3. I CARATTERI DELLE PRIME SCRITTURE AUTOBIOGRAFICHE
3.2 PROSPETTIVE D’INDAGINE: DAL PIANO TEORICO‐FORMALE
3.2.4 UNA NUOVA CRITICA POSTCOLONIALE
3.2.4.3 TRAIETTORIE DI SGUARDI : UNA NUOVA IMMAGINE DELL’IMMIGRATO E DEL SUO
3.2.4.3 TRAIETTORIE DI SGUARDI : UNA NUOVA
IMMAGINE DELL’IMMIGRATO E DEL SUO MONDO, LA
CONQUISTA DI UNA PROPRIA VOCE, LA
FAMILIARIZZAZIONE
Gabriella Romani conferma questo aspetto («la questione dell’ identità
indubbiamente costituisce un aspetto centrale delle scritture migranti»125) e lo lega alle traiettorie degli sguardi di cui parla la Makaping. La studiosa afferma che è possibile rintracciare due diverse, interdipendenti, direzioni dello sviluppo narrativo
che il tema identitario può assumere. Il primo sarebbe rappresentato dall’implicito o
esplicito tentativo di descrivere la ricerca di un nuovo essere da parte dell’immigrato. Il secondo risvolto sarebbe lo sforzo di ritrarre la relazione tra il migrante e l’italiano. In questa relazione rimarrebbero implicati due atti interpretativi: da una parte questi scrittori osservano l’identità italiana e degli stessi immigrati dal punto di vista del
nuovo arrivato; dall’altra cercano di interpretare la loro immagine riflessa negli occhi degli italiani, vogliono affrontare il modo in cui la loro presenza viene interpretata126per correggerne infine le miopie con la propria voce. Tradotto nelle
parole della Makaping: sentirsi al «margine» (lo straniero che arriva e osserva) e al
«centro» (lo straniero che viene scrutato dagli altri ) «di volta in volta». «In poche
parole, quello che l’immigrato riferisce non è solo cosa percepisce attorno a lui/lei, ma anche come lo scrittore percepisce di essere visto da fuori»127. Ecco che allora si riconosce, come suggerisce la Parati in The gaze of the other, che lo straniero diventa
una costruzione culturale separata dall’identità fisica dell’altro e si carica
125
ROMANI, Gabriella, Italian Identity and Immigrant Writing: The Shaping of a New Discourse, in SANTE, Matteo (a cura di), ItaliAfrica: Bridging Continents and Cultures, New York (Stony Brook), Forum Italicum Publishing, 2001, p. 368 (traduzione mia)
126 Ivi, p.369
127
118
ideologicamente di significati che riflettono le tensioni all’interno della società ospitante. L’immigrato diventa una minaccia, un estraneo, rimane anonimo dietro
l’immagine straniante del marocchino, del vu cumprà, della badante, della prostituta, dello spacciatore e altro ancora.
Ebbene, queste prime scritture mirano in primo luogo a superare i preconcetti mentali degli italiani presentandosi per quello che realmente sono e hanno passato.
La Valgimigli ribadisce questa ‘poetica decostruzionista’:
Credo sia giusto formulare un’ipotesi circa il discorso letterario immigrato. Esso tende a raggiungere il massimo grado di efficacia quando va a sostituirsi alle pratiche citazionali banali, riprese quotidianamente dai mass‐media e dalle conversazioni comuni, su cui si fonda il sillogismo razzista, con cui si tenta di
condensare tutte le storie degli immigrati in una sola, paradigmatica, quella di un clandestino malvivente da espellere colò primo aereo in partenza
Scrive Bouzidy Aziz in Nostalgia: «siamo tutti in uno / e non siamo nessuno»128.
Si innesca in tal modo un procedimento poetico che la Romani chiama ‘familiarizzazione’129. Entrambe le parole straniero e strano derivano dal latino
extraneum, che significa ‘che arriva da fuori’, ‘non‐familiare’, ‘sconosciuto’. Queste
scritture mirano a rendere familiare quello che l’italiano percepisce come strano o straniero I, in modo che l’immigrato possa aprirsi un varco nel discorso culturale italiano130.n diverse occasioni, per esempio ‐e ciò avviene quasi solo nelle scritture
femminili‐, lo scrittore/scrittrice introduce al lettore le proprie origini culturali e i
propri costumi (Aulò, canto poesia dall’Eritrea) riferendosi così al suo passato,
128 GNISCI, Armando, Scrivere nella migrazione tra due secoli, in IDEM (a cura di), Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, Troina, Città aperta Edizioni, 2006, p. 16 129 ROMANI, Gabriella, Italian Identity and Immigrant Writing: The Shaping of a New Discourse, cit., p. 369 (traduzione mia) 130 Ibidem
oppure si proietta in un futuro di società multiculturale131.
La familiarizzazione è dunque l’opposto a quello che è generalmente indicato con il termine ‘straniamento’. La Romani ci ricorda che i termini ‘straniamento’ o
‘alienazione’ sono stati adottati rispettivamente da Victor Shklovslky e Walter
Benjamin per definire una strategia narrativa che introduce certi elementi culturali o
linguistici che sono ‘estranei’ al contesto in cui appaiono. Un elemento banale,
conosciuto, un oggetto, una parola o altro, possono essere adottati in una maniera insolita tale da disorientare il pubblico. Il risultato di tale processo estraniante è una
creazione poetica incentrata uno iato tra le aspettative dello spettatore o lettore e gli elementi completamente fuori contesto o fuori luogo che compaiono. Riferendosi al teatro epico di Bretch, Benjamin sottolinea come esso sia contrapposto all’identificazione dello spettatore con la situazione e i suoi personaggi del teatro tradizionale.
Tuttavia la familiarizzazione, nonostante vada nel senso opposto dell’estraniamento poiché pone la ‘stranezza’ come punto di partenza e non come fine, non è sovrapponibile completamente all’identificazione. I testi dei migranti mirano ad
avvicinare il lettore alla propria storia personale, al proprio passato e al proprio
presente angusto, alle proprie vicissitudini, ma al contempo rivendicano una diversità e un’affermazione di un proprio valore culturale, sociale e umano132. Infine ‐ e soprattutto‐ puntano alla creazione di un dialogo con l’audience italiana.
La strategia della familiarizzazione implica la correzione dell’immagine stereotipata, omologante e deformata dello straniero. Ovvero, stabilisce un processo creativo di legittimazione133. Sconvolge anche i processi ingiusti di vittimizzazione e
subordinazione che si innescano sugli immigrati, rivendicando una voce propria, una storia personale propria, dei valori propri che forse non sono così distanti da non
essere compresi. Si tratta dunque di decostruire immagini fisse e di andare nello specifico delle situazioni vissute, di «scoraggiare, disaggregare, disturbare il discorso 131 Ivi, p. 370 132 Ibidem 133 Ibidem
120
razzista»134, ogni teoria semplicistica, ogni forma di inganno verbale che nasconde molte volte, e nella bocca di molti, dei pregiudizi inconsci assimilati dall’ambiente, e al contempo ogni forma di buonismo e giustificazionismo. Decostruire idee
preconcette significa osservare la realtà dei fatti e in prima persona, decostruendo
luoghi comuni, negativi e positivi. Methnani, per esempio, testimonia: «In Tunisia si
pensava che in Italia il lavoro ci fosse dappertutto, che le donne ci stavano e che gli uomini erano tutti froci»135. Quando il protagonista mette piede in un ristorante africano a Roma scopre che «dentro ci sono solo nigeriani o senegalesi. Tutti mi guardano, perché, penso, per loro io non sono un nero. Mi sento oggetto di una inedita forma di razzismo»136.
Dicevamo: con questi testi gli autori/autrici immigrati vogliono prendere una propria
voce. La Valgimigli137 cita Saracino che in In casa d’altri138 osserva:
Dopo secoli nei quali l’altro è stato definito, raccontato, ritratto, esclusivamente da noi occidentali, e molto attraverso la narrativa, ci è parso importante dare la parola ad autori e autrici provenienti da altre e diverse realtà, offrendo ai lettori italiani alcune indicazioni utili per accostarsi alle loro opere139. Carla Ghezzi a riguardo: L’individuo immigrato, che fin dall’inizio ha cercato di nascondere la sua identità il più possibile [lasciando correre nell’opinione pubblica immigrato come il criminale o venditore ambulante] ora aspira a proclamare il proprio insieme di tradizioni
alla società ospitante e a mostrare la propria diversità, a volte attraverso la
134 VALGIMIGLI, Nadia, La letteratura dell’immigrazione, in "Africa e Mediterraneo", Bologna, Lai‐momo, vol. I, 1997, n.20, p.27 135 METHNANI, Salah, FORTUNATO, Mario, Immigrato, Roma‐Napoli, Edizioni Theoria, 1997, p.10 136 Ivi, p.56 137 VALGIMIGLI, Nadia, La letteratura dell’immigrazione, cit., p.25 138
SARACINO, M.A., In casa d’altri, in SARACINO, M.A.(a cura di), Altri lati del mondo, Roma, Sensibili alle foglie, 1994
139
scrittura140
Gnisci sottolinea più di tutti questo aspetto:
Se poniamo al centro della nostra attenzione il punto di vista del lettore italiano,
ci accorgiamo immediatamente di un fatto molto banale, se si vuole, ma abbastanza sorprendente: questi testi sono stati scritti proprio per noi italiani
e non per i connazionali tunisini o senegalesi dei loro autori141.
Chi ci scrive, poi sottolinea, è l’altro che è dispari nella realtà attuale di come va il
mondo ed è stato dispari sempre nella storia del nostro vicendevole incontro, ma che
si rende ora pari mediante «la presa di parola e la costituzione letteraria di sé, alla
stessa altezza, anche se indubbiamente con minore efficacia ed autorevolezza, di un
Eco, di un Andreotti o di un Enzo Biagi»142.