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La genitorialità della donna tossicodipendente

1. Premessa

3.5 La genitorialità della donna tossicodipendente

Le relazioni precoci sono fondamentali per l’avvio del primo nucleo della personalità. Dunque, come confermano diversi studi32, la caratteristica delle madri

tossicodipendenti è quella di aver sviluppato nell’infanzia un tipo di attaccamento insicuro, che non facilita lo sviluppo della funzione genitoriale di essa, né costituisce una risorsa adeguata rispetto alla capacità di prendersi cura del proprio bambino.

La genitorialità, infatti, dovrebbe offrire al minore accoglimento, protezione, sostegno, stimolazioni ma anche limiti e regole, con stabilità della figura di riferimento; è una “capacità” che si viene a formare a partire dalle esperienze personali dell’infanzia con i propri famigliari, che vengono poi interiorizzate come bagaglio mentale. Purtroppo, nelle donne tossicodipendenti, questo bagaglio non è composto da situazioni favorevoli, in modo tale da influenzare negativamente le caratteristiche genitoriali adulte.

La donna tossicodipendente non è mai riuscita a rielaborare le esperienze dolorose relazionali del passato, che hanno così continuato ad invadere la sua mente fino all’età adulta, non permettendole di sviluppare un adeguato modello d’attaccamento.

32 Per approfondimenti in merito si veda: Simonelli Alessandra, Graziella Fava Vizziello, “La qualità delle

rappresentazioni di attaccamento in madri tossicodipendenti come fattore di rischio per lo sviluppo affettivo del bambino”, in Tani Franca (a cura di), “Nucleo monotematico: aspetti inadeguati e devianti della funzione genitoriale”, in “Età Evolutiva”, rivista di Scienze dello Sviluppo, n. 72, Giugno 2000, pp.54-60.

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Allo stesso modo si evidenziano tipologie di attaccamento insicuro ed evitante anche nei loro bambini.

In queste situazioni ci troviamo di fronte a casi di trascuratezza genitoriale, intesa da Cirillo come “il segnale di un fallimento, psicologicamente estremamente serio e

drammatico, della capacità d’investire adeguatamente la propria emotività nel rapporto col figlio”(Cirillo Stefano, 1996).

Si parla di incapacità genitoriale come messaggio.33

Non c’è dubbio quindi che il comportamento tossicomanico della madre (o allo stesso modo anche del padre), influenzi le capacità di prendersi cura del proprio figlio.

Si vede già a partire dalla fase della gravidanza, nella quale non “si ha avuto tempo” di pensare al bambino e di organizzarsi uno spazio sia fisico che mentale per esso, poiché spesso “fatte” o impegnate nella ricerca frenetica della sostanza. Così le donne arrivano alla nascita del proprio bimbo senza aver pensato né a lui come soggetto reale, né a se stessa come madre.

Spesso le donne che si rivolgono ai vari Servizi, non si descrivono come “genitori”, non si vedono molto in questo ruolo e si sentono inadeguate a svolgerlo, così come i loro partner.

33 Per approfondimenti in merito si veda: Cirillo Stefano, Di Blasio Paola, “La famiglia maltrattante”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1989, p.61 e Cirillo Stefano, “La tutela dei minori figli di genitori tossicodipendenti”, in Ghezzi Dante e Vadilonga Francesco (a cura di), “La tutela del minore. Protezione dei bambini e funzione genitoriale”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996., p.221. Con questa definizione si intende: “un’incapacità del genitore trascurante non per una

limitazione intellettiva o di esperienza, ma perché il suo mondo interiore è totalmente dominato da relazioni affettive insoddisfacenti che gli impediscono di investire le proprie energie emotive nel rapporto col figlio”.

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Alcune di loro cercano di conciliare l’essere tossicomane con il proprio ruolo di madre, ma spesso sono quelle che fanno uso di droga da poco o che riescono a procurarsi “la roba” facilmente, senza bisogno di uscire di casa.

L’equilibrio che si crea tra l’uso di droga e la funzione materna non è però stabile, sia per la non sempre lucidità della donna, sia perché spesso essa si ritrova da sola.

Le madri tossicodipendenti, infatti, non riescono a mantenere molti rapporti interpersonali con l’esterno, spesso sono isolate dal contesto sociale, con difficoltà a comunicare con gli altri. Sovente non conoscono il padre del bambino e altre volte esso non rimane vicino a loro.

Le coppie tossicodipendenti, infatti, si formano all’interno di un’esperienza comune di dipendenza da sostanze, in una reciproca complicità nella ricerca e nell’uso della droga. All’annuncio della gravidanza della donna, il partner si trova a dover accettare la sua nuova posizione subordinata rispetto al bambino e, molto spesso, maggiormente nel periodo post-parto, l’uomo diventa geloso anche delle attenzioni che il personale socio- sanitario riserva alla compagna, dileguandosi dal ruolo di padre e a volte anche da quello di partner. In questo modo, i primi anni di vita dei minori sono caratterizzati prevalentemente da assenza fisica e psicologica di buona parte dei padri, in maggioranza tossicodipendenti attivi nel periodo successivo alla nascita del figlio.

Si nota come i figli in questi casi, o vengono inglobati nella relazione fusionale di coppia, senza che ci sia un vero spazio per loro, o di solito la madre, nel caso in cui entrambi i genitori siano tossicodipendenti, “riesce un po’ più facilmente ad uscire dall’egocentrismo onnipotente e a percepirsi come utile per il proprio bambino.”34

34 Burroni P., Podio M., Pasqualini C., Pianarosa L., Salamina G., Tibaldi C., “Elementi di follow-up sui bambini nati a

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Il padre, invece, percepisce il figlio come un “rivale” che toglie spazio alla parte bambina del genitore, in quanto egli tende a dipendere dalla donna, che molto spesso è vissuta come sostituto materno.

Ritornando a focalizzare l’attenzione sulla madre, notiamo che frequentemente, queste tendono a chiedere aiuti esterni per la gestione del figlio, soprattutto verso la propria famiglia d’origine, in particolare alla madre. Molte di loro continuano a mantenere una dipendenza economica dal nucleo familiare e spesso vanno ad abitare con i genitori, assieme al proprio bambino e al partner se è ancora presente. Questo conferma la tendenza generale del tossicodipendente al maggior invischiamento e al più forte legame di dipendenza ai propri genitori rispetto ad altri soggetti (Mazza Roberto, Marchiò Carla, 1995, p.16).

Per ciò che attiene al tipo d’attaccamento che le madri offrono ai propri figli e al soddisfacimento dei loro bisogni, possiamo notare che, man mano che il tempo passa, esse si rendono conto del compito gravoso al quale sono richiamate.

Le madri tossicodipendenti sono turbate dalla dipendenza affettiva dei figli e dai loro bisogni che vengono vissuti come avidi e insaziabili. Questo genera spesso un comportamento di distanza affettiva e annullamento dell’empatia rispetto alle richieste emotive dei loro bambini.

La vivacità del figlio e la mutevolezza delle sue esigenze, suscita nelle madri un senso d’angoscia e d’impotenza, sentimenti di fallimento del ruolo materno. Sovente, allora, per superare questi momenti, la droga rimane l’unico mezzo per sentirsi all’altezza delle circostanze.

A parte tutto, si nota da parte di queste madri, un adempimento abbastanza puntuale dei compiti di accudimento essenziale, come lavare e vestire i bambini; e la

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trascuratezza si evidenzia piuttosto nel modo col quale esse partecipano a queste cure: in maniera scissa, meccanicamente e senza empatia.

Le madri tossicodipendenti fanno fatica a comunicare emozioni di tipo positivo al figlio, tuttavia, l’avere un bambino, può diventare un modo per realizzare un’identità di genere più stabile e definitiva nella misura in cui la madre si dia la possibilità di elaborare la sofferenza che c’e dietro all’uso di sostanze

I comportamenti di queste donne cambiano da momenti di completa assenza traumatica, ad attimi di grande stimolazione per i loro piccoli, i quali si trovano così a crescere in un ambiente particolarmente stressante dovuto alle sue caratteristiche d’incomprensibilità.

Difficilmente queste madri riescono a dare una struttura alle giornate, né hanno comportamenti coerenti e prevedibili.

Inoltre, esse tendono a condurre il figlio ad un’autonomizzazione precoce, favorendo al tempo stesso un’inversione dei ruoli, proprio come le loro mamme hanno fatto a sua volta con loro.

Il bambino si dimostra così, eccessivamente premuroso e autoritario nei confronti del genitore, assumendo verso quest’ultimo un comportamento educativo e di controllo, accompagnato da una sentita preoccupazione per la sua salute e il suo benessere. Questa è una delle più evidenti manifestazioni del disturbo d’attaccamento del bambino, che lo porta ad un’adultizzazione intempestiva.

Questi minori sono descritti come “piccoli adulti”, fonti di sostegno e di esempio per i loro genitori. Molto maturi per la loro età, esperti nello spiegare la patologia del genitore e nel gestire situazioni collegate ad essa. La loro vita è caratterizzata da momenti di assistenza ai continui via vai di persone nella loro casa, testimoni, nel peggiore dei casi, di episodi nei quali vedono il genitore “bucarsi”.

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In questo modo, sviluppano una grande responsabilità e tendono ad avvicinarsi maggiormente alla madre per alleviarne la sofferenza. Questo atteggiamento viene ben accolto dall’adulto che ne favorisce l’inversione dei ruoli, rivivendo l’esperienza della sua infanzia, nella quale lui stesso era stato consolatore del proprio genitore (Cirillo Stefano, Di Blasio Paola, 1989, p.81).

La madre conserva la sua posizione immatura, spingendo il figlio a divenire “suo genitore”, posizionando se stessa nel ruolo di “fratello maggiore” del bambino.

Come dice Bowlby: “una madre che, a causa di esperienze negative della propria

infanzia, cresce sviluppando un’angoscia di attaccamento tenderà con più probabilità a cercare di essere accudita e di ricevere cure dai suoi figli, in tal modo inducendo il figlio stesso a diventare angosciato, pieno di sensi di colpa e forse anche fobico”35.

In conclusione: l’uso di sostanze, lo stile di vita che la donna conduce e la mancanza di “basi sicure”, non le consente di acquisire uno stile educativo adeguato, tanto da arrivare, a volte, a riconoscerlo.