• Non ci sono risultati.

Il quadro di riferimento

Nel documento Volume Rapporto 1995 (.pdf 2.4mb) (pagine 125-129)

6. LA DISTRIBUZIONE ALIMENTARE AL DETTAGLIO *

6.1. Il quadro di riferimento

Il processo di evoluzione della distribuzione alimentare al dettaglio continua ad influenzare in modo decisivo le dinamiche dell’intero si-stema agro-alimentare, sia a livello nazionale che regionale. Questo processo è caratterizzato da alcune tendenze di fondo, che sono state ampiamente illustrate nelle precedenti edizioni di questo Rapporto e che derivano fondamentalmente dal processo di concentrazione del settore distributivo iniziato negli anni ‘70. Accanto ad esse però, le di-namiche congiunturali generano fenomeni nuovi, spesso imprevedibili, che finiscono col dare un’impronta peculiare a questo processo di svi-luppo. Questi fenomeni condizionano in modo determinante anche l’evoluzione del sistema distributivo emiliano-romagnolo, ed è per questa ragione che è necessario inquadrare l’analisi a livello regionale nel più ampio contesto nazionale.

6.1.1. L’inadeguatezza della legislazione

Nonostante il trend di crescita delle imprese distributive sia un fatto incontestabile, tra gli osservatori è abbastanza comune definire la di-stribuzione moderna italiana come un settore che sconta diversi ele-menti di debolezza. A dimostrarlo ci sarebbero anche i dati relativi

* Si ringraziano per la preziosa collaborazione Alessandro Albertini e Roberta Stacchio (Assessorato al Commercio - Regione Emilia-Romagna), Silvia Serra (Co-nad Italia), Sergio Manfredini e Sergio Tovagliari (Co(Co-nad Emilia Ovest), Giuseppe Tassone (Conad Nord Est).

all’andamento delle vendite (Fonte, Databank): dopo l’aumento consi-derevole registrato nel 1993, l’anno della recessione più pesante (+10,7%), il 1994 è invece stato un anno di assestamento, con una cre-scita delle vendite molto più contenuta (intorno al 3%) e un’intensificazione della competizione tra le diverse imprese, alcune delle quali hanno registrato vere e proprie battute d’arresto, con la perdita di importanti quote di mercato.

Tra le ragioni di questa debolezza della distribuzione moderna, gli addetti ai lavori collocano da anni al primo posto l’inadeguatezza del quadro legislativo. La legge che regola la materia, la n. 426 del 1971, è stata infatti oggetto di molte critiche, che si sono intensificate negli ul-timi anni, per effetto sia di una specifica relazione dell’autorità anti-trust sia dell’indizione di due referendum popolari in materia. Nono-stante ciò, i tentativi di modificare la normativa non hanno finora pro-dotto alcun risultato concreto, ed anche le ultime proposte in discus-sione registrano contrasti profondi tra le forze politiche e tra le varie anime del commercio.

Fra le questioni ancora aperte, la più importante riguarda i criteri per la pianificazione da parte degli enti locali, e in particolare la sosti-tuzione dell’approccio cosiddetto “commerciale”, che impone vincoli relativi alla superficie destinata alla vendita di prodotti specifici, con quello cosiddetto “urbanistico”, che inserirebbe il commercio nella più ampia pianificazione territoriale. Altri problemi scottanti ancora sul tappeto riguardano il grado di autonomia da concedere alle regioni nel-la definizione degli strumenti di pianificazione e l’eventualità di isti-tuire ammortizzatori sociali per le piccole imprese, fortemente voluti dai rappresentanti del dettaglio tradizionale. La delicatezza di questi problemi fa dunque prevedere che anche nella nuova legislatura il cammino della riforma sarà piuttosto difficile.

6.1.2. Il fenomeno delle “supercentrali”

Un ulteriore elemento di debolezza della distribuzione italiana vie-ne senza dubbio dalle condizioni strutturali del settore, in cui conti-nuano ad operare moltissime imprese di dimensioni medio-piccole. In un mercato che si caratterizza per una crescente competizione, accen-tuata tra l’altro dall’ingresso in Italia di alcuni “colossi” della

distribu-zione europea (Auchan, Carrefour, Promodes, Intermarchè, Lidl, Tan-gelmann...), le imprese italiane sono state costrette ad intraprendere importanti operazioni di razionalizzazione. In questi anni abbiamo in-fatti assistito sia alla realizzazione di fusioni ed acquisizioni di una certa importanza, sia alla creazione di nuove centrali d’acquisto di di-mensioni sempre crescenti, iniziative cui hanno partecipato sia le im-prese a succursali della Grande Distribuzione (GD) che quelle della Distribuzione Organizzata (DO).

Sulla nascita delle cosiddette “supercentrali”, che ha caratterizzato soprattutto l’ultimissimo periodo, il dibattito tra gli operatori è stato particolarmente ricco. La logica di queste alleanze commerciali è ov-viamente quella di ricercare forme di concentrazione del potere distri-butivo da parte delle imprese partecipanti, ma l’esperienza degli altri paesi europei dimostra come il successo di queste “supercentrali” sia fortemente legato alla chiarezza degli obiettivi. Infatti, se la spinta a collaborare è generata solo dalla necessità di ottenere migliori condi-zioni contrattuali con l’industria, il rischio è che la centrale si traduca in una mera moltiplicazione dei livelli decisionali, che alla fine si ri-percuotono negativamente sui costi. Se invece alla base delle centrali c’è un vero progetto di integrazione delle funzioni commerciali e logi-stiche, i vantaggi possono essere notevoli, anche se le imprese parteci-panti devono assumere comportamenti conseguenti, come quelli di non gestire nello stesso luogo le stesse formule di vendita con insegne diverse.

L’esperienza italiana, che pure è solo agli inizi, ha già fornito alcu-ni esempi di come le difficoltà possano portare al fallimento di queste iniziative, soprattutto quando ad essere coinvolte sono le imprese della DO, che già al loro interno hanno normalmente dei problemi nel go-vernare i rapporti tra i soci. E’ il caso ad esempio della centrale d’acquisto Pooldis, nata nel 1990 per iniziativa di Gea, Italmec e Unvo e scioltasi poi nel 1994.

6.1.3. Le nuove formule distributive

Il biennio 1994-1995 si è anche caratterizzato per lo sviluppo e il successivo assestamento di una nuova tipologia distributiva, quella dei discount. Sugli effetti generati dalla crescita di questa formula a livello

di imprese distributive e di industria alimentare si è discusso a lungo in questi anni: dalla diffusione dei cosiddetti prodotti di primo prezzo, emblema di una rinnovata attenzione al prezzo da parte dei consuma-tori, alle scelte sofferte dell’industria di marca, che, dopo essere stata costretta a mettere i propri prodotti in promozione, ha infine deciso di mettere in portafoglio linee di prodotto specifiche per i discount.

Oggi però, dopo un periodo di vera e propria euforia, si sta assi-stendo ad una fase di assestamento e di riqualificazione della formula discount. Questo sembra sia attribuibile in parte all’improvvisazione con cui alcuni operatori hanno investito in questa tipologia, e in parte ad un certo “raffreddamento” dell’entusiasmo dei consumatori, che, superata la crisi, tendono a riscoprire variabili diverse dal prezzo, co-me la qualità e il servizio. Se poi si tiene conto che, a conferma della generale propensione per la multicanalità, quasi tutte le imprese italia-ne hanno scelto di investire italia-nei discount, questa tipologia è di fatto en-trata a far parte di un portafoglio differenziato di formule distributive, che vanno dalle superette ai supermercati, dagli ipermercati ai di-scount, ed anche quest’ultimo è diventato una delle possibili opzioni con cui ciascuna impresa può segmentare il mercato distributivo. La strada che si prefigura è allora quella di un’ulteriore differenziazione della formula discount, che ha già subito specifici adattamenti alla re-altà italiana e che, giocando sulla presenza o meno dei prodotti deperi-bili e dei prodotti di marca, o sulla qualità dell’esposizione, può orien-tarsi verso diversi segmenti di consumatori.

6.1.4. Il riposizionamento delle tipologie tradizionali

La crescita dei discount ha poi determinato una risposta molto artcolata delle formule distributive più tradizionali (supermercati ed i-permercati), che ha interessato in modo particolare il miglioramento del servizio, il rafforzamento delle marche private e la qualificazione degli assortimenti, soprattutto nel settore dei prodotti freschi.

Per quanto riguarda le marche private, nell’ultimo biennio tutte le principali imprese italiane hanno rilanciato in grande stile i loro pro-dotti a marchio, stimolate dal fatto che molti consumatori, dopo aver imparato l’attenzione al prezzo con i discount, sembrano essere co-munque poco disponibili a rinunciare alla qualità dei prodotti e al

ser-vizio. In questo quadro, i prodotti a marchio finiscono per assumere un ruolo strategico, proprio perché garantiscono un rapporto equilibrato tra qualità, prezzo e servizio, consentono ai distributori di ottenere margini più elevati e, quando i prodotti riportano il marchio dell’insegna, stimolano la fedeltà del consumatore. La crescita delle private label è confermata dalle analisi più recenti, che attribuiscono ad esse una quota di mercato superiore all’8%, con un giro d’affari che sfiora i 9.000 miliardi (Fonte Nielsen).

Il ruolo dei prodotti a marchio negli assortimenti si è poi ulterior-mente consolidato: il posizionamento di prezzo, almeno nel caso dei marchi d’insegna, ha come punto di riferimento la marca leader, verso la quale i distributori mostrano però di non voler essere particolarmen-te aggressivi, anche per non metparticolarmen-tere in crisi i rapporti coi fornitori. I-noltre, nonostante le private label stiano ormai interessando tutti i set-tori merceologici, non si tratta quasi mai di prodotti frutto di una spe-cifica attività di ricerca e sviluppo, a dimostrazione di come i distribu-tori tendano a lasciare l’innovazione di prodotto alla responsabilità dell’industria.

Infine, i supermercati e gli ipermercati si vanno sempre più caratte-rizzando per l’assortimento di prodotti freschi (ortofrutta, lattiero-caseari, carni, salumi). Questi ultimi costituiscono infatti l’elemento fondamentale per una politica di qualificazione dell’insegna e di difesa dei margini, in quanto il mercato dei freschi ha dimensioni molto rile-vanti (circa il 65% della spesa alimentare), si mostra estremamente di-namico sia in termini di volumi che di prezzi, e, soprattutto, ha fortissi-me potenzialità di sviluppo. Infatti, in questo settore i discount hanno un peso quasi irrilevante e, specialmente per carni e ortofrutta, il mercato è ancora in gran parte dominato dai negozi tradizionali o addirittura dall’ambulantato. I principali distributori italiani hanno dunque investito in modo massiccio sul fresco, che per diverse imprese (Coop, Vegè, Co-nad, Sma, A&O Selex) è arrivato ad incidere sulle vendite per quasi il 50%, con una punta del 60% per Esselunga (Fonte Iha ConsumerScan).

Nel documento Volume Rapporto 1995 (.pdf 2.4mb) (pagine 125-129)