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Uno sguardo agli altri provvedimenti

1. Premessa

4.6 Uno sguardo agli altri provvedimenti

Ritorniamo ora alla nostra madre che decide di compiere in gravidanza un percorso adeguato di cura di sé e del proprio bambino, adottando un trattamento metadonico che si protrae anche dopo il parto. Non sempre essa continua e porta a termine il percorso di recupero per un’adeguata tutela del minore e allora, gli operatori del Ser.T, il Servizio Sociale e l’autorità giudiziaria, decidono se dare una possibilità alla donna di sperimentare la sua genitorialità senza attendere che abbia ultimato il

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programma riabilitativo. Per evitare il distacco del piccolo dalla figura di riferimento primaria e la sua lunga ospedalizzazione dopo la nascita nell’attesa di un provvedimento, vi sono altri interventi che sono privilegiati, ancora prima di quelli sopra illustrati; questi permettono la continuazione della relazione madre-bambino, senza interruzioni e passaggi da Centri d’Accoglienza e affidamenti per il minore. Sto parlando delle

Comunità madre-bambino e per coppie con figli e dell’assistenza a domicilio (quando

questa sia adeguata) con un supporto da parte di operatori dei servizi territoriali e del volontariato sociale, per un sostegno alla genitorialità.

4.6.1 Le Comunità madre-bambino

Accolgono in comunità sia le madre che i bambini e propongono un percorso sia sul recupero della tossicodipendenza che sul sostegno alla genitorialità. L’ottica di intervento delle comunità madre-bambino (e coppia-bambino) è quella di salvaguardare sia il genitore che il figlio e favorire lo sviluppo di un adeguato processo di attaccamento reciproco non trascurando il legame che comunque esiste tra la madre tossicodipendente ed il suo bambino.

La madre ha la possibilità di entrare in Comunità con il figlio solo se esprime la precisa volontà di restare accanto ad esso e di occuparsi di lui. Oltre a questo, chiaramente, è fondamentale che sia disposta a seguire un programma di recupero dopo l’avvenuta disintossicazione, o a sottoporsi a questa prima di iniziare il percorso in Comunità assieme al bambino. In alcune Comunità si accolgono anche le gestanti che sono ancora in trattamento con metadone, aiutandole a capire l’importanza della gravidanza e preparandole al parto con momenti di prevenzione.

In Comunità, inoltre, si entra in seguito all’accordo di tutti i Servizi che hanno in carico la diade, che eseguiranno prima un’accurata valutazione d’idoneità genitoriale

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della madre. Con questi Servizi si resterà in contatto istaurando con loro un rapporto di collaborazione, caratterizzato da incontri periodici a cadenza stabilita, per monitorare continuamente la situazione individuale di ciascuna residente e valutare le sue possibilità di recupero. Agli inizi, nella fase dell’inserimento nella struttura, questi momenti saranno più ravvicinati nel tempo, per poi stabilirsi ad una distanza maggiore.

La Comunità per madri con figli è un intervento da privilegiare prima dell’allontanamento del minore dal genitore, poiché non dimentichiamo che genitori non si nasce ma si diventa attraverso la relazione con il bambino.

Qualsiasi madre che esprime il desiderio di restare accanto al figlio ha il diritto di essere messa nelle condizioni di poterlo fare, dato che qualunque donna può essere potenzialmente una buona mamma e deve poter provare ad esserlo.

Le Comunità, al tempo stesso, devono poter offrire le condizioni necessarie per accogliere il bambino ed essere in grado di rispondere ai suoi bisogni rispetto alle diverse età, cercando di conciliare il progetto di recupero con quello della genitorialità.

Le Comunità sono come dei contenitori, esse adottano il modello della casa, proponendo alle loro utenti uno spazio di passaggio, protetto e attrezzato, in cui vivere per un periodo limitato. Queste sono aperte tutto l’anno e il tempo della permanenza in Comunità per la diade è di circa un anno o poco più. Il numero delle utenti che vi fanno parte varia a seconda delle strutture e dei progetti locali.

Le Comunità, senza dubbio privilegiano la relazione madre-bambino e la sua continuità nel tempo, aiutandola a crescere e recuperandola precocemente. La presenza del bimbo, inoltre, diventa parte integrante della proposta di recupero di sé della madre.

Le mamme dormono in stanza con i propri figli, a volte assieme ad altre donne e ai loro bambini. Questo per responsabilizzare maggiormente la donna che sarà così chiamata in prima persona a dover gestire possibili risvegli notturni del piccolo ed altri

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bisogni. Oltre a ciò, esse impareranno a stare nella medesima stanza con altre mamme, rispettandone le abitudini e le necessità.

L’organizzazione complessiva della giornata e degli orari tiene conto del fatto che la madre deve potersi dedicare al figlio nei momenti più importanti, quali: il risveglio, l’accompagnamento a scuola, i pasti, il gioco e l’addormentamento, avendo anche il tempo di giocare con lui.

Alcune Comunità hanno l’asilo al loro interno, in modo tale che i bambini rimangono nella struttura e possono essere seguiti dalle stesse educatrici che si occupano di loro anche al di fuori dell’orario scolastico. Oltre a questo, di solito, troviamo un giardino esterno con dei giochi con cui i minori possono divertirsi.

Le Comunità mantengono un contatto esterno con il volontariato sociale e tutti i Servizi territoriali (scuole, parrocchie, circoli ricreativi, sportivi, Servizi sanitari, etc.), a cui i bambini possono partecipare come i loro coetanei.

All’interno della struttura circolano diverse figure professionali come: le educatrici, lo psicologo e l’assistente sociale che lavorano sul sostegno alla madre, sulla sua genitorialità, sui temi della sessualità e dell’identità di genere, attraverso colloqui individuali e gruppi di discussione; oltre a monitorare il lavoro delle educatrici. Poi possiamo incontrare il direttore che coordina l’intero “sistema”, lo psichiatra, il neuropsichiatria infantile, il pedagogista etc. Ogni Comunità, chiaramente, avrà la sua struttura anche per quanto riguarda l’équipe che ne fa parte.

Un ruolo importante è svolto dalle educatrici che seguono sia la madre che il piccolo. Esse aiutano la donna ad eseguire bene e in modo responsabile i propri compiti genitoriali, promuovendo la responsabilità della madre nell’accudimento del figlio. Man mano che la donna poi diventa più autonoma, la loro presenza è sempre meno assidua.

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Al lavoro delle Comunità gli operatori cercano di coinvolgere anche la famiglia d’origine della donna, visto che, se aiutata e sostenuta, rappresenta una risorsa importante per il recupero della madre. Essa parteciperà così ai progressi della figlia e allo sviluppo del nipote.

Se il padre del bambino, inoltre, sarà ancora presente, ogni Comunità stabilirà le modalità degli incontri tra lui, il minore e la madre.

La Comunità madre-bambino è un ponte verso l’esterno, è un modo per far vedere alla donna che esiste anche questa possibilità e farle comprendere che quello che riesce a fare “dentro” può farlo anche “fuori”. E’ un progetto d’AUTONOMIA importante che fa cambiare.

In seguito alla Comunità, le madri vengono appoggiate da una sorta di continuazione del progetto, essendo inserite per brevi periodi in appartamenti assieme ad altre mamme. Questo intervento permette alla donna di lavorare e di occuparsi del figlio, preparandola al rientro totale nel mondo sociale assieme al piccolo.

4.6.2 Comunità Terapeutiche residenziali Coppia-Bambino

Accolgono in comunità l’intero nucleo familiare e propongono un percorso sulla tossicodipendenza, sulla genitorialità e sulle problematiche di coppia.

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C

APITOLO

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TORIA DI

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Nella storia che segue vorrei anticipare tre elementi centrali su cui ruoterà la descrizione del caso, da leggersi secondo i modelli interpretativi e metodologici già tracciati. Si tratta di una coppia sposata, Luca e Marta, entrambi con doppia diagnosi (abuso di sostanze e disturbo antisociale di personalità). Sono seguiti da molti anni dai Ser.T. prevalentemente con farmaci sostitutivi e colloqui di sostegno. Ciascuno ha una storia personale e una vita infantile satura di elementi traumatici. Mettono al modo una figlia in un’età compresa tra i 35 e i 40 anni. La bambina nasce con una modesta crisi di astinenza. Il percorso terapeutico della coppia si avvia dopo la nascita di Giulia nel tentativo disperato di conciliare la protezione della bambina con la terapia dei genitori. I servizi affidano la loro bambina (e con il loro consenso) alla zia paterna.

Giulia è una bambina di 7 anni, nata da Marta, una madre in terapia con metadone. Giulia nasce con parto distocico e alla nascita presenta tremori grossolani sotto stimolo e note di ipereccitabilità con pianto stridulo. Giulia rimane in ospedale fino ai tre mesi.