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I casi Scarlet e Netlog: l’imposizione giudiziale di filtri preventivi nel quadro dei princìpi europei di libertà d’impresa.

La giurisprudenza europea

3. I casi Scarlet e Netlog: l’imposizione giudiziale di filtri preventivi nel quadro dei princìpi europei di libertà d’impresa.

I casi Scarlet e Netlog sono stati decisi dalla CGUE a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro.

Il primo caso vede come parte attrice la Société belge des auteurs, compositeurs et éditeurs SCRL (SABAM) – società che rappresenta gli autori, i compositori e gli editori di opere musicali ed autorizza l’utilizzo delle loro opere da parte di terzi – e come controparte la ScarletExtended SA, società che fornisce ai propri clienti l’accesso ad Internet (FAI), senza tuttavia prevedere altri servizi come lo scaricamento o la condivisione dei file.

Nel corso del 2004, la SABAM agiva nei confronti della Scarlet, lamentando la violazione dei diritti di autore relativi a una serie di opere musicali che venivano scaricate da Internet per mezzo della piattaforma gestita dalla Scarlet grazie ad un software c.d. «peer-to- peer140». Il tutto, ovviamente, senza autorizzazione e senza che ne venissero pagati i diritti.

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Da questo punto di vista, il riferimento finale alla diligenza nella valutazione del comportamento dell’operatore economico (il fatto cioè che non basti una semplice notifica, ma che la notifica debba essere tale da “allertare” un soggetto normalmente diligente) rappresenta un ulteriore fattore di distanza da un modello di attribuzione in chiave oggettiva delle responsabilità civili (cfr. Capitolo I). Sul punto è importante ricordare l’ordinanza del Trib. di Firenze, 25 maggio 2012, sul caso della conoscenza del contenuto illecito da parte del provider.

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Le reti «peer-to-peer» costituiscono uno strumento aperto per la condivisione di contenuti; è un sistema indipendente, decentralizzato e dotato di avanzate funzioni di ricerca e di scaricamento di file.

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Di conseguenza, la SABAM domandava che la Scarlet fosse condannata, a pena di ammenda, a far cessare le violazioni bloccando qualsiasi forma di invio o di ricezione da parte dei suoi clienti se non dietro autorizzazione dei titolari dei diritti di autore sui files musicali. Il Tribunal de Première instance de Bruxelles accertava l’esistenza delle violazioni del diritto d’autore e – dopo aver disposto una perizia d’ufficio che valutasse la fattibilità della misura richiesta dalla SABAM e la sua effettiva idoneità ad impedire la reiterazione dei comportamenti illeciti da parte degli utenti – condannava la Scarlet a filtrare e bloccare qualsiasi forma di scambio materiale protetto da copyright141.

La Scarlet propose appello contro la sentenza di primo grado, facendo leva su due profili: a) in primo luogo, affermava l’impossibilità di ottemperare a tale ingiunzione poiché l’efficacia e la durata nel tempo dei dispositivi di blocco o di filtraggio non erano dimostrate e l’attuazione di tali dispositivi era ostacolata da diversi fattori pratici, quali problemi di capacità della rete e di impatto sulla stessa; b) in secondo luogo, affermava che qualsiasi tentativo di bloccare i file “incriminati” sarebbe stato destinato al fallimento nel breve termine, perché i numerosi programmi «peer-to-peer» avrebbero reso impossibile la verifica del loro contenuto da parte di terzi.

La Corte d’Appello di Bruxelles sollevò due questioni pregiudiziali alla CGUE, ovvero:

i) se il diritto comunitario (più specificamente: la Direttiva 95/46, la Direttiva e-commerce e la Direttiva 2002/58), tenendo conto anche degli artt. 8 e 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, consentisse agli Stati

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Tuttavia, prima di emanare provvedimenti inibitori, incaricò un perito di verificare se le soluzioni tecniche proposte dalla SABAM fossero tecnicamente realizzabili, se esse consentissero di filtrare unicamente gli scambi illeciti di file e se esistessero altri dispositivi idonei a controllare l’utilizzo di programmi «peer to peer», nonché di quantificare il costo dei dispositivi considerati. Causa C-70/10, parr. 19-21.

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membri di autorizzare un giudice nazionale142 ad ordinare ad un FAI (come la Scarlet) di predisporre un sistema di filtraggio:

1. attraverso programmi «peer-to-peer»; 2. nei confronti dell’intera clientela; 3. a titolo preventivo;

4. per un tempo indeterminato; 5. e a proprie spese,

allo scopo di intercettare in rete la circolazione di file (contenenti un’opera musicale, cinematografica o audiovisiva protetta da copyright) e di bloccarne il trasferimento al momento della richiesta o in occasione dell’invio143

;

ii) e se, in caso di risposta affermativa alla prima questione, il diritto europeo obblighi il giudice nazionale ad applicare il principio della proporzionalità laddove si tratti di decidere in ordine all’efficacia e all’effetto dissuasivo della misura di filtraggio e blocco144

.

La statuizione della Corte rappresenta un’applicazione della tecnica del bilanciamento tra le libertà fondamentali previste dal diritto dell’Unione. In proposito, occorre ricordare che la Direttiva e- commerce, nel definire i margini di responsabilità (o meglio le esenzioni da responsabilità) per i prestatori di servizi della società dell’informazione, nel definire cioè – indirettamente – l’estensione dei controlli esigibili da un intermediario della rete, fornisce soluzioni equilibrate, in cui la regola è la libertà di azione, sia per il gestore della rete sia per gli utenti che si avvalgono dei suoi servizi, e in cui al contrario il dovere di sorveglianza e di intervento del gestore ha un ambito di applicazione circoscritto.

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In base alla disposizione di legge che prevede che “i giudici nazionali possono altresì emettere un’ingiunzione recante un provvedimento inibitorio nei confronti di intermediari i cui servizi siano utilizzati da un terzo per violare il diritto d’autore o un diritto connesso”.

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Causa C-70/10, par. 29.

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L’argomentazione sviluppata dalla CGUE si sonda nei seguenti passaggi:

1. da un punto di vista fattuale, l’attuazione di un sistema di filtraggio presuppone:

 in primo luogo, che il FAI identifichi, nell’insieme delle comunicazioni elettroniche di tutti i suoi clienti, i file che appartengono al traffico «peer-to-peer»;

 che esso identifichi, in secondo luogo, nell’ambito di tale traffico, i file che contengono opere sulle quali i titolari dei diritti di proprietà intellettuale affermino di vantare diritti;

in terzo luogo, che esso determini quali tra questi file sono scambiati in modo illecito;

 infine, “che proceda al blocco degli scambi di file che esso stesso qualifica come illeciti”145

;

2. l’ingiunzione rivolta alla Scarlet dal giudice belga, avente ad oggetto la predisposizione di un sistema di filtraggio con le caratteristiche sopra descritte, obbligherebbe il FAI a procedere ad una sorveglianza attiva su tutti i dati di ciascuno dei suoi clienti per prevenire qualsiasi futura violazione di diritti di proprietà intellettuale. Sembra evidente che l’assenza di limiti al dovere di sorveglianza significherebbe, per l’intermediario, un onere tale da azzerare la libertà d’impresa del prestatore del servizio. Di qui la conclusione della Corte, secondo cui un’ingiunzione come quella disposta dal giudice di Bruxelles comporterebbe un dovere di sorveglianza generale e preventivo in capo al provider che risulterebbe in contrasto con l’art. 15146

;

3. la conclusione della Corte trova conferma nell’analisi della questione dal punto di vista dei diritti tutelati dalla Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea. La CGUE rileva che l’ingiunzione di predisporre il sistema di filtraggio non permetterebbe un giusto

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Causa C-70/10, par. 38.

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equilibrio tra la tutela del diritto di proprietà intellettuale (da un lato) e la libertà d’impresa (dall’altro)147

. Senza considerare che gli effetti dell’ingiunzione non si limiterebbero solo alla Scarlet: al contrario, il sistema di filtraggio controverso è idoneo a ledere anche i diritti fondamentali dei clienti del FAI, ossia il loro diritto alla tutela dei dati personali e la loro libertà di ricevere o di comunicare informazioni; 4. sempre dal punto di vista delle libertà fondamentali, occorre tenere in considerazione anche la libertà di informazione. Sul punto, la CGUE fa osservare che detta ingiunzione rischierebbe di ledere la libertà di informazione, poiché tale sistema potrebbe non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto lecito ed un contenuto illecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito;

5. il rischio di un pregiudizio alla libertà di informazione – rileva la Corte – potrebbe essere alimentato da una circostanza ulteriore, e cioè l’assenza di uniformità piena tra le discipline nazionali in materia di copyright. In particolare, si è detto che «la questione della liceità di una trasmissione dipende anche dall’applicazione di eccezioni di legge al diritto di autore che variano da uno Stato membro all’altro» e che inoltre «in certi Stati membri talune opere possono rientrare nel pubblico dominio o possono essere state messe in linea gratuitamente da parte dei relativi autori»148.

***

L’altra controversia in cui la CGUE ha confermato quanto detto nel caso Scarlet vedeva come parte attrice la Belgische Vereniging van Auteurs, Componisten en Uitgevers CVBA (l’equivalente belga della SABAM del caso precedente) e la Netlog NV, un social network, che gestisce una piattaforma online in cui vengono condivise – tra gli utenti – informazioni memorizzate e contenuti audiovisivi. Su questa

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Causa C-70/10, parr. 49-54.

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piattaforma può iscriversi chiunque e, in seguito all’iscrizione, il nuovo utente riceve uno spazio personale (o meglio «profilo»), che può riempire a suo piacimento e che è accessibile a tutti.

La funzione principale di Netlog, utilizzata ogni giorno da milioni di persone, è quella di creare comunità virtuali per consentire agli utenti iscritti di comunicare tra loro e, in tal modo, di stringere amicizie. Sul proprio profilo gli utenti possono, in particolare, tenere un diario, indicare i propri passatempi e preferenze, mostrare i propri amici, visualizzare foto personali o pubblicare estratti di video149.

La SABAM ha agito contro Netlog lamentando il fatto che la piattaforma permettesse anche agli utenti di pubblicare attraverso il loro profilo – senza autorizzazione e senza un compenso – opere musicali ed audiovisive appartenenti al repertorio della SABAM. Opere che, in questo modo, venivano messe a disposizione del pubblico, così che anche altri utenti potessero avervi accesso150.

La SABAM esercitò un’azione inibitoria, chiedendo, in particolare, che venisse ordinato al social network di cessare immediatamente qualsiasi messa a disposizione illecita delle opere musicali o audiovisive del repertorio della SABAM.

Netlog articolò la propria difesa sostenendo essenzialmente che l’accoglimento dell’azione della SABAM avrebbe significato l’imposizione di un obbligo generale di sorveglianza in capo alla convenuta, in palese contrasto con i principi ispiratori della Direttiva e-commerce151. A conferma (e a integrazione di ciò) la Netlog affermò che l’accoglimento di un’azione inibitoria avrebbe innescato tutta una serie di conseguenze a catena, con risultati disastrosi o in ogni caso insostenibili sul piano imprenditoriale (difesa, questa, di primissima importanza nell’ottica del necessario bilanciamento tra diritti di autore 149 Causa C-360/10, parr. 16 e 17. 150 Causa C-360/10, par. 18 151

Vietato dall’art. 21, par. 1, della legge dell’11 marzo 2003, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, che recepisce nel diritto nazionale l’art. 15, par. 1, della Direttiva e-commerce.

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e libertà di impresa): in particolare, avrebbe avuto “l’effetto di costringerla a predisporre, nei confronti della sua intera clientela, in abstracto e a titolo preventivo, a sue spese e senza limiti nel tempo, un sistema di filtraggio della maggior parte delle informazioni memorizzate sui suoi server, al fine di individuare file elettronici contenenti opere musicali, cinematografiche o audiovisive sulle quali la SABAM affermi di vantare diritti e, successivamente, di bloccarne lo scambio”. E la predisposizione di un sistema di filtraggio di questo tipo avrebbe fatto sorgere – di conseguenza – la necessità di adempiere ad altri obblighi di carattere organizzativo.

Il giudice di primo grado sospese il procedimento e sollevò alla CGUE la stessa questione pregiudiziale che venne sollevata dalla Corte d’Appello di Bruxelles nel caso Scarlet e cioè, sinteticamente, se questo tipo di ingiunzione fosse compatibile con l’art. 15 della Direttiva e-commerce.

Anche qui, la CGUE dopo aver accertato la natura di hosting provider del social network, riprese il procedimento logico del caso Scarlet: a parte il rilievo secondo cui il diritto di proprietà intellettuale non è un diritto intangibile da tutelare in via assoluta (ed infatti, fa notare la Corte, possono essere previste delle restrizioni a condizione che non ne venga intaccato il nucleo centrale), il punto più importante della pronuncia, che poi è ciò che accomuna le due vicende giudiziarie, è rappresentato dal riconoscimento dell’esigenza di bilanciare la proprietà intellettuale con le varie libertà fondamentali del caso con cui volta per volta si trova a “dialogare”.

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4. Il valore orientativo del precedente giudiziale che accerta

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