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La codificazione giurisprudenziale della nozione di hosting

La giurisprudenza italiana

2. La codificazione giurisprudenziale della nozione di hosting

provider passivo: il caso RTI vs Yahoo! e il caso RTI vs Facebook.

Più recenti sono le controversie che vedono come parte attiva della vicenda Reti Televisive Italiane99 S.p.A. del Gruppo Mediaset e come parte passiva:

a) nel caso del 2009 Yahoo! (Yahoo! Italia s.r.l. e Yahoo! Inc.)100 b) e, nel recentissimo caso del 2019, Facebook (Facebook Inc. e

Facebook Ireland Limited).

Entrambe le cause affrontano il problema della distinzione tra hosting provider “attivo” e “passivo”101.

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La più importante società di produzione audiovisiva italiana, titolare in via esclusiva dei marchi di “Rete 4”, “Canale 5”, “Italia 1” e di tutti i programmi che si svolgono in quest’ultime.

100

Sentenza Trib. Milano 9 settembre 2011, n. 10893, Riv. dir. ind., 2011.

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Col tempo è risultato evidente e condivisibile da gran parte della giurisprudenza che la Direttiva e-commerce dovesse fare i conti col fatto che non esisteva più solo una figura di hosting provider – appunto attivo – ma ad essa di contrapponeva una figura diversa da quella del mero fornitore. È condivisibile la posizione del Trib. di Milano con sentenza del 7 giugno 2011 (nel caso Mediaset contro Italia Online). Nello stesso senso si era espresso, sempre il Trib. di Milano, con ordinanza del 5 settembre 2013 nella quale era stato ribadito che la “valutazione del comportamento e della (eventuale) responsabilità di un hosting provider da effettuarsi caso per caso, ha portato a distinguere le figure dell’hosting provider passivo e dell’hosting provider attivo, da individuarsi quest’ultimo nel soggetto che non si limita ad una fornitura neutra rispetto alla organizzazione della gestione dei contenuti immessi dagli utenti ma interviene nell’organizzazione e selezione del materiale trasmesso”. E pochi mesi prima, lo stesso Trib. di Milano, Sez. Civile I, con ordinanza del 23 maggio 2003, p. 7, pronunciandosi sui servizi offerti dal motore di ricerca Google, aveva ancora una volta ribadito che l’evoluzione tecnica

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Analizzando per prima la controversia del 2009 – vero e proprio leading case ai fini dell’elaborazione dei contorni della fattispecie – è opportuno ricordare che RTI, unica società legittimata ad esercitare i diritti di autore102 sui programmi che vengono trasmessi dai marchi di sua esclusiva titolarità, intimava il sito di Yahoo! ad interrompere immediatamente la diffusione illecita dei programmi.

Data l’inerzia in ordine alla richiesta di interrompere ogni trasmissione, Yahoo! venne citata in giudizio da RTI, la quale addebitava alla convenuta diversi illeciti di natura contraffattoria e chiedeva la riparazione del pregiudizio sofferto (per effetto degli stessi) nonché tutti i necessari provvedimenti di carattere inibitorio. Più in particolare, RTI chiedeva che venisse intimato alla convenuta di astenersi dalla violazione (per il futuro) dei diritti di esclusiva, mediante l’interruzione dell’uso e dello sfruttamento commerciale delle trasmissioni. Chiedeva inoltre la rimozione dal sito Yahoo! dei video che riproducevano le trasmissioni di RTI.

Dal canto suo, Yahoo! si difendeva sostenendo – tra l’altro – di ricoprire un ruolo meramente marginale e, più precisamente, di svolgere una funzione di gestione della piattaforma informatica senza tuttavia alcun obbligo di controllo preventivo del contenuto dei files da pubblicare103.

Il giudice di primo grado fece ruotare l’intera argomentazione intorno alla distinzione tra un provider attivo e un provider passivo104.

in materia di servizi Internet ha determinato il superamento della figura tipica di provider, per condurre a una figura di “prestatore di servizi non completamente passiva e neutra rispetto alla gestione dei contenuti immessi dagli utenti (c.d. hosting attivo)”.

102

Si tratta di diritti di sfruttamento economico e diritti di privativa industriale.

103

L’art. 15 della Direttiva e-commerce, che prevede l’assenza dell’obbligo generale di sorveglianza in capo ai provider, veniva ritenuto violato, e quindi evocato, dalla società RTI.

104

Sull’importanza dell’hosting provider attivo (anche ai fini della determinazione della responsabilità in capo al provider) si veda C. MARVASI, Il ruolo “attivo” dell’hosting provider: una decisa nota critica alla interpretazione della Corte di Milano in tema di responsabilità in Internet per violazione del diritto d’autore, in www. leggioggi.it., 15 febbraio 2015.

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Sulla base di tale distinzione, il Tribunale di Milano concluse nel senso dell’impossibilità di qualificare Yahoo! come un hosting passivo e imparziale rispetto alla organizzazione e alla gestione dei contenuti caricati online dagli utenti.

Gli elementi sui quali il giudice si è basato per ritenere che Yahoo! avesse un ruolo attivo nella vicenda sono stati essenzialmente tre:

i) innanzitutto il fatto che gli utenti della piattaforma avessero la possibilità di cercare nel sito i contenuti che desiderassero tramite un motore di ricerca che prevedeva l’utilizzo di parole- chiave coincidenti con i titoli delle trasmissioni televisive richieste;

ii) la presenza di servizi aggiuntivi, e in particolare del servizio di ricerca e proiezione di “video correlati”, ossia video della stessa natura, analoghi a quelli che avevano precedentemente visualizzato. Ma soprattutto il fatto che, a ricerca conclusa, la piattaforma fornisse (e suggerisse all’utente) tale ulteriore servizio in via automatica, senza la necessità di un’operazione di selezione e di digitazione – da parte dell’utente – di un comando “nascosto”;

iii) da ultimo, il fatto che la stessa Yahoo! nel regolamento generale di contratto (“Terms e Conditions”) pubblicato sul proprio sito, prevedeva il diritto modificare i contenuti caricati dagli utenti, riservandosi anche il diritto di rimuoverli nel caso fossero considerati – a sua discrezionalità – lesivi dei diritti di terzi105.

Su queste basi, secondo l’accertamento operato dal Tribunale di Milano, Yahoo! si sarebbe attribuito un autonomo potere di controllo sulla liceità del materiale che veniva pubblicato dagli utenti: per il giudice, di fronte alla prospettazione di RTI la quale evocava la

105

Yahoo! aveva, inoltre, predisposto un servizio apposta per segnalare i video abusivi da parte degli utenti e, questo aspetto è importante, prevedeva di obbliarsi verso gli stessi utenti per le conseguenze e per i danni derivanti dalla pubblicazione di contenuti illeciti.

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presenza di numerosi files di sua proprietà presenti sulla piattaforma, fu semplice giudicare Yahoo! responsabile per indebita riproduzione e diffusione dei contenuti (caricati da terzi).

Sul fronte opposto si collocò la ricostruzione della vicenda operata dal giudice di appello, il quale sostenne che il provider avesse svolto un’attività di mera prestazione di servizi, e che quindi non dovesse essere ritenuto responsabile delle violazioni commesse dagli uploader a danno di RTI.

Una posizione ulteriormente diversa è stata espressa infine dalla Corte di Cassazione.

In tale sede, la sentenza d’appello fu ritenuta erronea sull’assunto che la stessa avrebbe dilatato in modo incontrollato – e con un correlativo ed ingiustificato pregiudizio per i titolari di diritti di privativa – l’area di esenzione da responsabilità di un “imprenditore commerciale che non provvede sui contenuti illecitamente presenti nei suoi sistemi informatici e che ne trae vantaggio” nonostante la ricezione di una diffida (tesa ad ottenere la cessazione del comportamento illecito)106. Evidente è in questo caso il ruolo dei principi generali: come pure, in un certo senso, appare inevitabile, fisiologico, che la risposta del giudice dipenda dal bilanciamento discrezionale tra i valori di libertà d’impresa – che, come si è detto, costituiscono la regola nella disciplina dei servizi della società dell’informazione e nel trattamento della posizione (e connesse responsabilità) del prestatore del servizio – e la contrapposta esigenza di garantire il rispetto del diritto di autore107 e delle privative intellettuali.

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V. al riguardo le considerazioni di V.IAIA, La rinnovata responsabilità dell’internet service provider tra tenaci esigenze imprenditoriali e copiose istanze di tutela dei diritti d’autore nel mercato unico digitale, in Ius in Itinere, n. 01/2019, p. 13.

107

Il Trib. di Cuneo con ordinanza 23 giugno 1997, in Giur. piemontese, 1997, e poi con sentenza 19 ottobre 1999, in AIDA, 2000, ha escluso la responsabilità del provider per la violazione del diritto d’autore. Nel caso ad oggetto, il provider si era limitato ad offrire accesso alla rete nonché lo spazio sul proprio server per la pubblicazione dei servizi informativi.

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In altri termini, il ragionamento della Corte di Cassazione, prima ancora che affidarsi ai singoli precetti della Direttiva e-commerce e della corrispondente disciplina italiana, si sviluppa sul piano dei valori. Il punto di vista della Corte è che la libertà del provider (intesa quale libertà di un operatore economico nell’esercizio della sua attività imprenditoriale o libero-professionale: libertà che, per essere tale, reclama protezione contro meccanismi di propagazione della responsabilità a titolo oggettivo) sta sullo stesso piano dei diritti di proprietà industriale e intellettuale positivamente tutelati dalle regole europee e nazionali. Non è più importante né meno importante. Ed è in quest’ottica che assume rilievo la distinzione tra provider attivo e passivo: nell’ottica, cioè, di dirimere un conflitto tra valori equiordinati108.

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Del resto la stessa definizione di “provider attivo” è tutt’altro che agevole. Lo rileva anche V.IAIA,op. cit., p. 7, il quale osserva che “la figura del c.d. hosting attivo, di creazione pretoria, è una figura ibrida che invita a ragionare sull’attuale possibilità di configurare un sistema che dia per pacifica la neutralità dei provider rispetto agli illeciti verificatisi online a causa delle attività condotte da terzi, gli utenti della rete. Invero, il costante arricchimento dei servizi offerti dalle piattaforme di video sharing fa emergere dei significativi dubbi rispetto alla qualificazione dei provider come neutrali, tra le caratteristiche che fanno sì che l’intermediario abbia un ruolo propulsore – tutt’altro che passivo – si pensi, per esempio, alle seguenti funzioni ormai comuni ai moderni ISP: 1. la presenza di un motore di ricerca interno; 2. la segnalazione dei “preferiti”; 3. il suggerimento di collegamenti e contenuti correlati; 4. classificazioni per argomenti e categorie di soggetti; 5. toplist e hotlist; 6. sistemi di segnalazione degli abusi.

Inoltre, i sistemi in oggetto tendono ad adottare una regolamentazione contrattuale standard con i destinatari dei servizi che stabilisce un diritto del provider di essere manlevato dall’utente per i danni derivanti dalle condotte illecite di quest’ultimo, attribuisce al gestore della piattaforma il diritto di disabilitare i contenuti memorizzati in caso di abusi e gli conferisce la licenza per utilizzare i suddetti contenuti anche per scopi diversi da quelli per i quali erano stati caricati dagli utenti.

Ne consegue che difficilmente le piattaforme telematiche moderne integranti anche i servizi di video sharing possano essere ricondotte ad un mero servizio di hosting tecnico e neutrale poiché dietro la predisposizione del servizio è contemplata una complessa attività di organizzazione, indicizzazione e selezione dei contenuti per finalità pubblicitarie sostanzialmente lucrative. Tali attività ben possono essere assimilate ad attività tecniche evolute finalizzate alla gestione dei contenuti immessi nel contenitore, con la conseguente difficoltà di portarle sotto il cappello delle sensioni contenute agli artt. 16 e 17 del d.lgs. 70/2003.”

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Passando all’altra recentissima controversia, le parti in causa erano: RTI – anche qui – come parte attiva insieme alla Signora Valentina Ponzone109 e la società Facebook, come convenuta110.

La ragione per cui RTI e la Sig.ra Ponzone avevano fatto causa al social network111 era perché – su quella piattaforma – era stata creata una pagina intitolata “Valentina Ponzone nei panni di Kilari è assolutamente ridicola”. Ma, più nello specifico, la condotta illecita che veniva contestata a Facebook riguardava due fatti: in primo luogo, l’aver permesso agli utenti di creare una pagina in cui venivano scritti commenti offensivi nei confronti della Sig.ra Ponzone e – soprattutto – il fatto che sulla pagina erano stati creati dei collegamenti ipertestuali che rimandavano ad immagini e video del cartone animato trasmesso su “Italia 1”; e, nonostante la pagina fosse stata segnalata e Facebook fosse stato intimato ad eliminare la informazioni illecite, la rimozione effettiva avvenne soltanto dopo due anni.

Il giudice di primo grado si occupò di più punti della controversia, in particolare: 1) il primo punto cruciale – su cui successivamente ribatté anche la difesa – si suddivideva in due argomenti: i) se Facebook fosse un provider attivo o passivo; ii) e poi, la violazione del diritto di autore; 2) il secondo punto riguardava la violazione dei diritti costituzionalmente garantiti: la lesione dell’onore, del decoro e della reputazione della Sig.ra Ponzone. Facendo un bilanciamento tra la libera manifestazione del pensiero e i diritti della persona, il giudice accolse la domanda.

Descrivendo sommariamente la vicenda, era successo che Facebook aveva messo a disposizione sulla sua piattaforma del materiale

109

È necessario premettere che la Signora Ponzone – coprotagonista della vicenda – è un’artista, nota per aver cantato la sigla televisiva del cartone animato “Kilari” del quale RTI è titolare esclusivo.

110

Sentenza Trib. delle Imprese di Roma, n. 3512, del 15 febbraio 2019.

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Sul punto, è opportuno ricordare che i social network vanno distinti dagli altri ISP, perché: i provider si limitano a trasmettere delle informazioni attraverso la rete, invece i social network svolgono una funzione di hosting che consente di memorizzare le informazioni e/o i dati provenienti dal destinatario del servizio.

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audiovisivo di proprietà della RTI, la quale non aveva autorizzato l’uso e, per di più, sulla pagina erano stati creati dei collegamenti ipertestuali i quali rimandavano a loro volta ad un altro sito112. Questa attività venne considerata illecita.

Per quanto riguarda il punto n. 1. il ragionamento del giudice di primo grado fu sbagliato da principio, perché erroneamente prese di riferimento la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), la quale diceva che all’art. 14 della Direttiva e- commerce esonerava il provider da responsabilità nel caso in cui fosse venuto a conoscenza dell’illecito in forma “atipica”. Ragion per cui, ritenendo che Facebook fosse venuto a conoscenza della presenza del materiale in forma atipica, per il giudice di primo grado sussisteva in capo al social network – e questo però indipendentemente dal fatto di essere un provider attivo o passivo – l’obbligo di rimuovere il materiale audiovisivo.

Dall’altra parte Facebook – appunto – da sempre considerato un provider passivo, contestava: i) la propria responsabilità civile in tal senso, respingendo tutte le condotte illecite che gli venivano attribuite; dunque, il fatto di essere un provider passivo, permetteva al social network di derogare alla disciplina ex art. 2043 c.c. e, più precisamente, di essere esonerato da qualsiasi responsabilità civile sia per il materiale pubblicato (anche in assenza di un controllo preventivo) e per il mancato invio di una diffida qualificata volta alla rimozione del materiale113. ii) Inoltre, riteneva di non essere stato messo a conoscenza in modo adeguato della pagina contestata e dei

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Sul carattere illecito della pubblicazione di un link con collegamento ipertestuale senza preventiva autorizzazione del titolare, si espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 26 aprile 2017, caso C-527/15, la quale ha affermato che “l’atto di collocare un collegamento ipertestuale verso un’opera illegittimamente pubblicata su Internet costituisce una ‹‹comunicazione al pubblico›› ai sensi dell’art. 3, par. 1, della direttiva 2001/29 . Inoltre, “la messa in rete di un’opera protetta dal diritto d’autore su un sito Internet diverso da quello sul quale è stata effettuata la comunicazione iniziale con l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore deve essere qualificata come messa a disposizione di un pubblico nuovo di siffatta opera” (Sentenza del 7 agosto 2018, caso C-161/17).

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contenuti presenti in essa, perché nella diffida la controparte non aveva indicato l’URL di dove si trovavano i commenti offensivi e, di conseguenza, il suo obbligo di intervento era venuto meno114.

Alla luce di queste considerazioni, Facebook venne giudicato responsabile perché aveva provveduto alla cancellazione definitiva della pagina soltanto due anni dopo la prima intimazione – ritenuta valida – della sig.ra Ponzone e RTI: termine così lungo da determinare una “colpevole omissione del proprio dovere di intervento e diligenza”115

.

***

I risultati della giurisprudenza, complessivamente, sono coerenti con l’impostazione adottata dal legislatore europeo che esclude la presenza di un controllo preventivo in capo al provider sui contenuti che vengono pubblicati. Anche ai social network come Facebook – i quali, ad oggi, sarebbero in grado di svolgere un controllo c.d. “a macchia di leopardo” su tutti gli utenti – viene accordata dunque una generale esenzione da compiti di sorveglianza sui materiali pubblicati116.

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Il giudice respinse questa eccezione, motivando che l’URL si limita a indicare il “luogo virtuale” in cui il materiale è collocato.

115

Sul punto, ma da un altro punto di vista, è importante anche la Sentenza del Trib. di Roma n. 8437 del 27 aprile 2016 (R.T.I. Reti Televisive Italiane S.p.a. contro la piattaforma statunitense TMFT Enterprises, LLC – Break Media). Qui, il giudice ha definito Break Media (il quale riteneva di essere – come Facebook – un provider passivo) come un «sistema avanzato ed in continua evoluzione» e quindi «del tutto incompatibile con la figura del semplice hosting». Dunque, precisato questo, è importante dire che – come sappiamo – un hosting attivo non è soggetto ad un obbligo generale di sorveglianza, ma non si esclude che sia irresponsabile qualora sia a conoscenza del contenuto illecito dell’attività o dell’informazione (perché messo a conoscenza o dal titolare dei diritti lesi o dall’autorità competente) e non si attivi prontamente per rimuovere gli stessi e prosegua invece a fornire strumenti per la reiterazione della condotta illecita. Break Media venne condannato al risarcimento del anno.

116

L’art. 16 del D.lgs. 70/2003 che ha recepito l’art. 14 della Direttiva, in riferimento alle “segnalazioni” ricevute dai provider sulla commissione dell’illecito, prevede un requisito ambiguo: e cioè che la comunicazione provenga da “un’autorità competente”. Questa definizione crea dei problemi: e infatti l’orientamento maggioritario si discosta da questa previsione (cfr. Trib. di Cuneo, 23 giugno 1997 e 19 ottobre 1999; Trib. Roma, 22 gennaio 2010; App. Milano, 7 gennaio 2015; Trib. Napoli Nord, 3 novembre 2016, tutte consultabili in www.dejure.com).

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Sezione II

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