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LA FORMAZIONE CLINICA, RELAZIONE E CULTURA

Nel documento XXVIII CONGRESSO NAZIONALE ANIARTI (pagine 132-137)

R. ALVARO

Università degli Studi «Tor Vergata» Roma - [email protected]

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La variabilità è anche riferibile a quanto si spende nei crediti in presenza o di studio individuale o di altre attività il Decreto Ministeriale n. 509 del 3 no-vembre 1999 definisce come credito professionalizzante: il credito per la prima classe di laurea per gli infermieri, infermieri pediatrici ed ostetriche, stabilita in trenta ore, a seconda delle università possono variare da 15 a 21 ore di pre-senza, piuttosto che da 16 a 14 ore per altre attività che vengono svolte non in presenza, o addirittura 30 ore in presenza.

Master di primo livello

Bisogna conseguire 60 crediti per avere un master di primo o di secondo.

L’offerta formativa universitaria inerente le lauree sanitarie, ha finalità rivolte alla carriera clinica e quindi alle competenze cliniche o alla carriera organizza-tiva, prevalgono però i master in management.

Non è stato possibile estrappolare il dato di coloro che si sono iscritti ai master di primo livello non dedicati alla professione infermieristica (chi ha in mano una laurea di primo livello, si può iscrivere ad un master di primo livello a tutte le facoltà di tutte le università, purché il requisito di accesso sia una laurea di primo livello).

Un esempio: molti colleghi si sono iscritti al master di management nelle facoltà di economia, piuttosto che nelle facoltà di giurisprudenza: non è detto che il master debba essere management infermieristico.

Gli attuali master che sono stati attivati negli atenei riguardano soprattut-to gli infermieri. I master clinici sono all’incirca il 57%; quelli in coordinamen-to il 21%; gli altri master il 22%. Si iscrivono più le donne rispetcoordinamen-to agli uomini, ma la professione infermieristica è formata per lo più da donne che da uomini.

Il master di primo livello in management infermieristico rappresentano il 53%;

quelli in area critica il 28%.

Una curiosità è rappresentata nella suddivisione geografica dove nord e centro si equivalgono, mentre poco rappresentato o meno rappresentato sono il sud e le isole.

La laurea di secondo livello ha l’obiettivo di fornire allo studente la forma-zione di livello avanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificaforma-zione nel-l’ambito specifico.

La laurea specialistica è stata attivata nel 2004.

Il numero di atenei che hanno attivato la laurea specialistica sono passati dai 16 del primo anno di attivazione, agli attuali 30 che sono rimasti invariati in questo anno accademico rispetto allo scorso anno.

Anche per la laurea specialistica, abbiamo una variabilità totale, forse anche più marcata, riguardo i crediti e la loro attribuzione: si passa dai 90 ai 180 crediti.

Nella slide si può vedere, anche in questo caso, come variano a seconda delle varie aree geografiche l’attribuzione dei crediti, passando addirittura da 2 crediti a 18 per le facoltà di scienze umane e psico- pedagogiche.

Sottolineo le scienze umane e psico-pedagogiche dove l’infermiere deve avere una buona preparazione, e trovarsi di fronte un infermiere con soli 2 crediti formativi in tale ambito potrebbe dare qualche difficoltà.

Nella slide si può fare la media dei vari crediti: scienze infermieristiche passa da 23 a 111 crediti, riferibili ai 300 crediti totali.

Master di secondo livello

Io sono convinta che noi oggi siamo nelle condizioni di attivare master specifici per gli infermieri dedicandogli un master di secondo livello, perché l’infermiere con una laurea specialistica si deve mettere in discussione, sce-gliendo il proprio campo d’azione con altri professionisti. Sono stati attivati pochi master di secondo livello dedicati agli infermieri, ma molti colleghi han-no fatto master di secondo livello in risk management, piuttosto che in ecohan-no- econo-mia, in legislazione o altro in diversi atenei.

Il dottorato di ricerca

Viene conseguito dopo la laurea specialistica, quindi un percorso molto importante, che conclude un percorso universitario già iniziato nel 2006. Ad oggi non abbiamo ancora i primi dottorati in scienze infermieristiche.

Tuttavia anche i dottorati sono stati già attivati all’Aquila, Genova, Firenze e Tor Vergata e sono specifici per le scienze infermieristiche.

Però il lavoro che è stato fatto all’interno dei nostri atenei è quello di preve-dere la possibilità dei laureati in scienze infermieristiche di poter partecipare quali dottorati in altri dottorandi: per esempio da quest’anno hanno ottenuto di poter partecipare al dottorato di medicina legale insieme ai laureati in medicina, in giurisprudenza, anche i laureati in scienze infermieristiche. Oppure al dotto-rato di riabilitazione del piano pelvico o in dottodotto-rato in scienze chirurgiche.

Come è prevista per tutte le professioni, anche l’infermiere può partecipare quale dottorato in specifiche altre discipline, come la medicina legale, la chi-rurgia, l’economia, la pedagogia o altro; poiché forma colleghi in grado di ac-quisire abilità e conoscenze specifiche, spendibili nei percorsi di primo o se-condo livello per le facoltà a base infermieristica, rivolte alla professione, uti-lizzando una metodologia condivisa con le altre professioni.

Formazione clinica, relazione e cultura: quali criticità e quali punti di forza La Legge 1 febbraio 2006, n. 43 «Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della pre-venzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali», parla di infermiere esperto, abile e competente, anche riferendoci alle compe-tenze individuali: dando assistenza diretta ma anche per chi lavora in struttura organizzative.

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Le criticità

1) Lo scarso potere decisionale in ambito formativo è una delle criticità più grosse: il basso numero di docenti universitari disciplinari.

Su 50.000, i docenti sono 32 e non tutti provenienti dall’area infermieristica.

2) La scarsa possibilità di intervenire nei problemi decisionali: la normativa afferma che il presidente del corso di laurea è un professore ordinario o associato.

3) Lo scarso riconoscimento dei docenti a contratto: ci sono circa 40.000 infermieri che lavorano gratuitamente nell’ambito dei nostri atenei a supporto dell’attività di docenza a vario titolo: nei master, nelle lauree, nelle attività di formazione tutoriale sul campo. Abbiamo una disomogeneità formativa che abbiamo già visto graficamente e abbiamo uno scollamento fra la tipologia di operatore che a volte viene richiesto dal servizio sanitario nazionale con colui che invece viene formato.

4) I finanziamenti. Non ci sono i finanziamenti per fare una formazione ad un alto numero di infermieri.

5) Disomogeneità formativa. I passi che l’ordinamento didattico deve fare, dal momento in cui viene attivato un percorso di studio, sono l’attivazione del-l’ordinamento didattico in base al regolamento dell’ateneo: stilare un regola-mento di corso di studio e pianificare gli studi determinando una distribuzione dei crediti. Questo contributo può essere tanto, molto, poco o addirittura nien-te, dipende dalla sensibilità del singolo ateneo e non dalla capacità dei coordi-natori delle attività tecnico-pratiche o direttori (a seconda della nomina che viene data al responsabile), che a volte non conosce le dinamiche e i riferimenti universitari delle discipline professionalizzanti. Spesso anche gli obiettivi for-mativi sono completamente diversi da ateneo ad ateneo, e, addirittura, alcuni presenti nello stesso ateneo hanno diversa denominazione e diversi direttori.

Quali le possibili soluzioni

Se è vero che il percorso clinico (come dice la Legge 43/99) deve essere riconosciuto, sarebbe bene stabilire insieme al ministero quale deve essere il prodotto finito, e quindi il formato che si vuole dagli atenei: creare (nel rispetto della legge sull’autonomia degli atenei universitari), una uniformità di conte-nuti o almeno di obiettivi.

Incrementare la docenza anche con i ricercatori a contratto (visto che le università non possono fare concorsi, non possono assumere e sono sicura-mente a bassissimo finanziamento): modificare in parte la norma per avere dei professori a contratto per tre anni rinnovabile, in modo tale da inglobarli nel meccanismo universitario.

Definire la denominazione dei corsi perché non è possibile avere lo stesso riconoscimento, se ho crediti diversi e denominazione diversa. E andare ad agire sui protocolli d’intesa Regione-Università che determinano la regolamen-tazione di tutti i 219 corsi di laurea ad oggi attivate.

Punti di forza

Indubbiamente l’università ha dato alla professione infermieristica la pos-sibilità di essere veramente riconosciuta come professione intellettuale e come scienza, perché soltanto le professioni intellettuali che determinano scienza sono all’interno degli atenei.

È sicuramente un potenziamento della ricerca infermieristica: chi sta in ateneo è tenuto a fare ricerca e didattica ed ha quindi da la possibilità di entra-re in un progetto formativo infinito.

Integrare il sistema sanitario al sistema universitario, a garanzia della for-mazione, della sicurezza e della efficienza dei servizi sanitari, promuovendo la collaborazione tra i diversi organi rappresentativi istituzionali che sono alla base di questo fenomeno.

Riflessioni rispetto al posizionamento del gruppo professionale italiano e quello dei rappresentanti della federazione italiana infermieri su alcune que-stioni legate al mondo professionale.

Ci sono tre tematiche:

– questione strategica;

– questione organizzativa;

– questione tecnica.

Sono tre momenti di riflessione che sono comuni a tutti i gruppi professio-nali che lavorano in sanità.

È arrivato il momento di cambiare qualcosa all’interno del servizio sanita-rio nazionale. Bisogna identificare verso dove cambiare, cosa cambiare, come orientare il cambiamento, come coinvolgere i professionisti che sono impegna-ti in questo cambiamento, come aumentare il controllo sociale e la responsabi-lità, come fare in modo che i portatori di interesse del servizio sanitario nazio-nale (i cittadini, le persone assistite, le persone che sostanzialmente giustifica-no l’esistenza delle professioni sanitarie e il sistema sanitario) abbiagiustifica-no necessi-tà di cambiamenti.

È una questione organizzativa che discende dalla questione strategica: se è vero che dobbiamo cambiare, come dobbiamo cambiare, dentro quale model-lo, dentro quale sistema, dentro quali operatività e progettazioni di strutture di organizzazioni.

Infine una questione tecnica che attiene più squisitamente il mondo pro-fessionale infermieristico: come andare a ri-configurare sia internamente che esternamente il sistema professionale dei servizi in cui sono inseriti gli infer-mieri.

Dentro questi tre filoni facciamo qualche riflessione. A loro volta questi tre filoni si inseriscono in un contesto di riferimento più ampio che non è condi-zionabile da noi, che non è predeterminabile e che dobbiamo assumere come dato; ed è un contesto che noi dobbiamo ricavare dai dati epidemiologici, dai dati sociali e dai dati legati al territorio.

Si deve valutare la tendenza verso cui stiamo andando, perché se dobbia-mo affrontare le questioni strategiche, organizzative e tecniche, non possiadobbia-mo e non dobbiamo sottostimare il contesto nel quale ci troviamo ad operare che ci porta a riprogettare il sistema.

La cronicizzazione delle patologie dell’invecchiamento della popolazione è un dato incontrovertibile perché quello che sta emergendo come necessità

RIFLESSIONI RISPETTO AL POSIZIONAMENTO

Nel documento XXVIII CONGRESSO NAZIONALE ANIARTI (pagine 132-137)