3. I CARATTERI DELLE PRIME SCRITTURE AUTOBIOGRAFICHE
3.2 PROSPETTIVE D’INDAGINE: DAL PIANO TEORICO‐FORMALE
3.2.4 UNA NUOVA CRITICA POSTCOLONIALE
3.2.4.9 TRAIETTORIE DI SGUARDI : GLI ITALIANI E L’ ITALIA VISTI DA CHI ARRIVA
e dalla contingenza del reale, bensì come «quadro delle differenze, degli scambi e
delle successioni, che sono la realtà [e non una nostra forzatura ideologica]»188. La letteratura dello scambio aiuta questo tipo di conoscenza perché ne è un modo concreto di esistenza, e non un’idea o una teoria. Dunque non più «conosci te stesso»
bensì «conosci l’altro»189.
3.2.4.9 TRAIETTORIE DI SGUARDI : GLI ITALIANI E L’
ITALIA VISTI DA CHI ARRIVA DA FUORI
Osservare significa guardare, vedere, scrutare e cercare di capire. Sforzarsi di guardare è molto faticoso, significa «essere implicata»[…] Quando non si ha il «potere» […] perché non si appartiene all’élite che «nomina» e tramanda i preconcetti e i pregiudizi, l’esercizio diventa ancora più difficile. […] Come faccio a sapere che il mio sia un guardare corretto, senza speculazioni di sorta, solo perché sono una minoranza?190
Ritorniamo alla dialettica degli sguardi di cui parlava la scrittrice camerunense Makaping e individuiamo ora il rovescio della medaglia (espressione che mi porta al Il
rovescio del gioco di Gnisci) dell’incontro di immigrati e italiani. Se loro vengono
‘ingessati’ nella maggior parte dei casi in sagome fisse, tanto che ci scrivono nei testi autobiografici anche per farci capire che non è tutto così semplice, netto e condannabile così come appare o ci viene presentato dai media, noi veniamo ritratti in
molte occasioni come persone che non sanno ascoltare, a cui piace parlare e non sanno risponde mai alle domande ricevute perché si dimenticano di stare a
188 Ibidem 189 Ibidem 190 vedi nota 123
sentire191. Certamente è una condizione che non può favorire il colloquio alla pari, fatto di ascolto. Viene ripreso più volte, in diverse scritture (in quella di Methnani per esempio), l’omicidio del rifugiato sudafricano Masslo, come numerose altre occasioni
di razzismo. I nostri protagonisti raccontano di discriminazioni e di un clima violento
alimentato dalla criminalità praticata dagli immigrati. Illustrano gli stessi meccanismi, innescati dalla miopia delle leggi italiane (ed europee), che portano alla criminalità tra gli immigrati. «Il diario di Salah Methnani scritto sulla carta da Mario Fortunato è forse la più alta accusa di razzismo che l’Italia si sia sentita fare» scrisse G.Pajetta sul
Manifesto192 .
Come ben ci si può aspettare, non vengono ritratte solo situazioni sgradevoli e molte volte razziste, ma anche atti di sincera amicizia e volontà di conoscenza reciproca da
parte degli italiani193. E gli stessi disagi degli italiani non vengono tralasciati: «la
ricchezza c’è, ma non è distribuita bene. Basta andare in autobus dal centro di Milano
fino a Lambrate»194 afferma Methnani in Immigrato.
E poi ancora: accanto ai vu cumprà che vendono sigarette illegalmente, compaiono i
fornitori italiani di droga che cercano di adescarli nel loro commercio (l’episodio è
raccontato da Melliti in Pantanella Canto lungo la strada). Diverse situazioni descrivono l’ incredulità degli italiani di trovarsi di fronte a persone di pelle scura con
la cittadinanza italiana; si riportano casi di «sempliciotteria classificatoria»195 tramite l’adozione delle categorie di marocchino, vù cumprà, ecc. che con un sottile atto di
superbia vogliono omologare l’altro ad un immagine fissa e subalterna. Emergono episodi di totale ignoranza sui costumi e sulle regioni di provenienza degli immigrati: 191 GNISCI, Armando, Il rovescio del gioco, cit., dove riprende JELLOUN, Tahar Ben, VOLTERRANI, E., Dove lo Stato non c’è, Torino, Einaudi, 1990, p.27 192 l’intervento di Pajetta è ricordato da VALGIMIGLI, Nadia, La letteratura dell’immigrazione, in "Africa e Mediterraneo", Bologna, Lai‐momo, vol. I, n.20, 1997, p.27 che però non specifica la data della pubblicazione, ma riporta solamente su una nota «G. Pajetta, da Il Manifesto, le parole appaiono sul retro della copertina» 193 VALGIMIGLI, Nadia, La letteratura dell’immigrazione, cit., p.27 194 METHNANI, Salah, FORTUNATO, Mario, Immigrato, Roma‐Napoli, Edizioni Theoria, 1997 , p.116 195 Ivi, p.29
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la stessa Fazel testimonia «mi chiedevano se vivevamo nelle capanne, se al nostro paese ci fossero case e automobili»196.
In certe testimonianze i poliziotti vengono colti in comportamenti incoerenti: come emerge dagli episodi narrati da Khouma in Io venditore di elefanti, a volte fanno finta di non vedere, oppure comprano la merce, oppure la rubano ai venditori o vogliono arrestarli per abusivismo. Per la prima volta, insomma, noi italiani ci ‘sentiamo’ letti al «contropelo geografico e storico»197: dalla parte del Sud e non più da quella del Nord, in cui abbiamo sempre creduto di essere naturalmente «nati e pettinati»: e questo comporta che veniamo letti come nord del sud e non come sud del nord e tutta questa inedita lettura è fatta da chi è in condizioni di minorità civile, in
certi casi si tratta addirittura di clandestini e fuorilegge, ma riesce a parlare e
dire la sua subito, fin dal primo impatto con il nostro mondo. E ha pure voglia di
fare conversazione e di scherzare addirittura, come l’Arlecchino nero Mor Awa
Niang del Senegal che recita un testo tratto da Goldoni198.
L’Italia attraversata dal Sud al Nord – come insiste ne Il rovescio del gioco e Testi
degli immigrati extraeuropei in Italia in italiano – da scrittori emigrati arabo‐
magrebini, è ben altra cosa199. Risalita al rovescio ‐’Gegen Den Strich’ contropelo,
secondo l’espressione di W. Benjamin usata per la storia letta dalla parte degli oppressi‐ l’Italia è terra assai inospitale e inospitante. Appare agli occhi del migrante
pericolosa e inaccessibile, «un deserto senza sabbia e senza miraggi», una «waste land senza Stato»200, terra dove la cultura e la civiltà si sono nascoste e sono rimasti in primo piano paesi e piane colme di immondizia, città «violente feroci squallide»,
196 RAMZANALI FAZEL, Shirin, Lontano da Mogadiscio, Roma, Datanews Editrice, 1999, p.29 197 GNISCI, Armando, Testi degli immigrati extraeuropei in Italia in italiano, cit., p.512 198 Ibidem 199 GNISCI, Armando, Il rovescio del gioco, cit., p.28 200 Ibidem
«campagne senza letizia»201. L’Italia appare il paese della desolazione e della disuguaglianza. Methnani a proposito:
Questo non è un Paese veramente razzista, mi dico. E’ un paese sbagliato. La
ricchezza c’è, ma non è distribuita bene. Basta andare in autobus dal centro di Milano fino a Lambrate: il ricco Occidente si tramuta di colpo in un territorio
cupo e desolato. Non è più Occidente202
Ovvero qui lo scrittore non si meraviglia del razzismo italiano –non peggiore di altri‐ ma della decadenza e della rinuncia alla dignità di terra generosa e ospitale. «Loro sono solo poveri, noi, ai loro occhi, sembriamo impazziti e senza un briciolo di
saggezza»203.
Arrivare in Italia per i migranti vuol dire condurre una vita girovaga di fortuna dormendo in stazioni ferroviarie degradate («squallido santuario dove si va a celebrare come in trance il rito luttuoso di quell’arrivo dal quale non è possibile derivare alcuna partenza»204), in treni in sosta o auto abbandonate che diventano delle cucce per ripararsi di notte. Significa mangiare per strada o aspettando lunghe file alle mense della Caritas, ente che diventa prezioso anche per la distribuzione del vestiario. Il tutto, naturalmente, perché la condizione di clandestino –forzata‐ non permette un lavoro redditizio, ma solo lavori in nero –pittura edilizia, manovalanza per la muratura, bracciantato agricolo, vendita ambulante, pulizia dei parabrezza ai semafori ecc.‐. Gli immigrati in Italia diventano «pellegrini di troppo», «sempre fra i piedi», proprio come –osserva Gnisci205‐ i personaggi ‘miserabili’ della modernità europea narrati da Kafka.
Ne Il castello, infatti, l’ostessa dell’agrimensore K. risponde al visitatore: «Lei non è del castello , lei non è del paese, lei non è nulla. Eppure anche lei è qualcosa, sventuratamente, è un forestiero, uno che è sempre di troppo e sempre tra i
201 Ibidem 202 METHNANI, Salah, FORTUNATO, Mario, Immigrato, Roma‐Napoli, Edizioni Theoria, 1997, p. 116 203 GNISCI, Armando, Il rovescio del gioco, cit., p.48 204 Ivi, 31 205 Ivi, p.29
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piedi»206.
Questa Italia non ha nulla a che vedere –secondo un parallelo assai calzante espresso da Gnisci‐ con quel «giardino ben coltivato, antico e luminoso, dell’Europa», quel
«luogo reale e terminale delle delizie immaginate» visitato dagli intellettuali dell’Ottocento e del Novecento «in cerca di luce, aria azzurra, profumi, antichità.
musica, bellezza, sorrisi, bizzarrie, benevolenza, naturalezza e limoni»207. Gnisci qui parla di Montaigne, Goethe, Chaucer, Stendhal, D.H.Lawrence, Henry James, Andersen, Mozart, Mark Twain, Kafka, Hemingway e tanti altri. Ecco allora che ciò che non veniva pronunciato da Goethe o da Chateaubriand emerge ora in queste che nel loro stile diretto e asciutto parlano di dolore e malvagità, sfruttamento e miseria208.