorse in un mezzo di cui non riescono a quantificare i risultati. Misurare le strategie social in termini di ROI è piuttosto complesso e richiede tempo. Presuppone che la banca abbia lanciato un piano formale, fissato un calendario di attività, osservato il sentiment attuale e le attività condotte su un insieme specifico di siti. Su questa base dovrebbe essere possibile correlare queste informazioni con i KPI del business (ad esempio il numero di operazioni e di clienti, l’aumento della quota di mercato, la fidelizzazione, e così via) per arrivare ad elaborare dei parametri quantificabili che il consiglio d’amministrazione comprende e riesce a monitorare. (KPMG, 2013)

Un altro ostacolo è relativo alla tecnologia. Da un lato le banche sono diffidenti nell’investire in nuove piattaforme che nemmeno esistevano una decina di anni fa e le cui sorti dipendono dai ‘capricci’ della società in generale. Le banche stanno anche cercando di ottenere dai propri sistemi IT una ‘visione unica del cliente’ in modo da consentire ai canali social di essere veramente integrati nelle operazioni bancarie.

Le banche che stanno investendo nel social stanno affrontando il problema di trovare un personale dotato di competenze specifiche in tale ambito. Dall’individuazione dei project leader per sviluppare i programmi social ai marketing manager e ai gestori del customer service in grado di trattenere i clienti sensibili al tema social, molte banche stanno facendo fatica a selezionare, assumere, sviluppare e trattenere i talenti giusti che possano contribuire a sfruttare al meglio le opportunità dei social media.

Infine un ulteriore ostacolo è rappresentato dal rischio reputazionale derivante dal fatto che nei social network il controllo della conversazione passa dalla banca ai clienti. Con i clienti che non ricoprono più il ruolo di un semplice “stakeholder” ma che si spostano sul piano degli “influencer” (coloro che, come abbiamo appena detto, influenzano la gestione dell’azienda stessa), la relazione banca-cliente si fa sempre più interattiva e coinvolgente. I social media rappresentano una grossa opportunità per le banche in quanto diventa possibile lavorare sulla reputazione dell’azienda e creare rapporti duraturi e fiduciari, proprio in un periodo in cui l’intero settore vive una crisi di fiducia e di legittimità. I canali social possono però rappresentare un’arma a doppio taglio per le banche in quanto, come si evince dal

grafico numero 9, la probabilità di ricevere critiche e lamentele aumenta per effetto delle peculiarità intrinseche ai nuovi media attraverso i quali è più facile esprimere la propria contrarietà a definite politiche aziendali, a modifiche di tassi e commissioni o alla cattiva gestione della clientela.

Grafico numero 9

Social banking - KPMG

Questo comporta che una semplice lamentela di un cliente può diffondersi nei social network, amplificarsi e addirittura divenire un "passaparola" che danneggia l'immagine e la reputazione della banca. Per evitare conseguenze negative è necessario che gli istituti di credito si attivino in maniera efficiente sui canali social, senza lasciare nulla al caso od operare secondo il cosiddetto “provide-and-pray”, ma, viceversa, intervenendo tempestivamente sulle richieste dei clienti che sempre più utilizzano il web per entrare in contatto con la banca. Inoltre i vertici aziendali temono anche un’inappropriato comportamento dei dipendenti stessi che potrebbe danneggiare il brand in un forum pubblico. In ogni caso, comunque, la verità è che le banche non possono più astenersi dalle conversazioni riguardanti il proprio brand. E dal momento che, nella maggior parte dei casi, le conversazioni sono incentrare sul livello di servizio piuttosto scadente, la partecipazione è l’unico modo per influenzarle in maniera positiva ed efficace.

Le conversazioni all’interno delle pagine social dedicate vanno, perciò, controllate e gestite con accuratezza al fine di evitare perdite reputazionali o di credibilità. Il presidio di questi canali innovativi assume, dunque, un’importanza rilevante nella gestione dei clienti e della banca soprattutto per quanto concerne gli aspetti di etica, trasparenza e correttezza. Una clientela più consapevole ed informata ma anche più esigente all’interno di questo nuovo

“ecosistema social" fa si che le banche modifichino il loro approccio abituale nei confronti dei clienti cercando di coltivare, tramite i social media una nuova cultura bancaria composta da fattori come tempestività, autenticità e trasparenza implementando le proprie strategie di customer service.

In conclusione, la clientela delle istituzioni finanziarie è molto cambiata negli ultimi dieci anni. Come abbiamo visto, essa risulta più consapevole ed informata ma anche più infedele ed attenta ad identificare efficacemente specifiche soluzioni in linea con i propri bisogni. Inoltre, attraverso l’utilizzo di dispositivi come smartphone e tablet il cliente è sempre più "mobile" e connesso con il mondo pertanto i messaggi elaborati secondo gli standard di marketing tradizionale non hanno più lo stesso grado di penetrazione nel mercato, risultando, dunque, meno efficaci rispetto al passato. Utilizzare proficuamente i social media in modo da replicare successi nel tempo, creare fidelizzazione della clientela ed innescare il processo di creazione partecipativa di valore economico, è un’impresa che comporta certamente sforzi culturali ed organizzativi ma che possiede altresì tutte le potenzialità per istituire un ciclo virtuoso il quale, grazie sia al contributo collaborativo dei membri delle communities sia alla efficiente gestione da parte del management, può crescere e migliorare apportando benefici a tutti gli attori dell’ecosistema.

Capitolo 3 : Analisi del social banking in Italia e all'estero