1. LE NUOVE MIGRAZIONI MONDIALI E IL CASO ITALIANO
1.2 LE NUOVE MIGRAZIONI IN ITALIA
provenienza»14.
1.2 LE NUOVE MIGRAZIONI IN ITALIA
Anche il nostro paese è diventato –a partire dalla fine degli anni ’70 in forme lievi per
arrivare negli anni ’90 a proporzioni significative‐ destinazione di crescenti flussi migratori provenienti dal Mediterraneo meridionale e da quello orientale, dall’Asia
media, ma anche dal subcontinente indiano, dalla Cina e dalle Filippine, dall’ Africa sub‐sahariana e dall’ America Latina.15 Sono arrivati anche ‐e in misura consistente‐ molti nativi dell’ ex Jugoslavia, dell’ Albania e della Romania. Dagli anni ’90 è ripreso con vigore l’arrivo di stranieri provenienti dalla costa libica. Il Mediterraneo, secondo una triste immagine evocata da R. Taddeo, «sta diventando un grande sarcofago dove un imprecisato numero di stranieri di molte nazionalità perde la vita»16. L’Italia, che culturalmente ed economicamente si trova ad essere attualmente il Sud del Nord17, è diventata una frontiera e allo stesso tempo un ‘ponte peninsulare’ per le nuove emergenti masse di migranti.
Ancora oggi è molto difficile quantificare in modo preciso il numero di stranieri che vivono in Italia. Le cifre del 2005 del rapporto Caritas parlano di 2.800.000 presenze di stranieri in Italia. Inferiori solo a quelli presenti in Germania e in Francia, essi si
avvicinano a toccare il 5% della popolazione italiana18. La loro percentuale rimane
14
Ivi, p.426
15 GNISCI, Armando, La letteratura italiana della migrazione, in IDEM, Creolizzare l'Europa. Letteratura e Migrazione, Roma, Meltemi, 2003, p.73
16 TADDEO, Raffaele, Letteratura nascente. Letteratura italiana della migrazione: autori e poetiche, Milano, Raccolto Edizioni, 2006, p.8
17 per tale conclusione si veda GNISCI, Armando, Il rovescio del gioco, in IDEM, Creolizzare l'Europa. Letteratura e Migrazione, cit., p.27 e GNISCI, Armando, Italia finis, in IDEM, Creoli meticci migranti clandestini e ribelli, Roma, Meltemi, 1998, pp. 104‐117
18
comunque molto più bassa rispetto a quella registrata in Germania, Francia o Inghilterra 19.
Purtroppo gli irregolari compresi sono ancora molti; difficile è la loro stima, e varia a
seconda dei periodi, delle fonti e delle posizioni ideologiche. Gli irregolari sono quasi
sempre chiamati ‘clandestini’ ma il termine suona improprio: lungo la loro permanenza, nella loro entrata o in altro momento, la maggior parte di loro sono stati registrati
Secondo V. Maher, nel suo intervento Immigration and social identities che risale al
1996, erano 200.000 allora20. Sempre nel 1996, l’archivio centralizzato del Ministero dell'Interno sui permessi di soggiorno stima poco più di un milione di stranieri
residenti regolari21. Anche la Maher, insieme a Taddeo, conferma che il numero valutato varia a seconda di quali eventuali servizi o restrizioni ogni diversa linea politica vorrebbe attuare22. Se arriviamo al 2010 l’OCSE stima un numero di irregolari che oscilla dai 500 ai 750 mila23 (i residenti invece secondo l’Istat sarebbero quasi
3.900.000 nel 2009).24
La presenza degli immigrati ha sollevato col tempo un ‘allarme sociale’ che può essere spiegato solo prendendo in considerazione le circostanze storiche in cui è avvenuta l’immigrazione. Il fenomeno nel suo complesso è assai complesso e mutevole, e solamente un analista temerario o tendenzioso potrebbe sostenere di aver afferrato l’immagine intera25.
Mettendoci su una prospettiva europea e spostandoci indietro nel tempo fino al secondo dopoguerra, osserviamo che il fenomeno dell’ immigrazione ha riguardato Spagna, Germania, Francia e Inghilterra. Soprattutto la Germania e Francia erano
19 MAHER, Vanessa, Immigration and Social Identities, in FORGACS, David, LUMLEY, Robert (a cura di), Italian Cultural Studies, Oxford, Oxford University Press, 1996, p.160 20 Ibidem 21 http://www.carloporta.it/cultura/didattica/globalizzazione/multietniche/quanti‐immigrati‐italia.htm 22 Ibidem 23 http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2010/05/10/stime_immigrati_irregolari_italia.html 24 http://www.anolf.it/download/istat_8_10_2009.pdf 25 MAHER, Vanessa, Immigration and Social Identities, cit., p.160
32
bisognose di ricostruire l’apparato produttivo dopo le distruzioni della guerra e per questo attiravano la manodopera destinata alle industrie. Arrivavano dunque italiani,
spagnoli, greci, jugoslavi e turchi. Più tardi in Francia e Inghilterra cominciarono ad
arrivare immigrati dalle loro ex colonie. Nonostante in Europa a metà degli anni ’70 iniziò a manifestarsi una chiara stagnazione economica (la crisi petrolifera risale al
1973) e si tentò di frenare i flussi migratori, i nuovi immigrati continuavano ad arrivare sempre più numerosi.
L’ Italia in quegli anni presentava un’inflazione a due cifre e i disoccupati crescevano a livelli preoccupanti. Poiché nei paesi del Sud le speranze di possibili uscite dal
sottosviluppo erano sempre di meno, i nativi scommettevano sull’ Europa e scoprivano fra l’altro che arrivare in Italia era impresa relativamente semplice26.
L’Italia diventò così meta provvisoria con la speranza di poter emigrare verso altri lidi:
la Germania, la Francia. Quando l’ulteriore migrazione si fece impossibile, allora la
permanenza in Italia assunse anche carattere di stabilità. In generale è dunque la non speranza che spinse le nuove ondate.
Prima di tutto la non speranza di sopravvivere, o di condurre una vita decente (che è il motivo storico in assoluto delle emigrazioni). Poi anche è il bisogno ‐più ‘secondario’‐ di migliorare le prospettive di vita proprie rispetto magari a quelle vissute dalla famiglia e dalle generazioni precedenti, o anche di raggiungere un’indipendenza economica rispetto ala propria famiglia. Una ricerca condotta a Milano dall’IRER a metà degli anni novanta27 faceva emergere che non fossero solo gli indigenti più
bisognosi ad arrivare, bensì anche individui e gruppi appartenenti al ceto medio inurbato e in qualche modo colto. La Caritas in suo rapporto del 2005 sosteneva che «sono mediamente più istruiti dei nostri concittadini e hanno intenzione di compiere in Italia il loro progetto di vita»28. 26 TADDEO, Raffaele, Letteratura nascente. Letteratura italiana della migrazione: autori e poetiche, cit., p.9 27 IRER, Tra le due rive – La nuova immigrazione a Milano, Milano, Franco Angeli editore, 1994, p.41 28 TADDEO, Raffaele, Letteratura nascente. Letteratura italiana della migrazione: autori e poetiche, cit., p.10
L’ immigrato degli anni ’80 in Italia racimolava in patria i soldi necessari per ottenere il visto di ingresso turistico. Chi arrivava in Italia , incominciava a capire quali potessero
essere le fonti di sostentamento e nel giro di due settimane entrava in clandestinità
esposto ai capricci della fortuna e degli uomini.
L’immigrato degli anni ’90 in Italia arriva da subito come clandestino: egli è divenuto merce clandestina della malavita (italiana o del paese d’origine), da essa viene
sovvenzionato, controllato, ricattato. Scrive il giornalista Carlo Nordio sul Messaggero del 19 agosto 2004: «essi arrivano in Italia senza lavoro e senza denaro, gravati di debiti verso le organizzazioni criminali che li hanno traghettati a caro prezzo e che sono, come tutti sanno, creditori esigenti e spietati. In queste condizioni il clandestino è quasi obbligato a rubare, a prostituirsi o a spacciare stupefacenti». La commistione dunque tra malavita e immigrazione sta diventando «una miscela esplosiva le cui conseguenze non sono prevedibili»29. Il problema più grave non sono solo le condizioni
miserabili con cui arrivano dalle coste libiche, ovvero stipati all’inverosimile in
gommoni o carcasse di navi, bensì il loro legame già stretto con la malavita
organizzata, che li ricatta e li usa come manovalanza per ogni tipo di attività illegale.
Colpisce molto il fatto che i nuovi arrivati, nonostante le loro aspettative e i loro progetti di vita in Italia (paese ritenuto nell’immaginario comune meno razzista di altri30), hanno accettato e accettano ancora di condurre la propria esistenza in
condizioni assai precarie. Non pochi immigrati, che nei loro paesi avevano un tenore di
vita dignitoso, in Italia si sono adattati ad una dura condizione di clandestini,
dormendo in alloggi di fortuna, facendo i lavori più umili e sottopagati che gli italiani
non sono più disposti a fare.
Perché allora, pur continuando a sopportare soprusi di ogni sorta dagli organismi di
controllo e dalla società civile, essi continuano a rimanere nel nostro paese? Diverse le motivazioni che sono state rilevate31. Quando un immigrato parte, innanzitutto, deve 29 Ivi, p.12 30 IRER, Tra le due rive – La nuova immigrazione a Milano, cit., p.213 31 TADDEO, Raffaele, Letteratura nascente. Letteratura italiana della migrazione: autori e poetiche, cit., p.11
34
in qualche modo avere successo per questioni di prestigio sociale. Non gli è possibile ritornare senza questa realizzazione. Secondo: per intraprendere il viaggio spesso si dà fondo a tutte le sostanze economiche di una famiglia. Ritornare indietro diverrebbe
per i familiari una sconfitta irreparabile sul piano economico. Altra ragione: la scomparsa di ogni speranza di vita verrebbe consolidata.
La caratteristica dominante dell’immigrazione nel nostro immaginario è la sua
stanzialità. Anni fa un quotidiano ha pubblicato una notizia che ha destato molta
sorpresa nell’opinione pubblica: si diceva che più di 60 milioni di cittadini di origini
italiane vive all’estero, ovvero più di quanti ce ne siano ‘in patria’!32 Questa può essere vista come una conferma di ciò che l’immaginario comune aveva formulato. Sono pochi infatti gli italiani che sono rimasti in Italia dopo essere andati via in cerca di lavoro: il numero di quelli che detengono la doppia nazionalità assomma solo a qualche milione (rispetto ai 60 del totale).
Taddeo, nella sua Letteratura nascente che ho già ripreso più volte, nello descrivere
l’impatto sociale dei nuovi immigrati in Italia, riprende alcune osservazioni avanzate
da Bauman nel suo saggio La società dell’incertezza del 199933 riguardo alla stanzialità.
La stanzialità, che segue l’arrivo e l’inserimento dell’ immigrato, fa di lui una persona minacciosa che sottrae qualcosa a chi già risiede in posto, quindi fa paura, genera
ansia e apprensione. La paura per lo straniero consiste essenzialmente in questa immagine che si sposa perfettamente con l’incertezza dell’ignoto, l’incertezza della
realizzazione del proprio progetto, sempre più precario in relazione alla possibilità che altri lo infrangano. Ogni comunità vive di affettività, conflitti, valori morali ed etici,
di un percorso storico fatto insieme. Ecco che chi improvvisamente arriva, non chiamato, non ricercato, almeno apparentemente, da subito diventa una minaccia per
i progetti personali degli individui della comunità e per la comunità stessa. Lo
straniero minaccia la sicurezza che ognuno si costituisce. «L’uomo attuale vive in una città di tanti diversi, dove può ritrovare e costruire la sua libertà, la sua ricchezza, la sua volontà di possesso, ma nel contempo fabbrica materialmente e virtualmente un
32 Ivi, p.10
33
riparo per difendersi dai diversi, siano essi autoctoni o di altri paesi»34. Il diverso
dell’altro paese è anche l’emblema del diverso autoctono.35