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Ovidio e d’Annunzio: due tentativi di rendere lecito l’illecito

Ad ostacolare l’amore tra Fedra e Ippolito non è solo la tradizionale ritrosia del giovane nei confronti delle donne, caratteristica assente in d’Annunzio, ma è anche e soprattutto il vincolo parentale che li unisce e che rende la passione di Fedra incestuosa.

Tabù antico e universalmente riconosciuto, l’incesto è spesso al centro di diversi miti antichi dall’invitabile epilogo tragico. Tra le storie incestuose più famose ricordiamo sicuramente quella di Edipo che, del tutto inconsapevolmente, uccide il padre e sposa la madre Giocasta, generando con questa quattro figli. Tuttavia, una volta scoperta la verità, Giocasta deciderà di uccidersi, mentre Edipo si toglierà la vista, trafiggendosi gli occhi con una spilla della moglie – madre. Insieme alla storia di Edipo, portata in teatro da Sofocle, possiamo citare anche il mito dell’incestuoso amore tra Macareo e la sorella Canace, narrato da una tragedia euripidea, oggi perduta, l’ Eolo e nella epistola XI delle Heroides ovidiane; anche in questo caso la fine che attenda i personaggi è drammatica: Canace, dopo aver partorito il figlio concepito con il fratello, si suicida per la vergogna e Macareo, accorso troppo tardi per salvare la sorella, decide di uccidersi con la stessa arma. Esito tragico è anche quello della storia di Mirra e del suo amore per il padre Cinira che Ovidio riporta in

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Dalla didascalia: “ Fedra col suo passo di lunga pantera”, G. D’Annunzio, Fedra, Atto secondo, in op.cit., , p 472 o “Fedra: Come la pantera […] mi piego”, Ivi p 477

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un’ampia sezione de Le Metamorfosi, assegnando, però, alla fanciulla un destino diverso dalla morte: mentre fugge dal padre che vuole ucciderla, essendosi unito a lei del tutto inconsapevolmente, Mirra riesce a suscitare la pietà degli dei che la trasformano in un albero dal quale, nove mesi dopo, verrà alla luce il bellissimo Adone.

Come abbiamo visto, quindi, la cultura antica associa alle passioni incestuose conclusioni infelici e tragiche che comportano spesso la morte degli stessi protagonisti a causa della profonda vergogna derivata dall’aver commesso qualcosa di indicibile e di infamante, condannato da tutta la comunità. Date queste premesse, non deve stupire se la Fedra assolutamente determinata a conquistare Ippolito, sia nella versione di Ovidio sia in quella di d’Annunzio, cerchi in tutti i modi di rendere lecita la sua passione disonorevole, tentativo completamente assente nelle eroine degli altri tragediografi – Euripide, Seneca, Racine – che, come abbiamo visto, sono perfettamente consapevoli della natura colpevole e disdicevole del loro amore.

Caratterizzata dal linguaggio e dai discorsi tipici della lena, personaggio della letteratura ellenistica – e successivamente dell’elegia erotica romana – che doveva convincere all’amore chi era restio, la Fedra ovidiana si trova costretta, nel suo tentativo di conquistare Ippolito, a raggirare l’ostacolo rappresentato dal loro legame familiare, adducendo varie argomentazioni a suo favore. La prima argomentazione, come già visto in precedenza, non rinnega la parentela tra i due, ma al contrario, appellandosi ad un’estrema razionalità, la considera un elemento favorevole al tradimento: le tenerezze tra i due saranno infatti scambiate come normali dimostrazioni di affetto tra matrigna e figliastro87.

Tuttavia, in precedenza, Fedra aveva perfino tentato di legittimare l’incesto:

Nec, quia privigno videar coitura noverca,

Terruerint animos nomina vana tuos Ista vetus pietas, aevo moritura futuro,

Rustica Saturno regna tenente fuit.

Iuppiter esse oium statuit, quodcumque iuvaret. Et fas omne facit fratre marita soror.88

“ E se posso sembrare una matrigna pronta ad unirsi al figliastro, non si spaventi il tuo animo di fronte a parole vane. Codesto scrupolo antico, destinato a morire col tempo, vigeva quando Saturno governava il suo

87

Ovidio. Her. IV, vv 137-144

40 rustico regno. Giove decise che è giusta ogni cosa che piace, e la sorella sposata al fratello ha reso legittimo tutto”

Fedra, guardando la situazione in una prospettiva marcatamente relativista, ritiene il divieto di relazioni incestuose una norma tipica di una morale arcaica, un tabù antiquato che, se si poteva considerare valido per i tempi antichi di Saturno, è certamente inadatto ai tempi moderni nei quali altro non è che un nomen vanum.

La donna prova a creare addirittura quella che potremmo definire una nuova etica, fondata sul rifiuto dei valori tradizionali in favore di nuovi principi, avvallati dalle stesse divinità: non è stato forse Giove, sposando la sorella, il primo a legittimare gli amori incestuosi?

L’amore di Fedra non è impossibile per la sua natura incestuosa, ma solo perché Ippolito è restio a ricambiarlo, anche se il giovane non ha più nessun motivo per sottrarsi alla passione della matrigna: la relazione incestuosa non è illecita, non viola nessun codice morale, al contrario trova il favore degli dei.

Eppure, ben prima del tentativo di legittimare l’incesto, proprio nelle righe iniziali della sua lettera, Fedra aveva tentato di mostrare come, abbandonandosi all’amore, lei e Ippolito non avrebbero commesso niente di contrario alla morale:

Qua, nisi tu dederis, caritura est ipsa, salutem Mittit Amazonio Cressa puella viro89

“ Quel bene di cui sarà priva, e non sarai tu a darglielo, la fanciulla di Creta invia all’eroe figlio dell’Amazzone.”

Se la donna, definendosi puella e definendo il figliastro viro, tenta di camuffare la natura della loro relazione, presentando, invece, se stessa come Cressa, figlia di Minosse re di Creta, e Ippolito come Amazonio, figlio dell’Amazzone, sottolinea sin da subito come non vi sia nessun contatto tra la sua stirpe e quella del figliastro90. Fedra e Ippolito non sono parenti di sangue, le loro stirpi sono distanti e differenti, e ribadirlo è il primo tentativo operato dalla donna per convincere il giovane

89

Ovidio. Her, IV, vv 1-2

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Numerosi sono gli studiosi che si sono concentrati su questi due primi versi dell’epistola, giungendo alla conclusione sopracitata, tra i molti: R.Cortes Trovar, Qua licet et sequitur pudor est miscendus amori ( OV.epist. 4.9 ): la

transgresión de los límites y los límites de la trasngresión en la carta de Fedra, in « Cuadernos de Filología Clásica Estudios Latinos», 32, 2, 2012, p 252, A. F. De Vito, The essential seriousness of Heroides 4, in «RhM», 137, 1994, p 313 e H. Jacobs, Ovid’s Heroides, Princeton, New Jersey, Princeton University Press, 1974, p 147

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che i sentimenti che prova nei suoi confronti non sono sbagliati e proibiti e che loro due sono liberi di trasformare il loro rapporto in un rapporto amoroso.

Al pari del personaggio ovidiano, anche la Fedra dannunziana tenta di presentare la sua passione come lecita, e l’influenza dell’autore latino emerge soprattutto nell’argomentazione scelta dall’eroina di d’Annunzio per sostenere la sua tesi: tra Fedra e Ippolito non c’è un vero vincolo parentale che impedisce il loro amore. Ad indicarci l’estraneità di stirpe tra i due personaggi è, in primo luogo, la scelta degli aggettivi a loro attribuiti, di chiara ripresa ovidiana:

Fedra: Che vuoi

dal figlio dell’Amazone?

[…]

Come inferma si ostina la Cretese con le mani verso le tempie, con un penoso battito delle palpebre, e concitata e languente.

Fedra: […]

Non anche torna il figlio dell’Amazone? 91

Ma non sono solo gli aggettivi a rivelare la mancata parentela tra Fedra e Ippolito, è la stessa Fedra, infatti, a sottolinearlo:

Ippolito:

Di che onta infetto m’hai, o Cressa? Non fu bacio di madre il tuo

Fedra: Non io

ti sono madre. Non mi sei tu figlio, no. Mescolato di sangue non sei

con Fedra. Ma il tuo sangue è contra il mio, nemico, vena contra vena. Ah no,

42 non d’amore materno t’amo. 92

La Fedra di d’Annunzio non solo non è madre di Ippolito, ma non prova nei confronti del giovane nessun sentimento materno. L’eccezionalità di questo aspetto dell’eroina di d’Annunzio si rivela, tuttavia, anche dal confronto con un’altra tragedia dannunziana: la Parisina. Composta nel 1912 – e quindi successiva alla Fedra -, la tragedia in quattro atti narra l’amore incestuoso tra Parisina e Ugo d’Este, moglie e figlio del conte Niccolò d’Este93. Tra i due protagonisti vi è lo stesso legame familiare che unisce Fedra e Ippolito, ma, per quanto giovane, Parisina riconosce il proprio ruolo di madre nei confronti del figliastro:

Parisina:

Ah, signore mio figlio, già m’avete voi maculata,

m’avete insanguinata

a mezzo il petto. Ora perché volete ardermi?

Ugo d’Este: Figlio

mi dite! Figlio della Primavera

giovinetta or son io dunque a prodigio? Parisina:

Non potrò più toccarvi né sanarvi ahimè, figlio ferito!94

Parisina, a differenza di Fedra, è ben consapevole della natura illecita della propria passione per colui che definisce figlio, ed è solo con riluttanza, e dopo aver tentato di vincere questo amore, persuadendo anche Ugo a resistergli, che si lascia andare ad un bacio proibito. La consapevolezza con cui Parisina porta avanti la sfida alla morale è, invece, completamente assente in Fedra che,

92

G. D’Annunzio, Fedra, Atto secondo, in op.cit., p 476

93. Secondo le antiche cronache nel 1418 la quindicenne Parisina si sposa con Niccolò d’Este, a danno della preferita

del conte, Estella dei Tolomei, e dei loro figli illegittimi tra i quali Ugo. Le cronache ci dicono che inizialmente i rapporti tra Parisina e il figliastro, anche a causa della giovane età di entrambi, fossero tesi e ostili a tal punto che Niccolò, volendo pacificarli, li avrebbe invitati a compiere un viaggio che avrebbe fatto nascere l’amore tra i due. Rientrati a Ferrara, i due sarebbero stati scoperti e condannati a decapitazione il 21 maggio 1425.

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G. D’Annunzio, Parisina, Atto secondo, in A. Andreoli ( a cura di ), Tragedie, sogni e misteri, Tomo primo, Milano, 2013, p 725

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come abbiamo visto, tenta in tutti i modi di rendere lecite le sue azioni, anche razionalizzando il legame con Ippolito .

L’influenza di Ovidio su d’Annunzio nel professare la mancata parentela tra Fedra e Ippolito è evidente e si manifesta con maggiore chiarezza anche in considerazione del fatto che gli altri autori non neghino mai il legame familiare esistente tra i due, come è ben visibile in Seneca:

Hippolytus:

Committe curas auribus, mater meis Phaedra:

Matris superbum est nomen et nimium potens:

nostros humilius nomen affectus decet; me vel sororem, Hippolyte, vel famulam voca

[…]

Hippolytus:

Quodnam istud malum est? Phaidra:

Quod in novercam cadere vix credas malum95

Ippolito:

Confida il tuo dolore, madre, alle mie orecchie. Fedra:

Madre? Oh no, è un termine troppo solenne: ai nostri sentimenti va bene un termine più modesto. Chiamami sorella, Ippolito, oppure schiava.

[…] Ippolito:

Che razza di male è questo? Fedra:

Un male quasi incredibile per una matrigna.

La Fedra del latino rifiuta, esattamente come quella dannunziana, l’appellativo di madre, ma il suo rifiuto è dolce e quasi timoroso, non ha l’ardore e la potenza delle parole che d’Annunzio fa pronunciare alla sua Fedra. Se la protagonista dannunziana nega categoricamente ogni legame con il figliastro, quella senecana, invece, si mostra molto più titubante: per quanto lo percepisca

95 Seneca. Phaedra, vv 608-611 e 637 -638.

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inadeguato e cerchi di porsi in una posizione subalterna al figliastro, sa che il nome di mater le appartiene. Per Seneca la parentela tra Fedra e Ippolito è indubbia e viene messa in rilievo proprio dagli stessi termini che aprono e concludono la scena della confessione: mater ( v 608 ) e gnatus ( v 666 ) definiscono la parentela tra i due, sancendo irrimediabilmente la passione della donna come incestuosa e quindi illecita. Mater e gnatus diventano il segno evidente della necessità e del destino: Ippolito è il figlio di Teseo e questo è il nodo tragico che Fedra stessa, pronunciando la parola gnatus, riconosce e dichiara insormontabile96.

Se Seneca, alla luce della confessione di Fedra, sente il bisogno di ribadire l’esistenza di un legame familiare tra i due protagonisti della vicenda, in Euripide, invece, questa necessità è completamente assente: il tragediografo greco non mette mai in dubbio la parentela tra i due personaggi, della quale è pienamente consapevole anche Fedra che, infatti, non mette mai in discussione il suo ruolo nei confronti di Ippolito. Quindi, le eroine di Ovidio e di d’Annunzio nel loro disperato tentativo di rendere lecita la loro passione illecita, negando ogni famigliarità con il figliastro, rivelano, ancora una volta, tanto la loro natura di donne trasgressive e audaci quanto l’intenzione dei loro creatori di allontanarsi dalla tradizione.