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La dissenting opinion: un inganno della majority?

Capitolo I: fenomenologia e storia dei Reverse Payment Settlements

6.4 La dissenting opinion: un inganno della majority?

Il declinarsi di Actavis più come ingente apparato argomentativo deputato a stigmatizzare lo scope of patent test, piuttosto che come diri-mente enucleazione di una chiara regola operativa238, ha spinto i giu-dici contrari alla decisione a scrivere una dissenting opinion quasi altret-tanto corposa, a conferma di come i RPS non possano fare a meno di creare un ambiente giuridicamente vischioso.

Ciò su cui la minority opinion – per la penna del Presidente della Corte Suprema Roberts – “respectfully dissent[s]” è proprio la perentoria esclusione dello scope of patent test, a suo avviso unico valido parametro valutativo applicabile ai RPS; quella che infatti viene in questa sede definita come una ‘rule of reason amorfa’ verrebbe a declinarsi come un’impropria invasione di campo da parte del diritto della concorren-za a danno del diritto della proprietà industriale.

L’argomentazione si rifà alla già vista ‘teoria della convergenza finalistica’239 secondo cui, in un ordinamento che ha posto “il diritto antitrust a promuovere mercati competitivi e benessere del consuma-tore, [ed] il diritto brevettuale a concedere monopoli limitati come mezzo per incoraggiare l’innovazione”, è solo nel lungo periodo che gli effetti di benessere collettivo possono porsi in essere, senza inter-sezioni inter-ordinamentali: un po’ come i binari di una ferrovia, due rette parallele che non possono incontrarsi ma che solo in tal modo vedono pienamente e felicemente realizzato il loro scopo.

A voler ricorrere ad un’ulteriore immagine: il diritto brevettuale si pone, nelle parole del giudice Roberts, come un monopolistico

238 Non si può negare che, per come si conclude, Actavis è una sentenza che lascia un amaro retrogusto di domande senza risposta, piuttosto che un dolce sapore di soluzioni. Questo (insoddisfacente) aspetto verrà analizzato successivamente. v.

infra, cap. III.

239 v. supra par. 1.5 . La teoria della convergenza finalistica: giardini dorati e binari

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dino dorato’, entro i cui recinti il diritto antitrust non può entrare; ma nel caso in cui uno dei privilegiati abitanti di quell’eden dovesse uscir fuori, il diritto della concorrenza sarebbe lì, pronto a prenderlo ed analizzarlo.

A sostegno delle immaginifiche tesi esposte la minority riporta pacifica giurisprudenza, sfruttando anche quelle stesse pronunce uti-lizzata dalla majority, argomentandole però in senso opposto: si pun-tualizza, infatti, che in ognuna di quelle sentenze l’analisi antitrust era sì utilizzata, ma con l’eccettuativa che non ci si trovasse all’interno dei limiti dei diritti concessi dal brevetto240. Di conseguenza, e non po-tendo essere irrilevante “che in 123 anni, da quando è in vigore lo Sherman Act, [...] non si sia mai permesso al diritto antitrust di passa-re il Rubicone”241, la soluzione data dalla Corte è, se non poco orto-dossa, perlomeno singolare. Infatti se è vero, come secondo la minori-ty lo è, che un brevetto include uno ius excludendi alios entro i cui limiti il diritto antitrust non ha diritto di cittadinanza; ed è vero che una transazione non è in re ipsa contraria al diritto antitrust, allora la solu-zione dei casi come Actavis non può che essere assolutamente banale e diretta, e basata sull’indagine dei precisi confini della privativa bre-vettuale.

Volendo ricorrere ad argomentazioni di teoria generale del di-ritto l’interrogativo si declina come un problema di scelta su quale lex specialis applicare al caso concreto: agli occhi della componente mino-ritaria ritenere che una questione sorta e basata completamente sul

240 Così il giudice Roberts specifica, ad esempio, che in United States v. Line

Mate-rials si chiosava: “[T]he precise terms of the grant define the limits of a patentee’s

monopoly and the area in which the patentee is freed from competition’’; ed an-cora, citando United States v. General Electric: “It is only when [the patentee] steps out of the scope of his patent rights that he comes within the operation of the Sherman Act”.

241 FTC v. Actavis, cit. 2242.

Una scelta di lex specialis

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ritto brevettuale – giova ripetere che il problema dei RPS è appunto la validità del brevetto – possa essere risolta a mezzo di presunzioni di matrice concorrenzialistica non può essere corretto; la lente valutativa deve necessariamente essere quella brevettuale.

Argomentando poi riguardo il diritto di natura legislativa – dunque trattando di Hatch-Waxman Act – l’affermazione della minority è netta: anche se il legislatore è andato nella direzione di un generico incoraggiamento alla concorrenza e alla sfida brevettuale, quello non può essere sufficiente a ribaltare in toto il rapporto fra diritto antitrust e diritto di proprietà industriale. Con parole che ai più coriacei giuristi di Civil Law possono destare non poche perplessità, il giudice Ro-berts afferma che: “nessuna legislazione persegue i propri scopi ad ogni costo” e che “semplicisticamente assumere che qualsiasi cosa so-stenga l’obiettivo primario della legislazione debba essere il diritto frustra, invece di rendere effettivo, l’intento legislativo”242.

Proseguendo nella demolitoria argomentazione, la minority sot-tolinea che – come chiarito dalla dottrina, ed anche qui si riutilizza il periodare di Schildkraut – non v’è peculiarità nei RPS, perché se è vero che il genericista se ne va con del danaro che non gli spetterebbe a titolo di risarcimento, è vero tutto il contenzioso si basa su un bre-vetto che vale denaro, ed in quanto diritto disponibile, transigere al riguardo rientra nella piena facoltà delle parti, come ancillare e gemel-la facoltà legata al diritto di agire in giudizio.

Rispondendo infine alle cinque finali argomentazioni che, se-condo la majority, dovrebbero mettere sotto scacco la teoria dello scope of patent, la minority afferma che “tutte quelle non rispondono al pro-blema di fondo che transigere un contenzioso brevettuale non può, in

242 FTC v. Actavis, cit. 2242, citando Rodriguez v. United States, S.Ct. 1391, 94 (1987).

Quale ruolo per l’esprit de loi?

I perversi effetti dell’esclusione dello scope of patent

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nessun caso, determinare un danno concorrenziale illegittimo fintan-toché il titolare della privativa si muova all’interno dello scopo del brevetto valido, [in cui] è permesso fare esattamente quello che le ac-cuse antitrust pretendono sia illegale”243.

L’argomento viene rafforzato con profili processualistici: la conseguenza dell’esclusione dello scope of the patent sarebbe, infatti, la paradossale esclusione del brevetto come argomento difensivo nei confronti delle accuse di anticoncorrenzialità; questo porterebbe all’inevitabile conclusione che il fondamento della decisione antitrust venga a porsi in essere al di fuori dello stesso elemento di fatto che alle stesse accuse ha dato vita, cioè il brevetto.

Basare le valutazioni di illegalità sulle dimensioni del RPS – praticamente unica soluzione disponibile dopo l’eliminazione tranchant del brevetto dai fattori da considerare – non è, per la minority, uno specchio valido, in quanto non considera elementi come l’avversione al rischio e le varianti informative che cambiano nel corso del proces-so. Non si può accettare, questa è la conclusione, che si decida in base alla incerta percezione soggettiva della parte che paga, la quale anche solo per stress e stanchezza dovuti alla lunghezza del contenzioso, potrebbe arrivare a pagare cifre anche corpose per motivi tutt’altro che anti-concorrenziali; eppure questo succederebbe laddove si di-chiarassero illegittimi accordi, basati su brevetti validi, colpevoli solo di aver privato la controparte di qualche chance di dichiarazione di in-validità.

L’impianto contro-argomentativo della dissenting inoltre, si raf-forza ulteriormente nelle battute finali: si afferma che la decisione del-la maggioranza di optare per del-la Rule of Reason – scelta già ritenuta di

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per sé poco consona244 – verrebbe ad avere due problematiche con-seguenze tutt’altro che coerenti con le ‘buone intenzioni’ dei giudici.

La prima consiste nella difficoltà, lasciata tutta alle corti infe-riori, di strutturare tale corretta Rule of Reason: declinare gli elementi probatori idonei ad una presunzione così tecnicamente complessa, in una materia così scivolosa, non è semplice; osservazione, questa, pre-dittiva e di certo veritiera in quanto, come si vedrà, sotto certi punti di vista Actavis ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti.

La seconda viene invece ad essere una critica fattuale ed ipote-tica, in cui la minority cerca di dimostrare come in realtà la scelta di escludere il brevetto dall’equazione valutativa per incentivare la con-correnza è in prima battuta inutile, ed in secondo luogo controprodu-cente; per i seguenti ordini di motivi:

a. il bottleneck effect dovuto ai 180 giorni di esclusività per il primo genericista che richiede l’ANDA con paragraph IV certification è un problema virtuale, in quanto la valutazione su chi sia il pmo si fa al giorno, dunque se più genericisti esponessero la ri-chiesta insieme, tutti avrebbero l’esclusiva, aprendo però, nei fatti, un mercato concorrenziale. In tal caso, un titolare del brevetto poco fiducioso nella propria privativa che pagasse molto i genericisti per stare fuori dal mercato, in realtà altro non farebbe che “buttare sangue nell’acqua dove gli squali

244 Qui il Giudice Roberts richiama espressamente lo scritto di Hovenkamp, Janis e Lemley, nel passo in cui si escludeva la Rule of Reason come test appropriato in material di RPS: “The purpose of the rule of reason is to determine whether, on balance, a practice is reasonably likely to be anticompetitive or competitively harmless – that is, whether it yields lower or higher marketwide output. By con-trast, patent policy encompasses a set of judgments about the proper tradeoff between competition and the incentive to innovate over the long run. Antitrust’s rule of reason was not designed for such judgments and is not adept at making them.”HERBERT HOVENKAMP,MARK ALEMLEY,MARK JANIS, op. cit.; v. infra par. 5.3 .

Tra pericoli ed inutilità

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no sempre vicini”245, incentivando in realtà l’arrivo di altri ge-nericisti e non ponendo, dunque, alcun problema di tipo anti-trust;

b. la presenza di una rule of reason – diminuendo le possibilità tran-sattive delle parti e mettendo più a rischio quelle rimanenti – ottiene, ironicamente, l’effetto contrario a quello sperato, di-sincentivando i genericisti dallo sfidare il titolare del brevetto. Ciò si ottiene perché essendo il contenzioso costoso, lungo ed incerto, gli sfidanti “entreranno nel rischioso terreno [del pro-cesso] solo dopo aver attentamente analizzato i potenziali gua-dagni in caso di vittoria e le perdite in caso di sconfitta”246. A conclusione di questa critica – che, non v’è chi non lo veda, per molti versi richiama più una filippica – la dissenting opinion non si astie-ne dallo sferrare un ultimo, duro attacco: “La majority oggi si allontana dal pacifico approccio che separa diritto brevettuale e diritto antitrust, indebolisce la protezione garantita dai brevetti agli innovatori, frustra la politica in favore della risoluzione stragiudiziale delle controversie e probabilmente intacca quegli stessi obiettivi che cerca di promuovere, in quanto forza i generici che salgono sul ring processuale a farlo pri-vati della prospettiva di poter negoziare transazioni in denaro. Io ter-rei le cose come stanno, e non assoggetteter-rei questioni elementari di diritto brevettuale a non pertinenti indagini di diritto della concorren-za, con i danni triplicati e le notorie difficoltose istruttorie.”247

245 FTC v. Actavis, cit. 2246.

246 FTC v. Actavis, cit. 2247.

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Capitolo II: Law and Economics