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NOTE SUGLI ALLEVAMENTI BOVINI DA LATTE

Nel documento Cronache Economiche. N.004, Anno 1985 (pagine 55-59)

Adalberto Nascimbene

Secondo le prime risultanze delle rilevazio-ni censuarie ISTAT, le aziende che prati-cano l'allevamento bovino e che concorro-no quindi alla formazione dell'offerta na-zionale di latte, sia commercializzato che trasformato in azienda, si possono quanti-ficare in circa 650.000.

Da queste vanno sottratte le unità i cui al-levamenti sono specializzati nell'attività di ingrasso di vitelli e vitelloni (feed-lots) e che pertanto sono prive di vacche fattrici. 11 loro numero, anche se sconosciuto, è purtuttavia ridotto. Le aziende che pratica-no l'allevamento di vacche da latte posso-no essere stimate in circa 470.000 unità. Di esse, in base ad un'indagine del CE-STAAT, solo 100.000 possono essere con-siderate specializzate nella produzione di latte, in quanto ricavano dal suddetto pro-dotto oltre i due terzi del proprio reddito. E possibile evidenziare, anche dai dati ISTAT relativi a precedenti indagini, alcu-ni fenomealcu-ni che riguardano gli allevamenti bovini in genere. In modo particolare, si rileva che nell'ultimo decennio si è verifi-cata una discreta concentrazione del setto-re, che avvicina il nostro paese alla media comunitaria.

Il patrimonio bovino risulta attualmente più concentrato di quanto appariva dieci anni fa, soprattutto a causa della scompar-sa di un'elevata quota di piccole e

piccolis-sime aziende, sia dal punto di vista della superficie, sia soprattutto, sotto l'aspetto della consistenza del bestiame.

Quindi, in sostanza, continua la tendenza verso un consolidamento del modo di pro-duzione a più elevato grado di intensità di capitale, e verso un ridimensionamento della realtà contadino-familiare.

Le imprese minori (in genere condotte in economia diretta, e quindi con vincoli di manodopera disponibile più rigidi) hanno verificato la convenienza ad espandere il proprio patrimonio zootecnico, al fine di raggiungere la soglia dimensionale minima che garantisce una redditività dell'attività di allevamento.

Tale tendenza si è rafforzata negli ultimi anni, in seguito all'entrata in vigore della legge 306/75 istitutiva del prezzo regionale garantito del latte.

Va rilevato, tuttavia, che l'espansione del patrimonio bovino negli allevamenti di piccola-media ampiezza aziendale ha com-portato il progressivo scollamento tra le di-sponibilità interne di foraggio ed il fabbiso-gno totale di alimenti per il bestiame: il conseguente ricorso al mercato esterno dei mangimi composti ha comportato l'insor-gere di difficoltà di ordine economico. Contemporaneamente, si riscontra un pro-cesso di specializzazione delle imprese ver-so l'allevamento intensivo e verver-so la pro-duzione vegetale (monocoltura). In modo particolare le medie-piccole imprese ten-dono ad aumentare la propria

specializza-zione zootecnica, mentre le imprese di più ampie dimensioni tendono, in misura sem-pre maggiore, a rivolgersi verso la specia-lizzazione vegetale (in particolare maiscol-tura a bassa intensità di manodopera). La vocazione zootecnica delle strutture agricole, indipendentemente dalle tradizio-ni culturali e professionali della popolazio-ne rurale (che pure hanno un peso rilevan-te) è strettamente connessa alle caratteristi-che agronomicaratteristi-che dei suoli. È nella pianura padana che la foraggicoltura ha radici sto-riche ed ha potuto trovare il proprio habi-tat di elezione. A ciò si aggiunga lo svilup-po, negli ultimi anni, della produzione di cereali foraggeri e di silomais permesso dalla potente rete di irrigazione.

Inoltre, la foraggicoltura (e conseguente-mente la zootecnia) ha potuto svilupparsi nelle zone di pianura (in senso lato) per motivi di carattere economico: l'altitudine e la pendenza costituiscono infatti fattori fisici che ostacolano il raggiungimento di un elevato livello di redditività.

Al di fuori di pochi importatori di latte che svolgono unicamente questa attività, la quota maggiore di importazione di latte viene effettuata dalle stesse industrie di tra-sformazione. Tuttavia, va rilevato che ol-tre l'85% del latte importato (in genere lat-te pastorizzato nei paesi d'origine) è desti-nato al consumo finale e solo il 15% alla trasformazione in derivati. Ciò trova la propria motivazione nel fatto che il latte importato comporta difficoltà tecniche di caseificazione (è latte troppo trattato, che ha subito shocks logistici).

1 maggiori importatori sono perciò le aziende che producono latte sterilizzato a lunga conservazione, a cui si uniscono le centrali municipali del latte.

Le industrie prevalentemente produttrici di derivati del latte importano quote com-plessivamente ridotte di latte liquido. Presso le grandi industrie si sta invece af-fermando la tendenza all'import di semila-vorati (paste, easeinati) che vengono suc-cessivamente finiti come prodotti freschi (senza stagionatura). Questa tendenza, che può indurre le grosse industrie a trasfor-marsi in misura sempre maggiore in im-prese di commercializzazione piuttosto che di produzione, potrebbe, in futuro, riper-cuotersi negativamente sul settore della produzione di latte in Italia.

Scarti anche piccolissimi attorno ai valori normali dei componenti del latte

modifica-no modifica-notevolmente sia il potere nutritivo del prodotto fresco, sia i caratteri tipici dei prodotti trasformati, e determinano la qua-lità del latte.

In particolare, l'industria di trasformazio-ne apprezza valori elevati e costanti del te-nore in grasso e proteine (caseina e siero-proteine). A seconda che gli allevamenti riescano ad ottenere o a non ottenere que-sti caratteri, il latte è indirizzato: a) alla trasformazione in prodotti lattiero-caseari (latte industriale); al consumo finale previo trattamento termico (latte alimentare). Occorre tuttavia osservare come la ricerca di una sempre maggiore resa produttiva per capo, dal punto di vista quantitativo, abbia provocato uno scadimento del titolo e delle caratteristiche qualitative del pro-dotto, nell'ambito dello stesso latte per la trasformazione; in modo specifico si avver-tono difficoltà di lavorazione nel caso del latte destinato a formaggio grana.

Per frenare tale tendenza, sempre più fre-quentemente vengono applicati, soprattut-to dalle società cooperative, mesoprattut-todi di pa-gamento del latte ai soci basati sulla quan-tità e sullo standard qualitativo del prodot-to.

Una riconversione dell'allevamento, da produttore di latte industriale a produttore di latte alimentare, è in genere impossibile nel breve periodo, soprattutto nei com-prensori di produzione dei prodotti tipici a pasta dura; il complesso sistema organizza-tivo aziendale, la concentrazione della pro-duzione di latte nel periodo primaverile-estivo-autunnale e l'ordinamento agrono-mico delle aziende (in funzione delle nor-me alinor-mentari previste dai regolanor-menti di produzione del latte per grana) generano una serie di costi che rendono assoluta-mente non conveniente la vendita del latte per uso alimentare.

Al contrario, l'azienda che produce latte alimentare, caratterizzata quindi da una più equilibrata distribuzione dei parti e da una maggiore elasticità organizzativa, pro-duce un latte privo delle caratteristiche oc-correnti alla trasformazione in grana, e ne-cessita di un certo periodo di riconversione sia per ciò che riguarda il tipo di bestiame che l'organizzazione e le attrezzature aziendali.

E da rilevare, inoltre, come un certo livello di diversificazione della produzione azien-dale in latte alimentare e latte industriale sia comunque presente nella maggior parte

delle imprese che producono latte per la trasformazione, a causa dell'esistenza, più o meno marcata, di latte di scarto o co-munque non idoneo alla trasformazione che viene destinato all'alimentazione del bestiame, oppure, se ne possiede le caratte-ristiche richieste, viene convogliato verso le industrie operanti nel settore del latte alimentare.

11 latte è una miscela di sostanze che stan-no tra loro in stretto equilibrio: la loro composizione varia in misura molto conte-nuta attorno ai valori medi. Scarti anche minimi tra tali valori modificano il potere nutritivo del prodotto fresco, così come i caratteri qualitativi dei derivati.

La qualità di questo alimento dipende da molti fattori variabili, tra cui i più impor-tanti sono la razza delle bovine, la loro età, la situazione ambientale in cui vivono, lo stato di salute generale ed il tipo di alimen-tazione a cui sono sottoposte.

L'esaltazione dei caratteri quanti-qua-litativi del latte è il risultato dell'ottimizza-zione di un mix di fattori la cui realizza-zione è permessa solo da un'elevata profes-sionalità degli operatori e dalla presenza di strutture adeguate.

Entrambe le condizioni non appaiono tut-tora particolarmente diffuse nel tessuto produttivo italiano, se confrontato con le strutture degli altri paesi comunitari, tanto che, ad esempio, la riproduttività media delle fattrici da latte in Italia si colloca nel-le ultime posizioni nell'ambito dei paesi della CEE.

A livello aziendale, l'alimentazione appare particolarmente importante per il raggiun-gimento di un sufficiente standard qualita-tivo e di un elevato livello quantitaqualita-tivo della produzione.

Il principio generale è quello di fornire alla vacca una quota di razione giornaliera co-siddetta di «mantenimento» (copertura delle esigenze metaboliche della bovina) la cui entità è funzione del peso vivo dell'ani-male, e una quota detta di «produzione», il cui valore è in funzione del volume del latte prodotto.

La tecnologia dell'alimentazione è molto complessa, e nella realtà la carenza di co-gnizioni scientifiche da parte degli operato-ri, nonché le difficoltà di ordine pratico, rendono scarsamente attuabile l'applica-zione delle norme corrette.

In modo particolare le aziende che produ-cono molto foraggio verde, il quale ha

po-tere nutritivo particolarmente variabile, trovano difficile la misurazione delle quan-tità giornaliere ottimali di mangimi con-centrati. Ciò si traduce in una diminuzione dell'efficienza economica dell'azienda. Il fattore ambiente è rilevante nella deter-minazione di un elevato grado quali-quantitativo di produzione.

Con il termine ambiente, di norma, viene identificato l'insieme delle strutture e dei mezzi tecnici che caratterizzano l'azienda. Significativa importanza assume il sistema di stabulazione del bestiame, poiché i vari tipi di ricoveri influiscono sia sul microcli-ma aziendale, sia sul costo di distribuzione degli alimenti, della manodopera e dei ca-pitali investiti.

Le scelte imprenditoriali, a questo riguar-do, si riducono sostanzialmente a due si-stemi fondamentali: stabulazione fissa e stabulazione libera. Nella prima gli anima-li vivono legati alla posta e i loro movi-menti sono alquanto limitati. Nella secon-da, gli animali sono relativamente più au-tonomi e l'ambiente è più naturale. Benché i dati degli allevamenti aderenti ai controlli siano incompleti, le stalle con be-stiame legato alla posta sono stimate attor-no all'82% del totale degli allevamenti, mentre la rimanente quota è costituita da stalle libere.

at-tuato nel 31% circa delle aziende control-late, mentre i restanti due terzi praticano la mungitura meccanica. Di questa quota il 19% sono aziende con sala di mungitura, mentre l'81% pratica la mungitura mecca-nica alla posta.

Le caratteristiche tecnico-agronomiche del suolo costituiscono un'altra componente del generico fattore «ambiente» da non trascurare (per le loro conseguenze di ca-rattere economico nella gestione dell'alle-vamento).

Nelle aree montane e collinari, la redditi-vità è ostacolata da due fattori: l'altitudine e la pendenza.

L'altitudine determina la durata del perio-do vegetativo e ciò riveste un'importanza fondamentale nell'economia dell'azienda agraria e influisce, quindi, sul risultato economico dell'azienda stessa.

Infatti, più il periodo vegetativo è breve più la spesa globale relativa all'alimenta-zione del bestiame aumenta, poiché il rap-porto tra il consumo dei foraggi estivi (a basso costo) ed il consumo dei foraggi in-vernali (a costo sensibilmente più elevato) si modifica a detrimento dei primi. Inoltre, a parità di condizioni, la durata del perio-do vegetativo delimita il perioperio-do in cui sono possibili lavorazioni della terra, con-dizionandone la produttività.

L'azione sinergica di tutte queste variabili,

unitamente a motivi strutturali e infra-strutturali che costituiscono la «patologia» del sistema produttivo nelle aree collinari e montane, comporta la non ottimizzazione di tutta una serie di indicatori economici e la conseguente marginalizzazione delle im-prese.

Il contenuto livello di autoapprovvigiona-mento di latte e derivati nel nostro paese fa sì che la produzione sia destinata, nella quasi globalità, alla copertura parziale del-la domanda interna. Il 55% deldel-la produzio-ne vendibile di latte è indirizzato alla tra-sformazione in formaggi, mentre la parte rimanente va al consumo finale allo stato liquido, sia previo trattamento igienico, sia crudo.

Negli anni precedenti il 1980 si è inoltre rilevato un processo di sostituzione di lun-go periodo tra latte pastorizzato e latte a lunga conservazione, che ha visto invece aumentare la propria domanda.

A partire dalla seconda metà del 1980 si è prodotta una certa inversione di tendenza che ha visto rallentare l'espansione di latte a lunga conservazione e una ripresa dei consumi di quello pastorizzato. Da quello stesso periodo, infatti, in molte aziende i prezzi del tipo pastorizzato si sono colloca-ti su livelli inferiori a quelli del latte a lun-ga conservazione.

Occorre ricordare che il settore del latte alimentare funziona da polmone entro il quale l'industria versa le eccedenze forma-tesi durante i periodi di crisi, o al quale at-tinge a buon prezzo le quantità necessarie a coprire i fabbisogni durante i periodi di maggior dinamica del mercato caseario. Si osservi che la domanda di prodotti ca-seari ha manifestato, negli anni passati, una dinamica notevolmente più accelerata di quella della produzione. Ciò, ovviamen-te,ha fatto via via aumentare la quota di domanda soddisfatta con le importazioni. L'evoluzione dei prezzi ha un punto di di-scontinuità nel 1976 con l'introduzione della legge 306 del 1975, con la quale il prezzo del latte diviene, di fatto, politico. Prima di questa data, il prezzo al produtto-re non teneva conto dei costi di produzio-ne, ma veniva trascinato dagli andamenti congiunturali di mercato dei prodotti tra-sformati che, notoriamente, hanno forti sbalzi stagionali.

Con l'entrata in vigore della legge 306 tut-to il latte prodottut-to, indipendentemente dalla sua destinazione finale, riceve lo

stes-so prezzo alla produzione, il quale viene contrattato in sede regionale da una com-missione comprendente istituzioni e parti sociali.

Secondo tale legge, il prezzo di vendita del latte deve essere determinato con revisioni semestrali, per tenere conto dell'evoluzio-ne dei costi degli input (alimenti per il be-stiame e. lavoro) e della particolare situa-zione del settore (attraverso l'indicasitua-zione di uno standard minimo merceologico). Il prezzo finale è quindi il risultato di due fasi distinte:

— un prezzo di base minimo;

— una maggiorazione percentuale riferita alla qualità del latte e alle condizioni igie-nico-sanitarie del bestiame, dove per quali-tà del latte si intendono il contenuto in grasso e in proteine, il valore batteriologico e la refrigerazione del latte alla stalla. Al prezzo del latte va aggiunto il premio per la refrigerazione che si aggira media-mente sulle 9-10 lire al litro.

La determinazione di un divario consisten-te tra i prezzi italiani e i prezzi del latconsisten-te d'importazione (a favore di questi ultimi) è stata una conseguenza dell'applicazione della legge 306.

Per l'industria, questo scarto rilevante di prezzo è stato sicuramente un elemento di attrazione verso il latte d'oltralpe.

Da ciò la convenienza per gli importatori e gli esportatori stranieri a convogliare in Italia quantitativi sempre più consistenti di prodotto fresco (latte e soprattutto semila-vorati).

Questa situazione ha messo in crisi gli ac-cordi regionali sul prezzo e costretto fre-quentemente gli allevatori ad accettare condizioni svantaggiose di pagamento (a 90 giorni ed oltre).

Va sottolineato, inoltre, che la revisione semestrale del prezzo avviene dopo che si sono verificati gli aumenti dei fattori di produzione. In più, questa revisione non ha sempre coperto il tasso medio d'infla-zione.

Nel 1984 si è assistito ad un modesto in-cremento del prezzo del latte e di alcuni suoi derivati, peraltro in linea con l'au-mento rilevato per i principali costi di pro-duzione. Al contrario, la pesantezza del mercato della carne bovina non ha consen-tito una parallela evoluzione dei prezzi dei rimanenti prodotti vendutti dagli allevatori (bestiame da macello).

alimen-tare non hanno accusato grande difficoltà di collocazione, sia perché (nel secondo se-mestre del 1984) i prezzi regionali sono stati ritoccati in misura trascurabile, sia perché all'aumentata produzione nazionale si è contrapposta una consistente diminu-zione dell'importadiminu-zione, per cui l'offerta complessiva non ha superato di molto quella dell'anno precedente.

Per quanto riguarda i principali derivati, ad un'evoluzione nettamente positiva del comparto grana, e sufficientemente buona per il gorgonzola, si è affiancata una grave crisi riscontrata per i rimanenti derivati, primi fra tutti il provolone, i formaggi ve-neti e il burro.

L'accurato controllo produttivo del parmi-giano-reggiano e del grana padano ha infat-ti conseninfat-tito di dimensionare l'offerta in base all'andamento della domanda finale, e di sostenere così i prezzi di vendita. I surplus non utilizzati a grana sono però stati convogliati verso prodotti alternativi (come il provolone) che hanno conosciuto così situazioni di sovrapproduzione in rap-porto alla capacità di assorbimento del mercato.

Nel corso degli ultimi anni si sono inoltre accentuati fenomeni di frode e di sofistica-zioni. riguardanti l'utilizzazione del latte

in polvere (proveniente dagli stocks comu-nitari) ricostituito per la produzione di al-cuni formaggi da parte dell'industria tra-sformatrice.

Questo fenomeno, che in assenza di oppor-tune misure di intervento a livello comuni-tario tende a dilatarsi, ha contribuito a de-stabilizzare e a livellare verso il bassso il mercato di questi prodotti trasformati. Nel quadro prospettico del settore le minacce prevalgono sulle opportunità.

Tra le prime, un'importanza primaria as-sumono gli ICM, le fluttuazioni dei cambi e le svalutazioni della lira verde; dal loro andamento può risultare conveniente ai paesi eccedentari di latte l'esportazione nel nostro paese di questo prodotto.

Occorre inoltre sottolineare che proprio in tali paesi i livelli di produzione zootecnica sono salvaguardati attraverso diversi in-centivi pubblici, che rendono in tal modo la produzione locale estremamente compe-titiva con quella italiana.

Un notevole fattore di minaccia è inoltre rappresentato dalla introduzione delle quote produttive nei diversi paesi CEE; tale misura, volta a contenere le eccedenze produttive, nelle intenzioni comunitarie, risulterà estremamente punitiva per l'Ita-lia, paese deficitario teso ad innalzare il proprio quadro di autoapprovvigionamen-to.

Tra le opportunità, è da rilevare il conti-nuo incremento della resa per capo, che del resto avvicina il nostro Paese alla me-dia comunitaria, nonché il processo di concentrazione degli allevamenti, attraver-so l'eliminazione delle piccole unità pro-duttrici e l'ampliamento di quelle maggior-mente efficienti.

Per quest'anno appare probabile un incre-mento del patrimonio bovino in generale e di vacche da latte in particolare.

Tale aumento del patrimonio di bovine da latte, nonostante la probabile diminuzione delle unità produttive (in parte attenuata dal processo di intensificazione operato da-gli allevamenti medio-grandi), è dovuto al discreto andamento del mercato lattiero verificatosi nel corso degli ultimi due anni, in modo specifico per quanto riguarda i formaggi grana.

Queste valutazioni dovrebbero portare ad un conseguente incremento nella produzio-ne nazionale di latte.

Altri fattori, tuttavia, potrebbero ostacola-re tale espansione:

— la scarsità di foraggi, dovuta all'even-tuale siccità della stagione;

— le misure comunitarie consistenti nella tassa di corresponsabilità, e nel rispetto di quote di produzione nazionali.

I produttori che supereranno il quantitati-vo di latte assegnato dovranno corrispon-dere pesanti multe.

1 consumi finali interni di latte liquido hanno subito un'evoluzione positiva nel corso del più recente biennio, grazie anche agli effetti positivi della campagna promo-zionale avviata con l'intervento del fondo di corresponsabilità. A ciò va aggiunta la propensione del consumatore a sostituire parzialmente la carne con i formaggi ed altri derivati lattieri, ritenuti più conve-nienti.

In particolare, è il latte pastorizzato ad evi-denziare il più sensibile incremento di con-sumo, sia per le maggiori attenzioni ad esso dedicate da parte di molte aziende che operano nel settore del trattamento igieni-co, sia per gli effetti della vendita ormai frequentemente attuata al di fuori del

Nel documento Cronache Economiche. N.004, Anno 1985 (pagine 55-59)