1. Premessa
4.1 Tra cura e protezione Indicazioni di metodo
Oggi assistiamo ad un cambiamento della figura del tossicodipendente che sempre più spesso cerca di rendere compatibile l’uso di sostanze con la conduzione di una vita “normale”, sforzandosi, quindi, di mantenere rapporti sociali, lavoro, relazioni stabili con la famiglia e con il partner. Non dobbiamo sempre credere che essere figlio di tossicodipendenti significhi necessariamente essere privi di un ambiente familiare idoneo, o essere vittime di comportamenti pregiudizievoli, o essere in stato di abbandono
Si tratta di verificare l’effettiva capacità di questi genitori (e dei nonni) di prendersi cura del bambino, o dei bambini, e di progettare un intervento insieme di cura e di sostegno alla genitorialità, che dovrà coinvolgere necessariamente i tre sottosistemi: la coppia tossicodipendente, i figli, i nonni. E’ necessario riuscire a costruire un’alleanza con i genitori tossicodipendenti, in modo da far loro capire i vantaggi che l’intervento avrà per loro stessi e per i figli; dall’altro, un sostegno psicologico ai nonni che faccia chiarezza sui ruoli e sui confini familiari.
Solo analizzando la struttura della famiglia tossicodipendente, le relazioni di ciascun membro di questa coppia con le rispettive famiglie d’origine e le relazioni della coppia con i figli, è possibile individuare quali meccanismi dinamici e relazionali abbiano contribuito alla tossicomania dei genitori, per evitare che questi, ripetendoli nel loro rapporto col figlio, possano a loro volta divenire patogeni.
Questo intervento mira, da un lato, a favorire e migliorare le capacità genitoriali, della madre e del padre, valorizzando eventuali risorse già esistenti o gli aspetti più evoluti e positivi della loro personalità. Dall’altro a far luce sull’ambivalenza dei nonni (e degli zii), per evitare che si percepiscano, o vengano percepiti dai nipoti, come figure genitoriali, e per ristabilire quindi l’asse e i confini generazionali.
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I principi operativi, per chi voglia ad un tempo tutelare i diritti del minore e fornire un adeguato intervento ai genitori, possono essere così schematizzati:
Individuare le famiglie a rischio (evitando generalizzazioni ideologiche e pregiudizi), eseguendo un esame sulle persone e sulla situazione, che comprenda una prima valutazione sanitaria e psicosociale della famiglia, al fine di accertare i fattori di rischio, l’entità del problema e porre le basi per il progetto di intervento in un contesto collaborativo.
Raccogliere dati sulle tre principali aree in cui si può evidenziare un possibile danno: sanitario, sociale e psicologico e la loro attinenza con il disagio dei genitori.
Riuscire ad avere l’autorizzazione (dai genitori) o il mandato (dai tribunali minorili) per poter effettuare una valutazione del danno sul minore, cercando di costruire col genitore un’alleanza di lavoro fondata sulla comprensione e sulla condivisione dell’esistenza di un danno che il bambino subisce, al fine di essere interrotto, e non su un contesto di indagine vissuto come persecutorio e basato sul pregiudizio (cfr. Cirillo, in Fava Viziello, Stocco, 1997).
Non disgiungere l’intervento terapeutico sui genitori dal lavoro di protezione del minore. Evitando inutili metodi ricattatori gli operatori potranno puntare più opportunamente sulla responsabilizzazione attraverso testimonianze e dati concreti riguardanti la rilevazione del danno sul minore.
Collaborare con i tribunali minorili in contesti chiari e definiti. Valgono le indicazioni di Cirillo e Cipolloni (1995) sui comuni errori nel rapporto con i tribunali per i minorenni: a) soprassedere sulla segnalazione pur in
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presenza di danno o di rischi per il minore, insistendo nel richiedere ai genitori una collaborazione “spontanea” che non viene data, b) sottrarsi all’obbligo di segnalazione o referto, c) utilizzare il Tribunale come minaccia isolata quando non si sa cosa fare, senza prevedere di chiedere al giudice la sua disponibilità ad una co-costruzione del progetto, d) coalizzarsi inconsapevolmente con la famiglia contro il giudice, e) utilizzare l’aiuto senza il controllo o viceversa.
Coinvolgere i tre sottosistemi: la coppia genitoriale tossicodipendente, i figli, i nonni. Lavorare con i genitori in modo da far capire il vantaggio dell’intervento sia per loro stessi che per i figli e analizzare la storia familiare, lavorando sulle relazioni di ciascun membro della coppia con le rispettive famiglie d’origine, individuando i meccanismi dinamici e relazionali acquisiti che possono aver contribuito alla loro tossicomania e che potrebbero riprodursi nella terza generazione.
Fare chiarezza sulla determinazione dei ruoli e dei confini familiari valutando anche la disponibilità e capacità dei nonni di occuparsi in prima persona del bambino (durante il trattamento dei figli), sia dal punto di vista educativo che da quello materiale, aiutandoli ad evitare i consueti rischi di un “allevamento sostitutivo” fatto contro i genitori tossicodipendenti.
Programmare periodici follow-up (in collaborazione con i vari servizi territoriali) durante l’intero trattamento.
Last but not least, utilizzare tempestivamente le rilevazioni e i referti concreti legati a fatti documentati ed accertati, relativamente a danni organici sui minori (incidenti, crisi d’astinenza neonatali, ingestione di sostanze ecc.) che abbiano una loro attinenza coi comportamenti genitoriali,
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o danni sociali rilevabili, connessi ad incuria, scarsa attenzione all’igiene, all’alimentazione, all’educazione ecc. Più che le difficoltose psicodiagnosi essi consentono di avere materiali informativi non contestabili. Documentazioni certe. Tempestivamente significa “accelerare” per poter prevenire, evitare che un fattore importante di rischio diventi un grave danno, un pericolo di vita. Utilizzare quindi la rilevanza del fatto trasformando un contesto di aiuto spontaneo e un contatto routinario con un paziente omissivo, in una situazione coattiva e prescrittiva.
Scivolare in comuni e patogene procrastinazioni significa invece ritrovarsi, di lì a qualche anno, con bambini cronicizzati attorno al problema dei genitori, operatori impotenti di fronte a situazioni di dolore che, tragicamente, si tramandano come inopportune eredità.