La seconda facoltà attribuita ai soci dall’art. 2473 c.c., ultimo comma, per rendere privo d’efficacia il recesso è decretare lo scioglimento anticipato della società273.
Lo scioglimento della società costituisce dunque un’alternativa alla revoca della delibera nel caso in cui la maggioranza non intenda rinunciare alle proprie scelte economiche e alle proprie strategie di sviluppo, ritenendo più conveniente pervenire allo scioglimento della società.
In sostanza, la maggioranza della società può deliberare lo scioglimento della stessa per due ragioni:
1) perché vuole rendere inefficace il recesso già esercitato dal socio;
2) perché è costretta a farlo, nel senso che, a causa del recesso, non ci sono soci o terzi disponibili ad acquistare la partecipazione del recedente e non ci sono riserve tali da coprire le spese derivanti dalla liquidazione della quota del socio receduto.
Anche in questo caso, come per la revoca della delibera che ha legittimato il recesso, non è stato previsto alcun termine: si può comunque affermare che la maggioranza possa deliberare lo scioglimento entro e non oltre il centoottantesimo giorno dalla comunicazione di recesso274.
Sicuramente la messa in liquidazione della società costituisce una soluzione estrema per la fattispecie del recesso, in quanto sarebbe non preferibile arrivare ad una simile conclusione275.
Essa però svolge una funzione che possiamo definire “sanzionatoria”, nel senso che è una soluzione penalizzante sia per la società, che cessa in sostanza di esistere, sia
momento in cui revoca o scioglimento diventano efficaci, afferma che il socio recedente non sia obbligato a restituire quanto percepito in buona fede.
273 BERTOLOTTI A., op. cit., p. 968; CAMPOBASSO G.F., La riforma delle società di capitali e delle
cooperative, op. cit., p. 165 parla di scioglimento “volontario”; TANZI M., op. cit., p. 1540, afferma che
questa decisione, in sostanza, impedisce l’exit al socio e ne determina la reintegrazione nella società. Il risultato sarà che da una parte il socio stesso sarà assoggettato agli effetti della decisione/deliberazione a cui aveva inteso sottrarsi; dall’altra, comporta che il soddisfacimento delle sue pretese verrà differito all’esito finale della liquidazione e avverrà con una somma non più proporzionata al valore del patrimonio sociale al momento della dichiarazione di recesso.
274 DE ANGELIS L., Dichiarazione di recesso e credito per la liquidazione della quota, op. cit., p. 1384.
In senso contrario, SALAFIA V., op. cit., p. 420, per il quale è legittima l’applicazione analogica per la S.r.l. dell’articolo relativo alla S.p.A., non potendosi certamente riconoscere alla società un potere di revoca per tempo illimitato. La decorrenza del termine per la revoca dovrà iniziare dalla data della sua iscrizione nel Registro delle Imprese, perché da questa data inizia l’efficacia della deliberazione che legittima il recesso dei soci interessati.
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per il socio, che otterrà sicuramente di meno, in termini monetari, di quelle che erano le sue originarie aspettative.
In altri termini si tratta di una scelta che viene fatta dalla maggioranza dei soci sulla base di un calcolo di pura convenienza: infatti, ad esempio, se la società, a causa
dell’exit del socio, si veda privata di quelle risorse finanziarie che le avrebbero
permesso di operare sul mercato in maniera competitiva, sembra opportuno che i soci superstiti, al posto di farsi carico da soli di ogni esigenza finanziaria, decidano di “recuperare” quanto investito nella società ponendola in liquidazione, in modo tale da poter investire quanto recuperato in altre forme d’investimento o in altre imprese276.
A tal riguardo, la questione si complica ulteriormente, in quanto lo scioglimento della società non coinvolge soltanto i rapporti interni tra società e socio recedente, ma anche quelli esterni tra società e terzi creditori della società277.
Inoltre, il silenzio del dato normativo circa i rapporti tra il diritto al rimborso della quota del recedente e il diritto di credito dei creditori sociali, potrebbe far desumere che il legislatore abbia voluto incentivare la negoziazione tra la maggioranza e il socio recedente per evitare lo scioglimento della società278: infatti, ed è questa la funzione di contrattazione endosocietaria279 attribuita dalla riforma al diritto di recesso accennata nel corso del primo capitolo, con il recesso il socio può costringere la maggioranza della società a negoziare anche con lui il prezzo del rimborso. Da questa situazione, di conseguenza, potremmo avere due soluzioni:
- se la maggioranza deciderà di far prevalere comunque le proprie ragioni causando così lo scioglimento della società, il socio sarà costretto a
276 STASSANO G. – STASSANO M., op. cit., p. 59, evidenziano il carattere puramente economico della
norma in oggetto: infatti, la società si trova in una scomoda posizione che consiste nel dover decidere se porre in essere lo scioglimento oppure mantenere una condizione di economicità e di efficienza aziendale, tale da poter affrontare senza grossi problemi gli effetti del recesso.
277 ANGELICI C., op. cit., p. 76 ss., osserva che l’operazione del recesso ha effetti negativi sia all’interno
della società sia verso l’esterno: infatti, da una parte ci sono gli altri soci che non vogliono o non possono effettuare ulteriori investimenti, o non sono in grado di nè reperire terzi che li finanziano né che acquistino loro stessi le partecipazioni di chi recede, mentre dall’altra ci sono i creditori che giudicano negativamente l’operazione.
278 A sostegno di ciò, ANGELICI C., op. cit., p. 76 ss., osserva che “se si vuole evitare lo scioglimento
della società, ne deriva la necessità di una negoziazione tra i soci. Per essa il diritto di recesso crea un incentivo ed in tal modo reintroduce una logica di mercato anche in contesti in cui, essendo la società chiusa e vigendo il principio maggioritario, da esse sembrerebbe si possa prescindere. Si fornisce al socio dissenziente uno strumento se si vuol dire per costringere la maggioranza a negoziare anche con lui le misure in discussione ”.
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rinunciare al recesso e sarà dunque messo sullo stesso piano degli altri soci ai fini della liquidazione della società stessa280;
- se, invece, i soci di maggioranza, dopo un calcolo di convenienza e con la consapevolezza delle spese che comporterà il rimborso della quota, decidano di accettare l’exit da parte del socio recedente, quest’ultimo vedrà finalmente soddisfatta la propria volontà di uscire dalla compagine societaria.
Quindi possiamo concludere che il legislatore, benché nella riforma abbia manifestato un notevole favor verso il socio uscente, ha cercato di mettere la società e il socio su un piano sostanzialmente paritetico che salvaguardi l’operatività economica: quando ciò non può accadere chi ne viene a perdere sono entrambe le parti.
Infine, il silenzio del legislatore circa i rapporti tra il diritto al rimborso della quota del recedente e il diritto di credito dei creditori, sembra da interpretare come una sorta di incentivo al dialogo tra la società e il socio fatta proprio per evitare che si arrivi ad una soluzione come quello dello scioglimento della società, che abbiamo visto essere piuttosto estrema come risoluzione della vicenda del recesso e che è inoltre “vista” negativamente da tutte le parti coinvolte (soci e creditori sociali).