3. I CARATTERI DELLE PRIME SCRITTURE AUTOBIOGRAFICHE
3.2 PROSPETTIVE D’INDAGINE: DAL PIANO TEORICO‐FORMALE
3.2.1.1 LA COLLABORAZIONE E I GENERI SECONDO CACCIATORI, GNISCI E LA BURNS»
periodici disparati, recensioni varie. Sono intervenuti quindi professori universitari
italiani e italoamericani, docenti di scuole medie impegnati nell’aggiornamento della didattica alla luce dei cambiamenti della società italiana, operatori interculturali e giornalisti interessati al recente filone interculturale36.
3.2.1.1 LA COLLABORAZIONE E I GENERI SECONDO
CACCIATORI, GNISCI E LA BURNS
In una prima fase lo sguardo rivolto a questi scritti è stato quello del tradizionale
critico e filologo letterario attento ad inquadrare il genere letterario preso in causa,
con le sue relative peculiarità e modelli o canoni di riferimento. Osservazioni piuttosto
critiche arrivano da Cacciatori nell’ intervento apparso nel 1991 sull’annuario
Tirature37. La collaborazione linguistica di Fortunato e Pivetta con rispettivamente Methnani e Khouma, avvenuta «a monte del testo», ha tradito una versione che sulla pagina scritta sarebbe risultata di un «italiano semplicemente sgrammaticato»
per confezionare in ultima istanza un romanzo appetibile e adatto al pubblico italiano
incuriosito dal fenomeno immigrazione. Il genere autobiografico, genere solista per antonomasia, sarebbe stato ‘tradito’ dalla presenza di un coautore, che avrebbe
apportato un’ «audace novità» o anche una «scorciatoia che sarebbe stata giudicata incongruente se le fonti della narrazione fossero state italiane». Il tradimento della prima versione dell’autore sarebbe stata in tal modo inficiata e distorta dal nuovo
taglio romanzesco di impronta avventurosa voluta dal collaboratore.
Per raggiungere presso il pubblico italiano questo scopo [quello di proporre i nuovi immigrati così «diversi e precari da avere il solo problema di essere
36
Ivi, pp. 88‐89
37 CACCIATORI, Remo, Il libro in nero. Storie di immigrati, in SPINAZZOLA, Vittorio (a cura di), Tirature ’91, Torino, Einaudi, 1991, pp.164‐173
accolti»], il lavoro editoriale di Pivetta e Fortunato ha plasmato le narrazioni dei
loro ‘coautori’ sulle convenzioni del romanzo picaresco –basate sulle
peregrinazioni di un eroe ‘diverso’ che resta tale‐ e del romanzo di formazione‐ il cui protagonista finisce col giungere alla maturità e alla socializzazione.38
I risultati finali sarebbero infine quelli di «strani romanzi di formazione», dove «non sono i giovani protagonisti, ma è la società a dover crescere: infatti le loro apparenti storie di stranieri che accettano i modi di vivere di chi li ospita, invitano nella sostanza chi li ospita ad accettare i modi di vita degli stranieri»39. Ciò è evidenziato fra l’altro dagli stessi risvolti di copertina dei libri: in quello di Khouma40 si parla di «peregrinare picaresco», in quello di Methnani41 di «diario intimo». Come il nostro lettore può ricordare, la forma del romanzo picaresco viene evocata da Pezzarossa nel suo intervento Leggere testi migranti42 di cui ho riportato il passo più saliente alle pp.38‐39. E’ un aspetto che viene ammesso anche da Gnisci:
[...]il carattere assolutamente autobiografico di questi primi testi
dell’immigrazione porta con sé, e allo steso tempo ne è portata, la grande forma della narrazione avventurosa, della esistenza intensa come un viaggio verso e attraverso terre straniere e meravigliose. Terre che ora,
finalmente, sono le nostre. Questi libri parlano di veri e propri pellegrini
avventurosi che affrontano serie di scelte e difficoltà, di peripezie e di
accadimenti perigliosi spostandosi e migrando e che hanno le proprie
38 Ivi, p.168
39
Ibidem
40 KHOUMA, Pap, PIVETTA, Oreste (a cura di), Io, venditore di elefanti. Una vita per forza fra Dakar, Parigi, Milano, Milano, Garzanti, 1996
41 FORTUNATO, Mario; METHNIANI, Salah, Immigrato, Roma‐ Napoli, Theoria, 1990
42
94
vicende da raccontare43
Nondimeno Gnisci non accetta di relegare questa produzione a semplice sottogenere contaminato e in formazione scritto in collaborazione. Dalle sue parole44egli sembra affermare: nonostante il taglio avventuroso‐picaresco reso probabilmente, oltre che dall’effettiva perigliosità che contraddistingue il viaggio di un immigrato, dalla collaborazione con giornalisti‐scrittori (sapienti dei gusti dei lettori), questi testi hanno molto altro da dirci. Essi parlano soprattutto di un nuovo incontro epocale (e non di
conquista questa volta) dell’uomo del Sud con l’uomo del Nord del mondo, sollevano questioni sul nostro vivere da cittadini occidentali, parlano di diverse traiettorie di sguardi. Ma sono tutti aspetti che analizzeremo debitamente più avanti.
Circa il rapporto di collaborazione avutosi nei testi di Immigrato, Volevo diventare
bianca, Io, venditore di elefanti: Una vita per forza tra Dakar, Parigi e Milano e La promessa di Hamadi indaga attentamente la Burns nel suo intervento Frontiere nel testo: autori, collaborazioni e mediazioni nella scrittura italofona della migrazione 45. A
suo avviso l’espediente della collaborazione può essere per esempio positivo qualora venga interpretato come un gesto di mediazione culturale che il coautore italiano
compie tra lo scrittore immigrato e il lettore (italiano o straniero che sia). Le introduzioni dei testi curate appunto dai coautori diventano un ‘gesto di ospitalità’,
che invita «sia l’autore che il lettore ad un dialogo con l’’altro’, italiano o straniero, previamente considerato incomprensibile»46. D’altronde lo stesso fenomeno potrebbe
43
GNISCI, Armando, Testi degli immigrati extraeuropei in Italia in italiano, in VALVONSEM, Serge; MUSARRA, Franc; VAN DEN BOSSCHE, Bart (a cura di), Gli spazi della diversità Atti del Convegno Internazionale Rinnovamento del codice narrativo in Italia dal 1945 al 1992, vol.II , Roma‐Leuven, Bulzoni‐Leuven University Press, 1995, pp.513‐514
44
Ivi, p. 514‐515
45 BURNS, Jennifer, Frontiere nel testo: autori, collaborazioni e mediazioni nella scrittura italofona della migrazione, in BURNS, Jennifer; POLEZZI, Loredana (a cura di), Borderlines. Migrazioni e identità nel Novecento, Isernia, Cosmo Iannone Editore, 2003, pp.203‐211
46
essere visto come una forma di assistenza: la ben nota scrittrice o editrice locale concede il suo nome ad uno scrittore e ad un testo che hanno bisogno di sostegno. I servizi che offre –rifinitura del tessuto linguistico, rafforzamento della struttura, chiarimenti di natura culturale –forniscono una sorta di «impalcatura testuale»47 ad un testo che, implicitamente, è troppo debole per reggersi da solo. Per esempio, nell’edizione Bompiani 2006, Fortunato ragguaglia il lettore sulla sua prima collaborazione con Methnani per la stesura dell’inchiesta sull’Espresso, che sarà la ‘madre’ da cui verrà poi sviluppato il libro intero, e usa queste parole «L’articolo sarebbe uscito a sua firma ma, possedendo lui un italiano un po’ lacunoso, lo avrei scritto io […]»48. Quindi il «gesto di sostegno»49 non sarebbe altro che una «conferma
di carenza»50. A questo punto (critico) la Burns chiama in causa il pensiero di Jacques Derrida in Politics of Friendship51. «Derrida postula che il pensiero, per gli esseri
umani, è inestricabile dall’amicizia: il pensiero necessariamente si indirizza e passa
attraverso un’altra persona, l’altro»52. Le parole riprese di Derrida sono infatti:
Penso, perciò sono l’altro: penso, perciò ho bisogno dell’altro (per pensare):
penso, perciò la possibilità di amicizia è compresa nel movimento del mio pensiero nella misura in cui domanda, richiede, desidera l’altro, la necessità
dell’altro, la causa dell’altro al cuore del cogito53
Se dunque applichiamo dunque questa dinamica alle nostre produzioni il coautore diverrebbe non elemento esterno e indipendente, bensì elemento interno al testo, la
cui funzione è sarebbe quella di facilitare ed assistere la crescita del testo stesso,
47 Ibidem 48 FORTUNATO, Mario; METHNIANI, Salah, Immigrato, Milano, Tascabili Bompiani, 2006, p. IV 49 Ibidem 50 Ibidem 51 DERRIDA, Jaques, Politics of Friendship, tradotto da G.Collins, Londra‐New York, Verso edizioni, 1997 52 BURNS, Jennifer, Frontiere nel testo: autori, collaborazioni e mediazioni nella scrittura italofona della migrazione, cit., p. 205 53 DERRIDA, Jaques, Politics of Friendship, cit., p.224
96
«fornire l’impeto e il supporto alla trasformazione dei pensieri dell’autore in testo»54.
Rileggendo inoltre quanto è stato detto da Foucalt in Ethics: Subjectivity and Truth55 e
Said in Culture and Imperialism affiorano nondimeno altri punti problematici.
Foucault, indagando quelle che descrive come «tecnologie dell’io» nel mondo moderno, arriva alla conclusione che la verbalizzazione è diventata il modo primario
di costituire l’io: esprimere l’io in parole, descriverlo, è la maniera più efficace di
affermare un’identità56. Scrivere un diario è l’atto di impegnarsi in una verbalizzazione dell’io, ed è interessante notare che i titoli di tutte le opere prese in esame attirano
sempre l’attenzione su un nome o su un’identità. Ma resta il fatto che questi testi
hanno anche dei curatori: quell’investimento nella rappresentazione dell’io in cui
consiste il diario è di fatto affidato ad un altro, che gli darà la forma definitiva,
pubblica o pubblicata. Quest’altro così è portato far proprio la vicenda del vero
autore storpiandone le categorie di pensiero e le sfumature di significato del suo messaggio, processo catalizzato probabilmente dalla lingua ancora incerta
dell’immigrato che stenta a farsi capire con il suo collaboratore. La Burns parla appunto di un «diverso set di tecniche di auto‐affermazione»57. Qui ci colleghiamo
facilmente a Said: nel suo Culture and Imperialism58 parla dell’impossibilità di
riprodurre l’esperienza diretta o il riflesso del mondo nel linguaggio di un testo, ed
usa l’esempio dei racconti africani di Conrad, «inevitabilmente influenzati dai miti
54 BURNS, Jennifer, Frontiere nel testo: autori, collaborazioni e mediazioni nella scrittura italofona della migrazione, cit., p. 205 55 FOUCAULT, Michael, Ethics: Subjectivity and Truth, in RABINOW, Paul (a cura di), The Essential Works of Michael Foucault, 1954‐1984, vol. I, Londra, Allen Lane, 1997 56 Ivi, p.249 57 BURNS, Jennifer, Frontiere nel testo: autori, collaborazioni e mediazioni nella scrittura italofona della migrazione, cit., p. 207 58 SAID, Edward, Culture and Imperialism, Roma, Vintage, 1994 [1993]
europei sull’Africa e sugli africani»59. Qui Said vuole arrivare a dimostrare l’impossibilità di liberarsi del nostro personale bagaglio di presunzioni e pregiudizi
culturali quando ci si accosta a qualcosa che viene sentito fondamentalmente diverso. Ecco dunque che la prospettiva e le categorie del coautore modellano il linguaggio del narratore‐scrittore che già di per sé, essendo linguaggio, è vincolante, imperfetto e a volte inadatto. In ogni passaggio di espressione interviene dunque una
forzatura della cultura sul pensiero dell’individuo, pensiero che nell’atto stesso di verbalizzarsi perde la sua purezza o ‘verginità’. D’altronde, se volessimo riprendere le ipotesi di Thiong’o esposte prima, dovremmo arrivare a dire che già il pensiero è di per
se «deviato» dalle precedenti pressioni subite dal linguaggio. In conclusione, la Burns
deduce che tutto ciò
possa servire a mettere i evidenza il fatto che i coautori e i curatori di cui parlo [quelli che abbiamo nominato prima] turbano necessariamente la costruzione testuale dell’identità degli scrittori immigrati, poiché proiettano all’interno di
quella identità i propri assunti e le proprie aspirazioni.60
In ultima analisi la Burns, riprendendo il pensiero di Fanon parafrasato da Bhabha in
The Location of Culture61, arriva a dedurre che tutto sommato le problematicità dovute sia al linguaggio di per sé che al suo passaggio da persone di origine e culture così distanti (come possono essere i nostri coautori) sono dei ‘mali necessari’ che
comunque portano ad una trasmissione interculturale –oltre che interpersonale‐ altrimenti irrealizzata.
La produzione di significato richiede che questi due luoghi [l’Io e il Tu] vengano mobilizzati nel passaggio attraverso un Terzo Spazio, che rappresenta sia le
59
BURNS, Jennifer, Frontiere nel testo: autori, collaborazioni e mediazioni nella scrittura italofona della migrazione, cit., p.207, dove cita SAID, Edward, Culture and Imperialism, Roma, Vintage, 1994 [1993], pp.73‐229
60 Ivi, p.207
61
98
condizioni generali del linguaggio che la specifica implicazione dell’espressione in una strategia rappresentativa ed istituzionale della quale non può essere
cosciente ‘in sè’. Ciò che questa relazione inconscia introduce è un’ambivalenza nell’atto di interpretazione62
Potremmo concepire il coautore come un’incarnazione di questo Terzo Spazio, una
mediazione tra l’esperienza e la sua verbalizzazione, tra il linguaggio del soggetto che
sta facendo l’esperienza ed il linguaggio della sua espressione, tra i parametri culturali e sociali che sono ‘innati’ nel soggetto già ‘acculturato’ e quelli in qui è immigrato. Sulla collaborazione dei testi che abbiamo presentato nel capitolo secondo (considerando quindi anche gli altri che la Burns non ha preso in esame), Gnisci nel suo intervento del 1994 già chiamato in causa63 parla di «trascrizione‐traduzione
endolinguistica e interlinguistica allo stesso tempo», che non dà mai però accesso ad
un «testo originale»64, che non c’è. Egli definisce «ambigua e imperfetta» questa operazione perché non se ne parla chiaramente o perlomeno si accenna negli apparati paratestuali editoriali dei volumi. Per conoscerla realmente sarebbe necessario avere
di fronte la versione orale o scritta originale dell’autore immigrato accanto a quella data alle stampe, dunque rifatta e «normalizzata» dal giornalista o collaboratore italiano. Le considerazioni che aggiunge non sono pessimiste e neppure negative:
l’autore dei testi più che una classica coppia di scrittori, sul tipo Frutteto & Lucentini per intenderci, è una operazione endolinguistica, interlinguistica, interculturale e intersemiotica, essendo coinvolta insieme con la scrittura
l’oralità interlinguistica in una forma di espressione e di comunicazione complessa ed intricata, non immediatamente risolvibile nello standard della
62 Ivi, p.36
63
GNISCI, Armando, Testi degli immigrati extraeuropei in Italia in italiano, in VALVONSEM, Serge; MUSARRA, Franc; VAN DEN BOSSCHE, Bart (a cura di), Gli spazi della diversità Atti del Convegno Internazionale Rinnovamento del codice narrativo in Italia dal 1945 al 1992, vol.II , Roma‐Leuven, Bulzoni‐Leuven University Press, 1995, pp.499‐515
64
traduzione ‘con testo a fronte’. L’autore è sempre una riunione di diverse
persone che non formano una dita commerciale ma una cooperativa meticcia65.