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La dinamica dei comparti

Nel documento Volume Rapporto 1995 (.pdf 2.4mb) (pagine 150-167)

7. L’INDUSTRIA ALIMENTARE

7.2. La dinamica dei comparti

Durante il 1995 sono intervenuti alcuni fattori esterni all’attività di trasformazione con ripercussioni dirette su diversi comparti manifattu-rieri.

7.2.1. Gli interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

In particolare il 1995 rappresenta un anno molto importante per i Consorzi di tutela dei prodotti tipici: durante quest’anno sono infatti intervenuti diversi elementi esterni al loro operato che potranno in fu-turo condizionarne il funzionamento. Si fa riferimento al proseguimen-to delle procedure per il riconoscimenproseguimen-to e la tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli ed alimentari a livello comunitario, in conformità a quanto richiesto dal regolamento CEE 2081/92. La delibera della Commissione del 6 mar-zo 1996 rappresenta un ulteriore passo verso la conclusione della pro-cedura di riconoscimento per 22 DOP e 6 IGP italiane; resta ancora il parere definitivo del Consiglio dei Ministri che, solamente a

maggio-ranza qualificata ed entro tre mesi, potrà apportare eventuali modifiche alla lista prodotta dalla Commissione.

Fra i prodotti emiliano-romagnoli contenuti nella lista delle prime DOP dell’Unione troviamo, tra gli altri, il Parmigiano Reggiano e il prosciutto di Parma. Queste due importanti produzioni, si pensi che il fatturato del Parmigiano Reggiano supera i 2.000 miliardi di lire e che quello del prosciutto di Parma raggiunge i 1.300, sono attualmente og-getto di una indagine istruttoria da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

L’istruttoria dell’Autorità garante è stata avviata ritenendo che ta-lune misure di programmazione della produzione tutelata potessero avere come effetto la restrizione della concorrenza. In particolare, il provvedimento è scaturito dopo la segnalazione, effettuata da parte dell’Associazione Agricoltori della provincia di Modena, su compor-tamenti lesivi della concorrenza posti in essere dal Consorzio del San Daniele mediante il contingentamento degli acquisti di cosce di suino destinate alla produzione di prosciutto tutelato.

L’istruttoria sui Consorzi del Parmigiano Reggiano e del Grana Pa-dano, avviata su richiesta del Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato, oltre a riguardare le misure di programmazione della pro-duzione sia totale che per singola impresa, si concentra sul protocollo d’intesa sottoscritto dai due consorzi. In tale protocollo i contraenti as-sumono l’impegno di mantenere i quantitativi prodotti dei due maggi in proporzione definita, fatto 100 il quantitativo totale di for-maggio grana prodotto dai due consorzi. Analizzando però gli ultimi dati produttivi risulta evidente come tale accordo non venga rispettato.

Il Consorzio del Parmigiano Reggiano è un consorzio volontario a cui aderiscono, nel 1995, 652 caseifici attivi nel comprensorio (nel 1993 i soci erano 736). Il numero di conferenti (8.983 nel 1994) è in continuo calo, in seguito all’abbandono dell’attività di produzione lat-tiera da parte di molti agricoltori: a partire dal 1990 sono scomparsi ol-tre il 35% dei conferenti. Fra le maggiori cause di questo abbandono sono da considerare le politiche comunitarie. Da un lato troviamo in-fatti i molteplici incentivi all’abbandono della produzione lattiera e dall’altro le quote, che hanno ulteriormente amplificato il clima di sfi-ducia generale degli operatori legato alla crisi del mercato. Questa cri-si ha comportato nei primi anni ‘90 un forte ridimencri-sionamento del

prezzo di riferimento per il latte conferito, diminuzione che solo negli ultimi due anni è stata riassorbita. A livello dei prezzi al consumo solo a partire dal 1994 si è registrato una crescita, particolarmente intensa nel 1995, che ha riportato le quotazioni (calcolate a valore costante) sui livelli degli anni ‘80. Alla ripresa del mercato è seguito nell’ultimo anno un aumento (+6,27%) della produzione totale di formaggio. Nel 1995 sono state prodotte complessivamente 98,5 migliaia di tonnellate di Parmigiano Reggiano, una quantità che tuttavia resta ancora distante dalle 104 mila tonnellate indicate come tetto massimo dal Consorzio.

Fra le principali attività del Consorzio, oltre a quelle di controllo e di vigilanza, si sottolineano sia quelle rivolte alla promozione per so-stenere e promuovere il consumo anche all’estero, che nel 1994 ha comportato una spesa che ha sfiorato i 21 miliardi, sia quelle per arri-vare alla certificazione di qualità Iso 9002 delle imprese aderenti.

Questa certificazione di tutta la filiera produttiva garantirebbe il con-sumatore sulla qualità del prodotto e rappresenterebbe il risultato ed il riconoscimento formale di procedure e di usi locali e costanti che han-no oramai una origine millenaria.

Secondo quanto riportato dall’Autorità garante per il mercato del prosciutto crudo, la produzione nazionale totale è stimata in circa 20 milioni di cosce ed è ripartita tra il Prosciutto di Parma, con circa il 45% della produzione, il San Daniele, con il 12%, altri due consorzi di tutela minori (Prosciutto di Modena e Prosciutto Veneto Berico-Euganeo), con circa il 4% mentre il restante 39% è riconducibile al prosciutto non tutelato.

Il Consorzio del Prosciutto di Parma, anch’esso di tipo volontario, è costituito da 206 imprese produttrici, per lo più a loro volta consor-ziate, ubicate nella zona tipica di produzione e che fanno da riferimen-to a circa 350 macelli e a oltre 5.000 allevamenti suini. Il Consorzio svolge attività di monitoraggio e controllo della qualità sulla produzio-ne tutelata, che dovrebbe attestarsi attorno ai 9 milioni di pezzi.

L’espansione dell’offerta manifestatasi negli ultimi tempi è da ricon-durre all’ingresso, nella fase di stagionatura, di numerosi operatori.

Tale aumento, in concomitanza con la crisi dei mercati sia esteri che nazionali, ha comportato un forte calo delle quotazioni per i prodotti offerti all’ingrosso e la crescita del numero di operatori ha avuto

con-seguenze mediamente negative sulla qualità finale del prodotto desti-nato al consumo. Il Consorzio ha pertanto deciso di attuare un piano di autodisciplina produttiva, mediante l’assegnazione di quote aziendali, per arrivare, programmando la produzione finale, ad una maggiore tu-tela del prodotto. Inizialmente questa programmazione prevedeva an-che un meccanismo di controllo automatico legato al prezzo delle co-sce pubblicato sul Bollettino della Borsa Merci di Modena, ma succes-sivamente il Consorzio ha presentato una richiesta al ministero dell’Industria per la sospensione di questo automatismo.

Il Consorzio, oltre a tutelare la produzione marchiata, ha avviato un importante strategia di sostegno comunicazionale del prosciutto di Parma. Infatti, sulla base di un programma di ricerca svolto per conto del Consorzio, che indica ancora dei margini di crescita nei consumi pro-capite, è stata lanciata una campagna di comunicazione di durata triennale, che ha richiesto uno stanziamento di 25 miliardi. Per il pri-mo anno (novembre 1995-dicembre 1996) il budget previsto è di 12 miliardi, da utilizzare su diversi media e per attività di pubbliche rela-zioni volte a riposizionare il prodotto mediante ampliamento del mer-cato sia in merito alla diffusione geografica, che alle modalità di con-sumo e di informazione sugli aspetti salutistico-nutrizionali del prodot-to tipico.

7.2.2. Il comparto lattiero-caseario

Alcune modificazioni ambientali stanno insistendo da alcuni anni sul comparto: si può citare, per esempio, la direttiva comunitaria 46/92, che la stessa UE sta oramai modificando ancor prima che l’Italia sia riuscita a recepirla. Altro grande argomento di discussione, ma anche causa di notevoli incertezze di mercato per tutta la filiera, è la questione quote latte. I numerosi bollettini dell’Aima continuano a correggere errori e a dirimere contenziosi: sono oltre 10 mila le prati-che presentate, ed il Ministero sta lavorando per modificare la legge 46/95 che permetteva l’autocertificazione, grazie alla quale l’allevatore poteva produrre fino all’esito finale del contenzioso, che rischia di portare l’Italia ad uno splafonamento della quota assegnata-le.

Un altro elemento congiunturale molto importante è rappresentato

dalla svalutazione della lira. Nel comparto in questione questo ha pro-vocato un rincaro della materia prima, necessariamente importata (l’Italia soddisfa il 60% dei suoi consumi), e solamente per pochi pro-dotti un ritorno in termini di maggiori esportazioni, viste le difficoltà evidenziate dai consumatori esteri nell’apprezzare i nostri principali prodotti tipici.

Ricordiamo inoltre la situazione riguardante le centrali del latte, strutture pubbliche destinate alla privatizzazione o quantomeno alla trasformazione in società per azioni (legge 95 del 29 marzo 1995).

L’importanza di queste strutture produttive è legata alla forte penetra-zione e notorietà a livello locale, con quote di mercato a volte superio-ri al 50%; anche la loro importanza su base nazionale non va sottova-lutata, si pensi per esempio alla centrale del latte di Roma, che detiene una quota del 10% nel latte fresco, oppure alle centrali associate a Pu-blilatte, l’associazione sindacale di rappresentanza, la cui quota sulla produzione nazionale di latte fresco è del 23%. Molte di queste centra-li sono in fase di trasformazione e per alcune di esse è già in atto la ga-ra di vendita, come nel caso di quella di Ancona. L’interesse per que-sto patrimonio è rilevante da parte di tutti i principali gruppi operanti in Italia, ma sarà compito delle autorità locali decidere come procedere al cambiamento. Diverse sono le soluzioni che vengono attualmente seguite, public company, azionariato diffuso, costituzione di holding verdi con la partecipazione degli agricoltori e di finanziatori esterni quali banche ed istituzioni. Quest’ultima soluzione rappresenta la logi-ca evoluzione della posizione della centrale e del suo livello di inte-grazione con il territorio.

Nonostante questa difficile ed incerta situazione ambientale l’industria di trasformazione deve continuare nel perseguire obiettivi di sviluppo, seguendo le nuove tendenze del consumatore e l’evoluzione della distribuzione. Quest’ultimo fenomeno ha spinto molte imprese anche di grande dimensione a concepire la formula del-la produzione conto terzi come uno strumento utile al miglior sfrutta-mento delle proprie capacità produttive.

L’importanza di questo comparto per la regione Emilia-Romagna origina non solamente dalla presenza di due leader quali Parmalat e Cerpl, ma anche da quella di molte unità produttive dedite alla tra-sformazione del latte in prodotti tipici, tra cui naturalmente spicca per

importanza il Parmigiano Reggiano con i suoi 652 caseifici attivi.

A livello strutturale nella regione sono localizzate oltre il 30% delle unità produttive operanti sul territorio nazionale e la quota supera il 50% se si considerano solamente gli stabilimenti di enti cooperativi agricoli che comprendono anche le latterie turnarie e di prestanza. Per quanto riguarda le imprese, durante il 1995, è giunta la decisione nega-tiva da parte dell’Autorità garante sulla concorrenza riguardante l’accordo stipulato fra Parmalat ed il Consorzio Emiliano Romagnolo Produttori Latte (CERPL). L’operazione, che doveva realizzarsi in più fasi, prevedeva l’acquisizione da parte di Parmalat del 10% del capita-le sociacapita-le di Granarolo (CERPL) e di alcuni diritti connessi, tra cui l’ingresso di un rappresentante della società di Parma nel consiglio di amministrazione di Granarolo. In seguito, se le due società fossero riu-scite a stipulare degli accordi di reciproca collaborazione, Parmalat a-vrebbe potuto acquisire un’ulteriore partecipazione nel capitale sociale di Granarolo. L’Autorità ha ritenuto che l’operazione, data l’importante posizione detenuta dalle parti, avrebbe portato ad una re-strizione della concorrenza. Dopo il tentativo con Giglio, Cerpl non riesce, ancora una volta, a creare le condizioni per raggiungere una dimensione più rilevante. La necessità per l’azienda bolognese è quella di valorizzare il patrimonio che ha costituito in questi anni anche me-diante uno stretto legame con gli allevatori: si pensi al pagamento del latte in base ai parametri qualitativi, all’esordio pionieristico sul mer-cato per quanto riguarda il latte fresco ad alta qualità, ma anche al nuovo impianto, completamente automatizzato, inaugurato quest’anno ad Anzio e che ha richiesto 12 miliardi di investimento e che è capace di produrre 24 mila confezioni all’ora da distribuire sul territorio lazia-le e campano.

Tuttavia, sul finire dell’anno, Cerpl si accinge a creare un polo co-operativo di riferimento nel comparto lattiero caseario stringendo una alleanza con il gruppo marchigiano Cooperlat di Jesi e con l’intervento finanziario della Ribs. L’intesa è iniziata nel 1995 con l’acquisizione, da parte di Cerpl, di Latte Reggiano di Gualteri e Latte San Giorgio di Locate Triulzi in cambio di una partecipazione azionaria data a Coo-perlat. Questo polo svilupperà quasi 1.000 miliardi di fatturato attra-verso le attività complementari dei due gruppi cooperativi, l’uno orien-tato maggiormente al latte fresco e l’altro verso quello a lunga

conser-vazione. Cerpl, inoltre, detiene parte del capitale azionario di Unigrana (fatturato previsto nel 1995: 300 miliardi) assieme al Consorzio bolo-gnese produttori latte ed al Consorzio caseifici sociali di Modena (91 caseifici e 135 produttori associati), che durante l’anno ha cambiato nome in Granterre. Al cambiamento della ragione sociale corrisponde la costituzione di una impresa a rete che avrà lo scopo di riorganizzare la filiera e di arrivare alla certificazione del sistema aziendale secondo le norme comunitarie.

Il gruppo Parmalat ha continuato il suo processo di espansione an-che all’estero acquisendo diverse società nel Sudamerica. Sul finire dell’anno Yolat Industria e Commercio de Laticinios Ltda, società bra-siliana del gruppo di Parma, ha acquisito il 100% del capitale della Mogalin Sa, una società con sede in Venezuela che lavora prodotti a-limentari. La stessa impresa brasiliana ha acquisito il 100% del capita-le di Lacticinios Betania Sa, un’altra società che effettua lavorazione di prodotti alimentari, pure ubicata in Brasile. Parmalat estende dun-que sempre di più i suoi interessi nel Sudamerica, dove ha acquisito uno stabilimento in Messico, e partecipa al pacchetto azionario di due centrali del latte in Colombia. Il gruppo pensa di superare, nel 1995, la soglia dei 4.000 miliardi di fatturato, 400 dei quali realizzati negli Usa, e un’altra buona quota derivante dalla vendita di circa un milione di tonnellate di latte in Sudamerica. Ma la geografia del gruppo si sta e-stendendo anche nei paesi asiatici e nel 1995 si realizza l’entrata nel mercato cinese, con una previsione di produzione e vendita di 12 mila tonnellate di latte. Nel 1994 il 45% del fatturato è stato ottenuto all’estero e dopo le recenti acquisizioni e partecipazioni questa quota è destinata a salire. Tuttavia Parmalat rimane fortemente radicata nel territorio nazionale e in particolare in quello emiliano-romagnolo, do-ve ogni giorno trasforma circa 400 tonnellate di latte prodo-venienti da al-levamenti regionali. Parmalat si sta facendo anche promotrice del gela-to italiano all’estero avendo apergela-to in Brasile la prima “Gelateria Par-malat”, prototipo di quella che dovrebbe diventare una catena interna-zionale di gelato all’italiana. Le aspettative di sviluppo e le previsioni di crescita dei punti vendita, anche con attività in franchising, sono ampie. Questa novità rappresenta un ulteriore passo nella direzione della diversificazione del gruppo parmense.

7.2.3. Il comparto della macellazione e della lavorazione delle carni Il comparto regionale della macellazione e della lavorazione delle carni racchiude in sè una attività di trasformazione molto rilevante e non potrebbe che essere così: infatti l’attività regionale di allevamento rappresenta circa un quarto del totale nazionale per il comparto dei suini, un ottavo per quello bovino e circa un sesto per il comparto avi-cunicolo e, anche se relativamente meno importante, rappresenta ap-prossimativamente l’8% del comparto equini.

La presenza di una tradizione così affermata nell’allevamento sup-porta in modo naturale la presenza e lo sviluppo delle relative attività di trasformazione e, grosso modo, la quota regionale di suini macellati corrisponde a quella rappresentata dall’allevamento, mentre si rag-giunge il 20% per la macellazione di capi bovini.

L’ultimo censimento ha segnalato, in regione, la presenza di 1.050 imprese che si occupano di macellazione e trasformazione delle carni e una recente indagine, dell’Assessorato regionale all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, ha evidenziato che sono 184 le imprese che si occupano esclusivamente di macellazione oltre la soglia annua dei 100 capi annui. La loro distribuzione sul territorio è uniforme alle specia-lizzazioni zootecniche: mentre la Romagna concentra l’attività avicola, Reggio Emilia e Modena sono le province più rivolte al comparto dei suini e, sia l’allevamento che la macellazione bovina, sono uniforme-mente distribuiti nell’area emiliana.

Le difficoltà per il comparto non accennano a diminuire, infatti, al-la specifica congiuntura negativa contribuiscono elementi di diversa natura, tra i quali la svalutazione della lira che, essendo l’Italia forte-mente deficitaria, ha frenato le importazioni, producendo sì un miglio-ramento della bilancia commerciale, ma determinando qualche pro-blema di approvvigionamento ai trasformatori, i cui margini si vengo-no a trovare compressi tra l’aumento dei costi della materia prima e la flessione generalizzata della domanda, tra l’altro, gestita in modo cre-scente dalla sempre più esigente distribuzione moderna.

Un altro fattore che determina forti pressioni sul settore è rappre-sentato dall’entrata in vigore delle nuove normative igienico-sanitarie.

L’adeguamento delle strutture a quanto richiesto dalle normative com-porta investimenti ingenti e poiché il mantenimento e la gestione di

de-terminate tipologie di impianti si prospetta estremamente oneroso, la naturale risposta del settore non può che trovare nella concentrazione la soluzione operativa più efficace.

L’importanza che la regione ricopre, a livello di specifica attività, è legata anche alla presenza sul territorio del leader del settore, Inalca, la principale delle, da poco, 51 società del Gruppo Cremonini. Questa società, che fattura 1.500 miliardi di lire e occupa 1.300 dipendenti, ha avuto il pregio di portare a termine il tentativo di proporre al consumo finale un prodotto di marca, non più dunque solamente e anonimamen-te “carne”. Uno dei modi per raggiungere questo risultato consisanonimamen-teva nell’utilizzo delle confezioni in atmosfera modificata. All’inizio degli anni ‘90 si sono visti i primi tentativi da parte delle due maggiori im-prese del settore, Inalca e Beca, l’una con il marchio “Pascolo del So-le” e la seconda con il marchio “Fresca e Sana”; le note vicende hanno portato alla scomparsa del secondo. Il processo produttivo richiesto da questo tipo di lavorazione e conservazione delle carni è di tipo estre-mamente sofisticato e ha richiesto enormi sforzi finanziari, non sola-mente per la realizzazione delle linee di produzione, ma anche per la messa a punto del prodotto finito; questo spiega l’impegno profuso so-lo dai grandi trasformatori. Il successo del nuovo prodotto andrà poi commisurato alla sua diffusione, i dati divulgati dicono che il ‘95 ab-bia fatto registrare un fatturato di circa 20 miliardi e che si prevede per il ‘96 di raddoppiare. Il “Pascolo del Sole”, inoltre, rientra in un più ampio programma, promosso dalla Comunità, che richiede per l’utilizzo del marchio “European Quality Beef” la certificazione di tut-ta la filiera. Anche questut-ta innovazione, sia di prodotto che di processo, costituirà presto un’ulteriore causa di concentrazione. Comunque que-sta situazione di prolungamento della catena del valore, che abbrevia le distanze tra produttore zootecnico e distributore, dovrebbe consenti-re al proprietario del marchio di miglioraconsenti-re la gestione dei margini, an-che in seguito ad un diverso rapporto an-che può venirsi a creare con la distribuzione.

Una situazione abbastanza simile sta interessando il segmento dei salumi e anche se già in passato alcune famose imprese avevano impo-sto il proprio marchio per alcune precise tipologie di prodotto, il mar-gine d’azione è ancora molto ampio.

Il tipo di prodotti contenuti nella voce salumi si presta meglio della

carne ad operazioni di marketing. Il caso del prosciutto cotto ha visto Rovagnati, che possiede in Emilia allevamenti di suini, e Parmacotto affermare la propria immagine ponendo le basi per la fidelizzazione del consumatore. Anche Ibis ha utilizzato la medesima strategia per il prodotto mortadella. Queste aziende estremamente specializzate dopo avere acquisito notorietà nazionale avranno l’opportunità, differen-ziando la produzione, di inserirsi in altri segmenti di mercato.

Tutt’altra situazione caratterizza l’altro leader del comparto presen-te sul presen-territorio regionale: Unibon, società che opera nel segmento dei salumi e che nel 1995 ha fatturato oltre 242 miliardi di lire, uscendo dalla situazione di crisi in cui versava l’anno precedente. Questa im-presa copre tutti gli ambiti contemplati dal settore ed è particolarmente specializzata nel prosciutto crudo. Il forte peso di questo prodotto nella

Tutt’altra situazione caratterizza l’altro leader del comparto presen-te sul presen-territorio regionale: Unibon, società che opera nel segmento dei salumi e che nel 1995 ha fatturato oltre 242 miliardi di lire, uscendo dalla situazione di crisi in cui versava l’anno precedente. Questa im-presa copre tutti gli ambiti contemplati dal settore ed è particolarmente specializzata nel prosciutto crudo. Il forte peso di questo prodotto nella

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