• Non ci sono risultati.

La lettera di Fedra ad Ippolito rappresenta un unicum all’interno della raccolta: a differenza delle altre epistole, non abbiamo un’eroina che scrive all’amato lontano, ma abbiamo una donna che scrive all’uomo del quale è innamorata, utilizzando l’epistola come mezzo di conquista: è attraverso la lettera che Fedra spera di conquistare il figliastro, convincendolo ad abbandonarsi alla passione. Proprio per questo la quarta epistola delle Heroides è stata definita dai critici – tra i quali la voce più autorevole è certamente quella di Rosati61 - come una vera e propria lettera di seduzione dalla chiara funzione seduttiva e persuasiva nei confronti di qualcuno fortemente restio all’amore, una vera e propria suasoria .

Perciò, dato l’obiettivo finale della lettera, non deve sorprendere se Fedra “mette in atto tecniche e strategie precise”62 che le consentano di conquistare il figliastro, tra le quali possiamo notare l’utilizzo del linguaggio tipico della donna vinta dall’amore e di un registro che potremmo definire tragico – patetico63. Ma, soprattutto, possiamo osservare come Fedra, ben decisa a realizzare il suo obiettivo, si faccia portavoce di quelle tecniche di seduzione che Ovidio aveva sapientemente illustrato in un’altra sua opera: l’ Ars Amatoria.

Come rilevato da alcuni studiosi64, i passaggi della epistola che rimandano a passi dell’Ars Amatoria sono numerosi – ad esempio i versi dedicati alla descrizione delle bellezza di Ippolito che, confrontandoli con Ars I, vv 509 – 512, farebbero entrare di diritto il giovane nel catalogo di quegli eroi seduttori provetti per quanto rozzi di aspetto65 - , ma è nei versi iniziali della lettera che l’autocitazione ovidiana si fa più evidente. Possiamo notare, infatti, come Fedra, accingendosi a scrivere a Ippolito, si mostri memore degli insegnamenti di Ovidio che predicano prudenza66,

61 Numerosi sono gli studi di Rosati sulle Heroides ovidiane, basti qua citare l’edizione da lui curata delle Heroides:

Ovidio, op.cit., e per quanto riguarda l’epistola di Fedra nello specifico, G. Rosati, op.cit., pp 113-131

62

Da Ovidio, op.cit., p 110

63

Queste caratteristiche, come evidenziato da Rosati nel suo saggio sull’epistola, G. Rosati, op. cit., p 128 ss, emergono soprattutto ai vv 37-50, quando Fedra, folle d’amore, esprime il desiderio di seguire l’amato in un’attività prettamente maschile quale la caccia.

64

G. Rosati, op.cit., pp 113- 131, G. M. Masselli, op.cit., pp 33-94, e in particolare L. Landolfi, Scribentis imago, eroine ovidiane e lamento epistolare, Bologna, Pàtron, 2000, pp 11-43

65

L. Landolfi, op. cit. , Bologna, 2000, pp 33-36

66

Ovidio, Ars, I, vv 464-466: “Saepe valens odii littera causa fuit./Sit tibi credibilis sermo consuetaque verba,/Blanda tamen, praesens ut videare loqui”, traduzione: “Spesso anche una lettera può suscitare un impeto di sdegno. Sian le

31

cercando di presentare la situazione meno drammatica di quanto possa sembrare e, come abbiamo visto, rassicurando il giovane sul possibile scandalo, evitato proprio dal loro legame familiare. Ma anche la scelta stessa di scrivere una lettera sembra adeguarsi ai precetti ovidiani: nell’Ars Amatoria, infatti, il poeta consigliava all’amante di sondare il terreno attraverso delle lettere prima di confessare il proprio amore, sempre in nome della prudenza e della pazienza che dovevano accompagnare l’innamorato in tutto il processo di conquista:

Cera vadum temptet rasis infusa tabellis, cera tuae primum conscia mentis eat; blanditias ferat illa tuas imitataque amantum verba, nec esigua, quisquis es, adde preces67

“La cera, sparsa sulle tavolette, dia inizio ai tuoi pensieri; porti le carezze ed imiti le frasi degli amanti, e tu , chiunque sia, non risparmiare le implorazioni”

Ergo eat et blandis peraretur litter verbis eploretque animos primaque temptet iter 68

“E dunque vada e di parole dolci sia incisa la tua lettera; il suo cuore ella esplori per prima e tenti i passi”

Fedra, quindi, si presenta come una vera e propria maestra di seduzione, “ praeceptor amoris”, che scrive una lettera che “si configurerà come strumento di seduzione o come ‘pass-partout’ all’educazione sentimentale”69. L’eroina ovidiana è una donna impegnata in quello che si potrebbe definire un gioco seducente, perfettamente inserita nella società galante della quale ha fatto proprio il codice etico – ideologico. Citando Rosati potremmo dire che “ Ovidio riceve dalla tradizione letteraria la figura di Fedra come simbolo dell’amore infelice e ne riscrive la passione calandola in un universo elegiaco”70.

La Fedra delle Heroides, quindi, ci viene presentata come una donna elegiaca che nel mondo dell’elegia vive e si muove, ed è questa la vera trasgressione di Ovidio rispetto alla tradizione:

tue parole le più semplici e credibili sempre, quando scrivi; tenere. Tuttavia, sì che sembri che tu le parli”. La traduzione è a cura di E. Barelli in Ovidio , L’arte di amare, a cura di E. Barelli, Milano, BUR, 1997

67 Ovidio, Ars, I, vv 435 – 38 68 Ovidio, Ars, I, vv 453-54 69 G. M. Masselli, op.cit., p 62 70 G. Rosati, op.cit., pp 130-131

32

Fedra non è più protagonista del teatro tragico, non è più eroina drammatica, ma una donna galante che tenta di sedurre Ippolito ricorrendo ad ogni insegnamento lasciato dal maestro d’amore Ovidio.

La differenza con d’Annunzio è notevole e inevitabile: in Ovidio è assente quell’amore devastante e impossibile che dilania Fedra sin da Euripide e che ritroviamo anche nella tragedia dannunziana. La Fedra ovidiana è infatti caratterizzata da una leggerezza e una galanteria sconosciuta alla sorella dannunziana; eppure, nonostante questa lontananza ideologica, ad avvicinare le due eroine è il loro fascino di donna irresistibile e la sensualità che emerge dalle loro parole e – come nel caso di d’Annunzio – dai loro gesti che hanno come unico fine la conquista di Ippolito. Questi tratti sono, invece, completamente assenti nelle Fedre, caratterizzate dal dissidio tra amor e pudor, che si pongono tra l’epistola di Ovidio e la tragedia di d’Annunzio.

Come abbiamo potuto vedere infatti, la Fedra dannunziana è un personaggio profondamente trasgressivo nei confronti della tradizione: priva del pudor che contraddistingue la Fedra euripidea dell’Ippolito portatore di corona, e le protagoniste delle tragedie di Seneca e di Racine, l’eroina cretese si mostra in d’Annunzio come una donna decisa ed audace che deve combattere con un solo ostacolo: non le norme morali volute dagli dei, non la conservazione del suo buon nome, ma l’indifferenza del giovane che ama.

L’audacia di Fedra emerge soprattutto nell’attimo prima della sua confessione ad Ippolito, mentre la donna osserva il figliastro addormentato e, in preda al desiderio, si spinge dove nessuna delle sue antenate aveva osato andare:

Ancor più s’inclina verso l’efebo Fedra vertiginosa. E, tenendogli tuttavia tra le sue palme il capo riverso, profondate le dita nei riccioli di viola distese dalla nuca alle tempie, con tutta la sete che le fa dura la bocca pesantemente in bocca lo bacia71 come chi prema e franga e mescoli nella morte il frutto di due vite.72

La Fedra dannunziana non si limita a dichiarare al giovane figliastro la sua passione, ma alle parole accompagna un gesto che mostra come la donna abbia abbandonato ogni scrupolo: Fedra bacia Ippolito in una scena che Pedrazzini ha definito “ traboccante di sensualità estetizzante”73. La protagonista di d’Annunzio non riesce a trattenere i suoi sentimenti per il figliastro e, avida di un contatto fisico, rivela tutto il suo desiderio attraverso le proprie labbra. Il bacio che la donna dà ad

71

Il corsivo è mio

72

G. D’Annunzio, Fedra, Atto secondo, in op.cit., p 475

33

Ippolito, infatti, racchiude in sé una voluttà tale da non far dubitare il giovane su quali siano le vere – e illecite - intenzioni della donna nei suoi confronti:

Ancor trasognato, egli si tocca le palpebre, poi le labbra impresse dal bacio terribile. Gli si riaccosta col suo passo di pantera, su i piedi senza sandali, la Cretese piegandosi come per strisciargli contro le ginocchia. […] […]

Ippolito:

Con che bocca soffocato

m’hai? Di che onta soffocato m’hai, o Cressa? Non fu bacio di madre il tuo. 74

Nel bacio, quindi, non solo possiamo vedere l’irrimediabile rottura con la tradizione precedente, basata sul pudor da preservare ad ogni costo, ma possiamo anche ritrovare quella carica erotica alla quale Fedra si abbandona completamente e quella sensualità che ha come chiaro obiettivo la conquista di Ippolito, già presenti nella quarta epistola ovidiana.

Anche se la Fedra di d’Annunzio non mette più in pratica gli insegnamenti dell’Ars Amatoria, si può comunque considerare l’erede diretta della seducente antenata elegiaca: non solo si spinge a dare ad Ippolito un voluttuoso bacio, ma rivolge al figliastro parole cariche di erotismo e lussuria che mostrano tutto il suo desiderio:

Fedra:

O nudo volto che languisci riverso […]

e tanto sei soave tu che m’eri tremendo

e mai mi fossi prossimo al respiro così come mi pesi

coi grappoli profondi ov’è nascosta l’aspide ond’io mi muoio,

baciarti non m’ardisco perché temo che la mia bocca ti devasti e non si sazii. 75

74

G. D’Annunzio, Fedra, Atto secondo, in op.cit., p 476

34

E travolta dallo stesso desiderio e dalla stessa lussuria è anche la Fedra di Ovidio:

Te tuus iste rigor positique sine arte capilli Et levis egregio pulvis in ore decet. Sive ferocis equi luctantia colla recurvas,

Exiguo flebo miror in orbe pedes; Seu lentum valido torques hastile lacerto,

Ora ferox in se versa lacertus habet; Sive tenes lato venabula cornea ferro – Denique nostra iuvat lumina, quid quid agis76

“ Quando pieghi il collo ribelle di un fiero cavallo, ammiro le zampe costrette in un piccolo cerchi; o se scagli col braccio robusto l’asta flessibile, il tuo intrepido braccio attira e trattiene il mio sguardo; o se impugni la picca di corniolo con banda di ferro – insomma, qualunque cosa tu faccia, i miei occhi ne traggono piacere”

Nel dichiarare il suo amore al figliastro e nel pregarlo di ucciderla, l’unica soluzione che le sembra possibile, Fedra si lascia andare all’amore e pronuncia, più volte, parole dall’inequivocabile carica erotica, rivelandosi come una donna ardita che grida la sua passione e implora di poterla soddisfare.

Fedra:

Fasciami il viso con i miei capelli se tu lo temi, e chinati una volta e baciami per entro l’intrecciato fuoco. Ah sii dolce, poi che dolce sei. T’ho veduto. Poi fendimi con tutta la tua forza, poi trattami qual fiera perseguitata dai tuoi cani, trattami quale preda raggiunta. Siimi dolce! T’ho veduto. Languivi.

[…]

Abbatimi e ricordati. Il mio sangue è maturo di te,

76 Ovidio, Her. IV, vv 77-84

35 come il succo del frutto, insino al cuore,

insino alle radici della mia

bellezza e del mio male. Sono inferma, sì, sono insonne, arsa; non posso più vivere. Ma la Terra porterà

ancora i giorni e gli uomini e le biade e l’opera e la guerra e il vino e i lutti innumerevoli, e non porterà

un amore che sia come l’amore di Fedra.77

La reazione di Ippolito di fronte alla dichiarazione della matrigna è tradizionale: il giovane è inorridito e sdegnato e non vuole ascoltare oltre le parole della donna. Tuttavia Fedra è ben decisa a conquistare il figliastro e, di fronte al suo rifiuto, rivela tutta la sua sensualità e tutto il suo fascino, esaltando la sua bellezza e promettendo una straordinaria voluttà:

Fedra:

[…] E, se tu batti il tuo

piede come quel dio, mi levo e splendo e trasfiguro, e sono la Titanide

e son l’Oceanina,

tutta raggi le pieghe de’ miei pepli, tutta gorghi le vene del mio petto. Guardami, come sono!78

Ma la sensualità della Fedra dannunziana si rivela anche nei suoi gesti: la donna, infatti, ricerca continuamente il contatto con Ippolito e, in un dialogo ricco di simbologie sessuali e di un linguaggio ambiguo e quasi erotico, come notato da Pedrazzini e Fenaroli 79, la donna si aggrappa alle ginocchia del figliastro, implorando di morire trafitta dalla spada del ragazzo:

77

G. D’Annunzio, Fedra, Atto secondo, in op.cit, pp 478 - 479

78

Ivi, p 478

36 […] Lo provoca ella, aggrappandosi a lui, frenetica80.

Fedra:

Sì, tra l’omero e la gola,

colpiscimi! Con tutta la tua forza fendimi, sino alla cintura, ch’io ti mostri il cuore nudo,

il mio cuore fumante, arso di te, consunto dalla peste

insanabile, nero

dell’obbrobrio materno,

sì – colpiscimi! – nero della brama mostruosa – colpiscimi,

non esitare, per la pura Artemide che t’incorona, per la santità della dea che tu veneri, raccatta la tua mannaia e fendimi! […]

Mi discingo. Qui, tra l’omero e la gola, percuoti obliquo, il petto aprimi, il cuore vedimi!81

D’Annunzio ci presenta, quindi, una donna che si muove sulla scena con la sinuosità di una pantera, una donna “consapevole di possedere l’arma della sensualità”82 e dalla femminilità fatale che si rivela nel suo disperato tentativo di seduzione, un tentativo che era già stato messo in atto, attraverso la parola scritta, dalla galante e seducente Fedra ovidiana.

La volontà di conquistare Ippolito è talmente forte che Fedra accompagna allo sfoggio del suo fascino delle vere e proprie offerte materiali che diventano parte integrante del processo di seduzione. Sia in Ovidio che in d’Annunzio, infatti, la donna, ormai disperata e disposta a tutto pur di fare suo il figliastro, gli offre le ricchezze e il potere che le derivano in quanto figlia di Minosse, sperando che possano far capitolare il giovane:

80 Gesto vagheggiato anche dalla Fedra ovidiana: Victa precor genibusque tuis regalia tendo/ bracchia […] ( Ov, Her. IV,

vv 153-154 ), “Vinta ti imploro e alle tue ginocchia tendo le braccia regali”.

81

G. D’Annunzio, Fedra, Atto secondo, in op.cit., p 485

37 Fedra:

Figlio dell’Argonauta, vuoi tu mille navi?

Ippolito: Ben voglio Fedra:

Mille navi curve,

di rossa prora, fornite di tolda, irte di remi e d’aste come d’ali, piene di rematori e di guerrieri? Ippolito:

Dove sono? Fedra:

Vuoi tu regnare un regno d’isole? dominare tutti i mari? essere il Talassocrate scettrato dell’asta di tre punte?

Ippolito: Tu deliri, inferma Fedra: Non deliro, offro83

Est mihi dotalis tellus Iovis insula, Crete: Serviat Hippolyto regia tota meo.84

“Ho in dote una terra, Creta, che è l’isola di Giove: l’intera reggia si assoggetti al mio Ippolito.”

D’Annunzio, come abbiamo già evidenziato, ha certamente letto Ovidio e il debito che il Vate ha nei confronti del latino si rivela chiaramente in questi versi.

83

G. D’Annunzio, Fedra, Atto secondo, in op.cit., pp 449-450

38

All’influenza di Ovidio bisogna però aggiungere anche l’opera di mediazione di Swinburne: l’erotismo ossessivo e aggressivo e la carnalità degli istinti e dei pensieri portano, infatti, anche la firma dell’inglese. In particolare, come già accennato, d’Annunzio guarda a Swinburne per l’immagine di Fedra come di una pantera85 e per la ripetuta richiesta di trovare la morte per mano dell’amato, motivo questo già presente in Seneca e che l’inglese, deciso a raccontare di una donna così estranea alla morale e al puritanesimo vittoriano, enfatizza 86.

La Fedra dannunziana come quella di Ovidio – e di Swinburne – è, quindi, una donna audace che ha come solo obiettivo la conquista di Ippolito, per raggiungere il quale è pronta a dispiegare tutte le armi che la femminilità le fornisce e a dimenticare ogni pudore o scrupolo morale. Tanto l’eroina di Ovidio quanto quella di d’Annunzio porta, quindi, avanti un gioco di seduzione del quale si dimostra pienamente consapevole e padrona, non sentendo nessun bisogno di celare quella sensualità e quel fascino dei quali si fa portatrice, in piena rottura con l’immagine tradizionale di donna pudica e incerta che i tragediografi precedenti avevano tramandato.