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LA BARAGGIA VERCELLESE TRA BONIFICA ED ECOLOGIA

Nel documento Cronache Economiche. N.004, Anno 1985 (pagine 63-69)

Fabrizio Maia

La Baraggia è una zona del Vercellese che si estende per 44.000 ettari fra le Prealpi biellesi a nord, il fiume Sesia ad est, il tor-rente Elvo ad ovest ed una linea che colle-ga i comuni di Santhià ed Oldenico a sud. Il nome Baraggia è di etimologia incerta: alcuni lo ricollegano al termine di origine mediterranea «barra» (terreno roccioso), altri a quello di origine friulana «baraz» (pino, rovere), ma la derivazione più pro-babile sembra essere quella dal termine «baraza» che per i Longobardi o più in ge-nerale per qualcuno dei popoli barbarici provenienti dal nord indicava un luogo il cui terreno permetteva soltanto la crescita di una vegetazione di sottobosco.

Il terreno della Baraggia è formato da tre diversi orizzonti sovrapposti, ciascuno con caratteristiche proprie. Di natura alluvio-nale, essi si sono deposti nel corso dei tre periodi diluvio-glaciale (prewurmiano), al-luvio-glaciale (wurmiano) e attuale e sono costituiti da depositi ciottolosi più o meno grossolani. Le alluvioni hanno creato allo sbocco delle valli alpine dei coni di deie-zione, cioè tipiche strutture dovute al ral-lentamento della corrente di un fiume con relativo abbandono dei detriti trasportati. Questi coni sono stati poi solcati e suddivi-si dalle acque correnti. I deposuddivi-siti hanno origine comune in quanto provengono tutti dalle stesse matrici montane e quindi sono l'età più o meno antica delle alluvioni ed il grado più o meno profondo di alterazione

dei minerali che hanno determinato le dif-ferenze oggi esistenti tra i vari terreni. Dal momento della sua formazione, il terreno ha subito una serie di alterazioni che han-no interessato sia le sostanze calcaree che sono totalmente scomparse, sia i feldspati che si sono trasformati in argilla; inoltre i processi di idratazione ed ossidazione sono avvenuti in modo profondo, portando ad una forte idrolisi in ambiente ossidante, con intenso dilavamento dei prodotti solu-bili. Si è così avuta la ferrettizzazione, cioè un processo chimico caratterizzato dalla trasformazione di tutti i composti ferrosi in ferrici e dalla conservazione integrale del-l'allumina e del ferro che si sono concen-trati in noduli limonitici che hanno dato al terreno la caratteristica tinta ocracea. Per quanto riguarda il clima della Baraggia non si riscontrano sostanziali differenze dal clima padano di tipo temperato di transizione con inverni freddi; l'andamento delle temperature è tale da consentire un normale sviluppo vegetativo. Anche il re-gime delle precipitazioni ha gli stessi carat-teri di quello della pianura vercellese; tut-tavia le possibilità di crescita della vegeta-zione sono diverse in quanto il terreno im-permeabile ostacola la penetrazione nel suolo delle acque meteoriche, diminuendo il beneficio che le piogge portano alla flo-ra. La vicinanza delle alture biellesi porta una buona ventilazione che determina la diminuzione delle nebbie e dello stato di

pesantezza dell'aria, caratteri questi tipici del clima della pianura vercellese, che ri-sulta molto meno salubre.

La vegetazione spontanea copre vaste zone selvagge inserite in un ordinato paesaggio agricolo. Gli incolti sono costituiti da una brughiera con macchie di arbusti e boschi-ve; dominano il brugo o erica (Calluna vulgaris), la gramigna (Molinia coerulea), l'erba Lucia (Carex glauca), le ginestre (Cy-ticus scoparius e Genista tinctoria), il giun-co, il biancospino e la felce. Nelle macchie boscose la vegetazione è abbastanza stenta-ta; troviamo comunque querce, acacie e castagni. Questo manto vegetale ha sempre resistito ad ogni tentativo di proficua colti-vazione e lo stesso pascolo è utilizzabile solo con grosse difficoltà; infatti vi sono molti arbusti ed erbe infestanti o di scarso valore alimentare.

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La storia della Baraggia ha radici molto antiche. Il primo insediamento umano ri-sale al popolo dei Victimuli di probabile origine celtica; furono loro i primi ad alter-nare all'attività mineraria, un'agricoltura di sussistenza nei pressi dei corsi d'acqua. Con la conquista dei Romani si ebbe il pri-mo tentativo di bonifica di questo territo-rio difficile: l'uso di irrigazione a breve raggio permise la coltura di segale, avena e miglio.

Dopo il passaggio delle prime orde barba-riche i raccolti furono ripresi soltanto con l'arrivo dei Longobardi che si dedicarono all'agricoltura soprattutto nella zona com-presa tra i torrenti Rovasenda e Marchiaz-za. Uno sfruttamento più razionale del ter-reno si ebbe grazie alla diffusione, durante il secolo settimo, delle comunità fondate da San Benedetto la cui regola alternava preghiera e lavoro.

Una parte della Baraggia, citata nel Privi-legium di Carlo III del 881 come facente parte della Silvam Rovasindam, era un tempo bene comune, cioè costituita da ter-re incolte adibite a pascolo comune, ma non del comune. Proprietari erano infatti tutti gli abitanti del paese di Brusnengo. Il comune aveva il compito di regolarne il buon uso con bandi, disposizioni e multe. Il camparo (la guardia campestre) vigilava sulla Baraggia comune. La proprietà co-mune rimase tale fino al 1841 quando il comune, in difficoltà finanziarie, preferì

piuttosto che aumentare le imposte, affitta-re questa zona dividendola in tanti lotti quante erano le famiglie del paese: soluzio-ne discutibile se si pensa che il comusoluzio-ne aveva tutelato per secoli tale patrimonio assicurando un razionale sfruttamento a vantaggio di tutti.

Il primo ad intuire che questa zona infesta-ta dai lupi (i quali, discesi dalla Svizzera

nella prima metà dell'ottocento avevano invaso la Baraggia, trovandovi un ambien-te favorevole) avrebbe potuto essere valo-rizzata attuando un'opportuna bonifica fu Camillo Cavour. Ma in realtà la situazione non variò e infatti ci fu sempre un enorme divario tra le strutture irrigue della Barag-gia e quelle delle altri parti del Vercellese. Bisogna attendere quindi il 1922 con la

no-i a Baraggno-ia: area tratteggno-iata.

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Maurilio^-Un tratto della strada di bonifica che collega la frazione Arro di Salussola alla strada statale Vercelli-Biella.

mina, da parte del Ministero dell'Econo-mia Nazionale, di una Commissione per lo studio sulla bonifica agraria della Baraggia a cui seguì la nascita di fondazioni e comi-tati a livello regionale e provinciale, le cui ricerche misero in luce il problema princi-pale alla base di un piano di bonifica: la mancanza d'acqua. Ma all'elenco di opere da attuarsi mancava l'insieme dei

partico-lari tecnici progettuali. Dopo la paralisi bellica, nel 1950, il presidente della Re-pubblica Luigi Einaudi decretò la nascita ufficiale del Consorzio di Bonifica della Baraggia Vercellese. Il piano di intervento del Consorzio rappresentava la soluzione ad un problema discusso ormai da tempo. Gli obiettivi dell'attività del Consorzio erano: l'irrigazione, il rifornimento

idrico-potabile, la costruzione di strade, il miglio-ramento dei fabbricati rurali, l'elettrifica-zione rurale, la difesa dalle piene e la tra-sformazione fondiaria.

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Per quanto riguarda il problema dell'irri-gazione, dopo il fallimento del programma che prevedeva la costruzione di una serie di canali (il progetto si arrestò dopo la co-struzione del Canale Vanoni per motivi burocratici), i tecnici si resero conto che non vi erano strade alternative al di fuori della raccolta dell'acqua in bacini nei pe-riodi piovosi per distribuirla poi durante la stagione irrigua. Nel 1975 si terminò la co-struzione della prima diga, quella sull'O-stola che con i suoi 159 metri di lunghezza e 28 di altezza realizza un invaso di 5.500.000 me, corrispondente ad un baci-no imbrifero di 16,3 kmq. La seconda tap-pa fu rappresentata dall'invaso sul torrente Ravasanella: la diga ha un'altezza di 48 metri, una lunghezza di 202 metri e l'area del bacino imbrifero è di 6,3 kmq per una capacità pari a 5.000.000 di me d'acqua. La diga sull'Ingagna è stata progettata per avere, una volta ultimata, le seguenti carat-teristiche: altezza metri 56, lunghezza me-tri 264, bacino imbrifero kmq 30,65, capa-cità del bacino d'invaso me 7.000.000. Questi bacini si trovano nelle Prealpi biel-lesi ad un'altitudine tale da permettere l'ir-rigazione a caduta naturale dell'acqua. 11 problema del rifornimento idrico-pota-bile, inizialmente non preso in considera-zione dal piano le di bonifica, è stato af-frontato e risolto dal Consorzio con la co-struzione dell'acquedotto. Questa fonda-mentale infrastruttura pubblica, urgente soprattutto per la zona centro-setten-trionale della Baraggia, è stata realizzata sfruttando le sorgenti in località Barme e Cravoso di Postua e yari pozzi sparsi nel comprensorio, muniti di adeguati impianti di sollevamento dell'acqua.

Una delle prime condizioni indispensabili per la realizzazione di una funzionale ope-ra di bonifica agope-raria è una comoda viabi-lità che assicuri rapide ed economiche co-municazioni. In Baraggia esisteva già una buona rete stradale ma la maggior parte di essa era impraticabile in molti periodi

del-l'anno; si trattò quindi di migliorarne la qualità.

Un altro obiettivo del Consorzio fu la crea-zione dei presupposti per il mantenimento dell'insediamento umano; si tentò di sco-raggiare il fenomeno dell'emigrazione, di-retta sia verso i centri industriali del Bielle-se sia verso l'estero. Per ottenere ciò si mi-gliorarono ed ampliarono i fabbricati rura-li (abitazioni e locarura-li accessori) che erano del tutto privi di ogni requisito igienico-sanitario.

Per quanto riguarda l'elettrificazione rura-le i risultati a cui si è giunti in questo ulti-mo ventennio sono stati considerevoli se si tiene presente che oltre alle difficoltà di al-lacciamento che normalmente interessano un territorio agricolo, in Baraggia il pro-blema era ancora più rilevante a causa del-l'alto onere (55% del costo totale) che era lasciato a carico dei beneficiari per la co-struzione degli elettrodotti. Così aumenta-va inoltre l'ostacolo rappresentato dalla necessità di ottenere i consensi di tutti i proprietari delle cascine per le quali era previsto un impianto unico, indispensabile per ridurre il costo unitario.

11 problema della difesa dagli eventi allu-vionali è sempre stato particolarmente sen-tito in Baraggia a causa dal regime torren-tizio dei suoi corsi d'acqua. In seguito al-l'alluvione del 1951 il Genio Civile attuò interventi riparatori che si dimostrarono insufficienti soprattutto in occasione del disastro del 1968, quando l'entità delle precipitazioni fu tale che l'acqua straripata dai fiumi e torrenti provocò danni le cui conseguenze giungono fino ad oggi. Da al-lora l'opera del Consorzio, nonostante i fi-nanziamenti inadeguati, ha cercato di mi-gliorare la situazione idrogeologica del ter-ritorio, soprattutto realizzando lavori come regolarizzazione delle sponde, puli-zia degli alvei e costruzione di difese spon-dali in calcestruzzo.

Una delle caratteristiche più tipiche della Baraggia fu rappresentata, in passato, dalla particolare situazione sia delle zone colti-vate che erano suddivise in «camere» di poche migliaia di mq sia delle zone più set-tentrionali incolte suddivise tra molti pic-coli proprietari. Si trattava quindi di ade-guare l'estensione della proprietà alle esi-genze di una moderna politica agraria ba-sata sull'impiego di grandi macchine agri-cole operanti su vasti territori; per raggiun-gere questo scopo il Consorzio si adoperò

sia citando nel piano di bonifica gli indiriz-zi generali sulla metodologia da seguire per la sistemazione dei terreni, sia ottenendo dal Ministero dell'Agricoltura l'assegnazio-ne di fondi da concedere agli agricoltori per attuare gli spianamenti.

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Nonostante sia il punto di arrivo di una lunga serie di tentativi di bonifica e di stu-di su questo argomento, il progetto del Consorzio ha suscitato molti dubbi riguar-danti da un lato problemi di tipo economi-co, dall'altro problemi di tipo ecologico. Alcuni sostengono che le principali insidie di questa impresa in campo economico ri-guarderebbero il pericolo della monocoltu-ra e dei danni arrecati alle colture già esi-stenti nelle vicinanze dall'uso dei diserban-ti. Da un lato si perde infatti la prospettiva dell'impianto di nuove e diversificate col-ture in quanto la necessità di fertilizzare il terreno tramite l'irrigazione per sommer-sione non può non far nascere la tentazio-ne di estendere la coltura del riso anche là dove oggi non è prevista, dall'altro l'avvi-cinamento delle risaie alle zone collinari può arrecare ai vigneti danni irreparabili dovuti al trasporto da parte del vento delle sostanze chimiche contenute nei diserban-ti. Il discorso sui diserbanti permette di parlare delle conseguenze più gravi riguar-danti l'aspetto ecologico.

La Baraggia è un ambiente unico in Euro-pa: la prateria, caratteristica saliente di questo luogo è il risultato dell'azione di di-versi fattori ambientali che per millenni hanno agito su un terreno di per sé già par-ticolare, trasformando completamente la primitiva foresta cresciuta dopo l'ultima era glaciale.

Torniamo ai diserbanti. Per diserbanti si intendono tutte quelle sostanze provviste di azione tossica nei riguardi delle piante e in grado di distruggerle, o comunque di danneggiarle ogni qualvolta ne vengano a contatto. Considerato il rapporto di vici-nanza tra la Baraggia, le risaie già esistenti e quelle in progetto di essere realizzate ri-sulta ovvia l'importanza degli effetti nocivi sull'ecologia baraggiva dovuti all'uso di so-stanze chimiche per la eliminazione di piante infestanti del riso. Un tempo la lotta contro le piante nocive si basava nei con-fronti delle alghe sul controllo del livello d'acqua di sommersione, nei confronti di

tutte le altre infestanti sulla monda. Poi vennero introdotti i diserbanti: il diserbo si basava allora sull'impiego di fenossi a cui poi si sono aggiunti composti attivi ormo-nici e selettivi come lo MCPA (acido 2, metil-4-clorofenossiacetico), l'MCPP (aci-do 2, 4-cloro-2 wetilfenossi, propionico) e il 2,4-5 T P (il cui uso è stato vietato dal 1970). Intorno agli anni '60 è stato sinte-tizzato lo STAML-34 a base di 3, 4-diclo-ropropionamilide che, mentre risparmia il riso in qualsiasi fase di sviluppo, risolve il problema del giavone su cui gli altri pro-dotti chimici non hanno effetto. Tutti que-sti diserbanti, durante e dopo la loro appli-cazione, possono venire a contatto con or-ganismi diversi da quelli costituenti il ber-saglio interferendo così sulla loro vita. Si pensa che rispetto agli altri antiparassitari e insetticidi i diserbanti, in considerazione del numero piuttosto limitato di erbicidi dotati di elevata tossicità, incidano sul-l'ambiente meno pesantemente. Tuttavia vi sono casi di avvelenamento indiretto di bestiame dovuti all'aumento della tossicità di piante tossiche che generalmente non sono consumate dagli animali o all'aumen-to della loro appetibilità in seguiall'aumen-to ad ap-plicazione di diserbanti. Rischi di contami-nazione esistono per l'ittiofauna. Per quan-to riguarda la selvaggina gli effetti più gravi si riferiscono alla schiusura delle uova che

viene impedita e alla riduzione di numero di nati per covata di fagiani e di pernici. In realtà il problema principale posto dall'uso dei diserbanti non è tanto di natura tossi-cologica quanto etossi-cologica. Infatti il loro impiego sistematico porta a modificazioni dell'ambiente naturale sia per la riduzione delle piante fornitrici di cibo sia per l'eli-minazione dei rifugi. Altrettanto grave dal

punto di vista ecologico è il rischio che per fare spazio alle colture venga eliminata del tutto la brughiera. Infatti il terreno della Baraggia, profondamente ferrettizzato e compatto per l'elevato tenore di argilla, è totalmente impermeabile, con abbondanti concrezioni limonitiche poco sotto la su-perficie, privo di struttura in profondità, di reazione acida. Caratteristica tipica di tale

quando il livello dell'acqua si alza, impe-dendo così l'inondazione. Aver strappato ai fiumi il loro naturale sistema di sicurez-za per adibire questi territori ad agricoltura ha causato il verificarsi di disastrosi eventi alluvionali, legati anche al regime torrenti-zio dei corsi d'acqua della Baraggia che de-termina il trasporto a valle di materiale so-lido di tutte le dimensioni. È superfluo ag-giungere come a monte di tutti questi dis-sesti vi siano i fenomeni di disboscamento e di spopolamento della montagna che si ripercuotono sul disordine idrogeologico in pianura.

Strettamente collegato a questo discorso è quello della costruzione dei bacini artifi-ciali nelle valli biellesi che è stata seguita dalla generale trasformazione dell'area in-teressata e da una serie di scompensi nel microclima vallivo.

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L'avvenire della Baraggia è legato alla possi-bilità di soddisfare contemporaneamente esigenze di tipo economico ed ecologico. Scartata la possibilità di utilizzare la zona per l'impianto di industrie per ovvi motivi che rientrano in un discorso di salvaguardia ambientale, non resta che puntare sui setto-ri agsetto-ricolo e zootecnico, il cui sviluppo ab-bia come presupposto uno studio rigorosa-mente scientifico delle prospettive future. Per uno sfruttamento razionale dell'agri-coltura si rende ormai necessario l'uso del computer: ad esempio l'aleatorietà del fat-tore pioggia in questa zona rende indispen-sabile l'automatizzazione dell'impianto di distribuzione dell'acqua per l'irrigazione. La centralizzazione dei comandi delle val-vole idrauliche permetterebbe all'impianto di rispondere in tempo reale a qualsiasi esigenza di esercizio indipendentemente dalle condizioni meteorologiche e dalla ro-tazione delle colture. Dato che ad ogni col-tura sarebbe somministrata la giusta dose d'acqua al momento giusto, si renderebbe superfluo lo studio di un orario e l'uso di temporizzatori.

Anche se la coltivazione del riso si è dimo-strata vantaggiosa in alcune aree della Ba-raggia, ai fini di una politica agraria proiet-tata verso il futuro appaiono più utili la di-versificazione delle colture e il conteni-mento dell'espansione del riso che, tra l'al-tro, rischia di diventare la monocoltura del vercellese. Sulla base di sperimentazioni di

La strada « Buronzina ». Collega Buronzo con la nuova zona di sviluppo irriguo.

La strada « della Gallina » nei pressi di Buronzo. Corre per un lungo tratto parallelamente al torrente Cervo.

terreno è la sua impermeabilità all'acqua: di conseguenza si instaura una zona asfitti-ca che ostacola lo sviluppo delle radici e rende estremamente scarsi gli scambi e le possibilità di circolazione delle sostanze nutritive. Questo ambiente è così natural-mente ostile alla vegetazione che quando venga privato della cotica erbosa rimane spoglio di ogni pianta per anni. Il pericolo è quindi che si perda definitivamente quel-la vegetazione unica e tipica delquel-la zona: il manto vegetale infatti, una volta distrutto, difficilmente potrà ricostituirsi spontanea-mente.

Un altro aspetto negativo dell'intervento umano è legato all'idrografia e riguarda l'e-liminazione delle zone golenali, di quelle zone pianeggianti cioè che stanno ai lati del letto di magra e che vengono sommerse

campo si è potuto stabilire che fra le coltu-re alternative più adatte vi sono il mais, il lupino da sovescio e il prato. 11 lupino for-nisce materiale organico azotato indispen-sabile per l'arricchimento del terreno nel-l'ambito della rotazione colturale. Per quanto riguarda il prato, se si riescono a superare i problemi di impianto si può ot-tenere una produzione soddisfacente. L'incremento della produzione di foraggio legato all'introduzione dell'irrigazione do-vrebbe portare ad un forte aumento del nu-mero dei capi di bestiame allevati. Oltre alle razze da latte e carne già presenti nella zona, come la Frisona, la Piemontese, la Bruno-Alpina e la Pezzata Rossa, si po-trebbero introdurre razze o ceppi più pro-duttivi.

Si tratterebbe poi di creare un efficace si-stema di infrastrutture e di strutture asso-ciative che permettano la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agri-coli e zootecnici in modo da ottenere pro-fitti maggiori per l'imprenditore agricolo, incremento dell'occupazione e prodotti a prezzi più convenienti per il consumatore.

Nel documento Cronache Economiche. N.004, Anno 1985 (pagine 63-69)