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Corrado Alvaro e il modello ovidiano per Lunga notte di Medea

2.3 Storia di un mito e della sua ricezione

Tra i miti più celebri e più persistenti nella letteratura mondiale c’è sicuramente quello di Medea, la barbara principessa dotata di straordinarie arti magiche.

Figlia di Eeta, re della Colchide e dell’oceanina Idia 8, appartenente per padre alla stirpe del Sole, Medea entra nel patrimonio mitografico greco per il suo essenziale contributo alla missione degli Argonauti, guidati da Giasone.

Giasone, giovane figlio del legittimo sovrano di Iolco, Esone, viene mandato dallo zio Pelia, usurpatore del regno del padre, nella Colchide con numerosi eroi al fine di conquistare il Vello

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Ivi, pp 117-118

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Questa la genealogia proposta da Esiodo e poi ripresa anche da Sofocle e Apollonio Rodio; secondo fonti mitografiche posteriori invece Medea era figlia di Ecate e sorella di Circe.

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d’oro9: se Giasone dovesse riuscire nell’impresa, Pelia abbandonerebbe il trono, cedendolo al nipote.

Giunto dopo numerose peripezie nella Colchide, Giasone per ottenere quanto desidera viene sottoposto dal re Eeta ad alcune difficili prove che l’eroe riesce a superare solo grazie all’aiuto di Medea, la giovane figlia del sovrano. La fanciulla, infatti, si era perdutamente innamorata di Giasone e, per impulso di Eros e Afrodite, abbandonando ogni pudore e ogni rispetto per suo padre, decide di aiutare Giasone ad ottenere il Vello ricorrendo alle sue potenti arti magiche. Innamorata dell’eroe e determinata a proteggere gli Argonauti nella fuga, Medea scappa con gli eroi Greci e, per ritardare l’inseguimento da parte del padre, provoca la morte del fratello Apsirto, facendolo a pezzi e spargendo le povere membra dolorosamente raccolte da Eeta.

Ormai impossibilitata a tornare in patria a causa del tradimento e del terribile delitto, Medea sposa Giasone seguendolo a Iolco. Una volta giunti in Tessaglia, Medea decide di punire Pelia: dopo aver mostrato le sue arti magiche, la donna inganna le figlie del re che, convinte dalla maga a far bollire il padre in un calderone per restituirgli la giovinezza, finiranno per ucciderlo.

Costretta ancora una volta alla fuga, Medea giunge con Giasone a Corinto, ma altre disavventure attendono la donna. Giasone, deciso ad unirsi in matrimonio con la figlia del re Creonte, ripudia Medea che, accecata dall’ira, uccide la rivale e il re con dei doni magici e, morti i figli avuti con Giasone, scappa nuovamente, rifugiandosi ad Atene.

Giunta nella città dell’Attica, Medea sposa Egeo con il quale ha il figlio Medo. Al ritorno di Teseo da Trezene la donna tenta di uccidere il figliastro, ma Egeo riconosce il figlio prima che sia troppo tardi, costringendo Medea a scappare di nuovo.

Prostrata dall’ennesima fuga, la donna torna nella Colchide, dove aiuta il padre a riconquistare il trono perduto.

Medea muore in patria e, secondo una tradizione, dopo la sua morte viene divinizzata, raggiungendo i Campi Elisi e unendosi ad Achille.

Data la complessità della sua vicenda, non stupisce particolarmente che il personaggio di Medea sia tra i preferiti dagli scrittori di ogni tempo e che la sua storia sia oggetto di numerose opere tanto antiche quanto contemporanee.

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Il manto dell’ariete che, volando dalla Tessaglia in Oriente, salvò i giovani Frisso ed Elle dalle crudeltà della matrigna Ino. Elle cadde in mare durante il viaggio, Frisso invece giunge in Colchide presso il re Eeta al quale farà dono del manto dell’ariete ormai sacrificato.

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Le avventure di Medea, caratterizzate da inganni e tradimenti, forniscono ispirazione soprattutto ad Euripide che dedica alle vicende dell’eroina tre tragedie: le Peliadi ( 455 a.C. ), incentrata sul soggiorno di Medea a Iolco e sull’uccisione di Pelia, l’ Egeo ( 445 a.C. circa ) che narra del periodo ateniese della donna, e la Medea ( 431 a.C. ), l’unica tragedia rimastaci e certamente la più celebre. Con la Medea Euripide porta in scena il tradimento di Giasone, che ripudia Medea per Glauce, e la terribile vendetta della donna che, decisa a privare il marito di ogni affetto, uccide la futura sposa, il re Creonte e, infine, i due figli avuti dall’eroe.

L’infanticidio è già presente nell’epica minore, seppure non sia mai presentato come azione volontaria da parte della donna. Secondo la versione di Creofilo di Samo ( VII sec a.C ) nella Presa di Acalia, Medea avrebbe ucciso Creonte e sarebbe poi fuggita ad Atene, lasciando i figli sull’altare di Hera Akraia, sperando che Giasone se ne occupasse. Tuttavia, i fanciulli sarebbero stati trovati dagli sgherri di Creonte che li avrebbero così uccisi, incolpando la madre del delitto. Eumelo di Corinto ( VI sec a.C. ) nei Canti Corinzi racconta invece che Medea, posto Giasone sul trono di Corinto, avrebbe nascosto i figli nel santuario di Hera sperando di renderli immortali, ma uccidendoli involontariamente e per questo sarebbe stata lasciata dallo sposo. E’ quindi Euripide a introdurre per la prima volta il fortunato motivo dell’infanticidio volontario da parte di Medea come vendetta contro Giasone 10, ed è questa la versione del mito che si afferma nel tempo, venendo ripresa da tutti gli autori interessati a raccontare la terribile storia di Medea.

Euripide nelle sue tragedie ci presenta Medea come una donna già macchiata dall’infame colpa di aver tradito il padre e ucciso il fratello; secoli dopo sarà il poeta Apollonio Rodio a consegnare un’immagine completamente diversa dell’eroina: nella sua opera Medea è ancora una fanciulla innocente che sente per la prima volta il morso dell’amore.

Autore del III secolo a.C., Apollonio Rodio è conosciuto principalmente per le Argonautiche, poema epico in esametri in quattro libri, incentrato sulla saga degli Argonauti.

Dopo la narrazione del viaggio e delle avventure contenuta nel primo libro del poema, gli eroi giungono alla fine del secondo libro presso la reggia di Eeta, dove incontrano la figlia del sovrano, Medea. Alla figura della giovane sono dedicati gli ultimi due libri: il terzo libro si apre infatti con

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Ancora oggi i critici dibattono riguardo al motivo dell’omicidio premeditato dei figli da parte di Medea. Secondo alcuni, tra i quali Wilamowitz, è da considerare totalmente invenzione di Euripide; altri ritengono invece che il tragico abbia scelto una delle versioni già esistenti, ma della quale ad oggi non abbiamo traccia; altri sostengono invece la tesi dell’ “ originalità relativa”, secondo la quale il poeta ha attinto a vari racconti fino a creare la propria versione. Per un maggiore approfondimento si veda E. Adriani, Medea, fortuna e metamorfosi di un archetipo, Padova, Esedra, 2006, p 39 ss

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un’invocazione a Erato, musa della poesia d’amore, affinché faccia innamorare la giovane, propiziando così la riuscita dell’impresa di Giasone.

Differentemente da Euripide, Apollonio Rodio presenta Medea come una fanciulla dall’anima virginale che, dopo un primo tentativo di resistenza all’amore che sente per Giasone, vi si abbandona completamente, arrivando al punto di uccidere il fratello e di trasformarsi da ingenua fanciulla nella maga spietata della tradizione11.

La novità introdotta da Apollonio Rodio nel trattamento della figura di Medea è evidente: all’immagine di donna scellerata e priva di ogni scrupolo, tramandataci da Euripide, viene affiancata quella di giovane insicura e innamorata. Tuttavia l’innovazione apolloniana non riscuote particolare successo tra gli autori successivi che prenderanno come modello la terribile e vendicativa Medea di Euripide e non l’incerta e ambigua eroina delle Argonautiche di Apollonio. Il successo del mito dell’eroina rimane saldo anche a Roma: una Medea, oggi perduta, ( Medea exul ) viene scritta da Ennio, un’altra è attribuita ad Accio ed è probabile che perfino Lucano avesse cominciato a comporne una, ma sono soprattutto le opere di Ovidio, Seneca e Valerio Flacco a confermarci il successo del mito.

Ovidio in particolare mostra un vero e proprio interesse per Medea: all’eroina è dedicata infatti un’ampia sezione de Le Metamorfosi ( VII, vv 9 – 424 ), la XII epistola delle Heroides – ma è nominata anche nell’epistola VI scritta da Ipsipile a Giasone – e una tragedia, Medea. Della tragedia ovidiana restano, sfortunatamente, soltanto due versi tramandataci per tradizione indiretta12, ma che permettono comunque di avere un’immagine della protagonista come di una donna consapevole delle proprie doti soprannaturali e vittima di una forza che la priva del proprio autocontrollo. Nella sua tragedia, quindi, Ovidio presenta Medea come una potente maga vendicativa e una fanciulla innamorata alla mercé del suo sentimento, raccogliendo magistralmente sia la tradizione euripidea sia quella apolloniana. Tuttavia l’influenza dei due autori greci non è limitata alla sola tragedia perduta, ma si estende anche alle altre rappresentazioni ovidiane del personaggio. Infatti l’eroina abbandonata della dodicesima Heroides sembra essere ispirata, in parte, alla fanciulla novizia d’amore del terzo libro delle Argonautiche; di chiaro stampo euripideo è il ritratto dell’eroina fornito nella Heroides VI, mentre è chiaramente

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Per un maggiore approfondimento della Medea di Apollonio si veda M.R. Falivene, Un’invincibile debolezza: Medea nelle “Argonautiche” di Apollonio Rodio, in B. Gentile, F. Perusino ( a cura di ), Medea nella letteratura e nell’arte, Venezia, Marsilio, 2000, pp 109-116

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“ Servare potui, perdere an possim rogas?”, riportatoci da Quintiliano in Inst.Or. 8, 5, 6 e “ Feror huc illuc, ut pleno deo “ tramandato da Seneca il Retore in Suas., III, 7

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modellata su una combinazione di entrambe le fonti greche la Medea presente ne Le metamorfosi13.

Personaggio di euripidea memoria, ma caratterizzato da una marcata libertà rispetto alla tradizione è, invece, la Medea senecana, protagonista dell’omonima tragedia che ripercorre le vicende già narrate da Euripide : Medea, ripudiata da Giasone, deciso a sposare la figlia del re Creonte, decide di vendicarsi dello sposo uccidendo il suocero, la rivale e i due figli.

L’originalità di Seneca rispetto ad Euripide è ben visibile nel carattere deciso di Medea che non si abbandona al pianto, ma con determinazione progetta la sua vendetta: l’eroina è a tutti gli effetti una degna discendente del Sole, furiosa e terribile e in totale balia del furor. Rispetto al tragico greco, l’autore latino presenta un’opera a tinte cupe con un maggiore approfondimento psicologico del personaggio: Medea è una barbara totalmente estranea alla civiltà greca, priva del rigore e del controllo, ma caratterizzata da una passionalità estrema e mostruosa che diventa tormento della ragione e del corpo14.

Al contrario di Seneca, Valerio Flacco resta fedele alle fonti greche e latine sia per la struttura dell’opera sia per la caratterizzazione psicologica di Medea. Negli Argonautica, poema in esametri in VII libri dalla brusca conclusione – a tal punto che si è parlato di incompiutezza -, Medea viene presentata come una donna affascinante e ambigua: in lei ritroviamo la fanciulla regale, la maga potente e la donna innamorata già vista negli autori precedenti.

La straordinarietà delle vicende della principessa della Colchide permette all’eroina di oltrepassare i confini del mondo classico e di diventare la protagonista di un numero sempre maggiore di opere15.

Dopo aver subito una battuta di arresto durante il Medioevo, il mito di Medea conosce nuova fortuna a partire dal tardo Cinquecento con l’opera teatrale La Medea ( 1558 ) di Maffeo Galladei e Medea ( 1560 ) di Ludovico Dolce - che si attiene alla versione proposta da Seneca -. In pieno classicismo la storia di Giasone e di Medea conquista il pubblico francese grazie alla tragedia di

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L’ispirazione di Apollonio Rodio è evidente nella rievocazione dell’innamoramento in Ovidio, Met. VII, vv 9 – 71, mentre è chiaramente Euripide la fonte della sintetica ma efficace descrizione della vendetta in Ovidio, Met. VII, vv 896-897

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Per una accurata analisi della tragedia di Seneca rimando a A. Chiarloni, Medea. Volto e parola di un personaggio matrice, in F. Marenco ( a cura di ), Il personaggio nelle arti della narrazione, Roma, 2007, pp 3-24

15 La grande quantità di opere incentrate sulla storia di Medea mi impedisce di fare un’analisi puntuale del percorso

del mito per il quale rimando a: A.Caiazza, Medea, fortuna di un mito ( I parte ), in “ Dioniso”, 59, 1989, pp 9-85; Medea fortuna di un mito ( II parte ), in «Dioniso», 60, 1990, pp 82-118; Medea fortuna di un mito ( III parte ), in «Dioniso», 63,1993, pp 121 -141; e Medea, fortuna di un mito ( IV parte ), in «Dioniso», 64, 1994, pp 155-166; G. Ieranò, Tre Medee del Novecento: Alvaro, Pasolini, Wolf, in op.cit., pp 177-197 ; E. Mengaldo, Medea, in op.cit., pp 339-376 ; M. Fusillo, La barbarie di Medea: itinerari novecenteschi di un mito, http://www.indafondazione.org/wp- content/uploads/2009/05/1-fusillo.pdf

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Corneille, Medea ( 1635 ). Nonostante vengano introdotte alcune novità - ad esempio Creusa stessa che richiede il dono di Medea o Creonte che fa provare la veste ad una condannata a morte -, Corneille mantiene un forte legame con Euripide e in particolare con Seneca, dal quale riprende la furia vendicativa che caratterizza l’eroina.

Nel XVIII e XIX secolo Medea continua ad essere protagonista del teatro di tutta Europa: dalla burlesca Os Encantos de Medeia ( 1735 ) del portoghese Antonio José da Silva, alla Medea in Korinth ( 1787 ) di Klinger, al dramma di Nicolini, Medea ( 1803 ), fino alla trilogia di Grillparzer, Il Vello d’oro ( Das Goldene Vlies ) del 1821. L’opera dell’autore tedesco si divide in tre drammi: il primo, L’ospite ( Der Gastfreund ) narra l’antefatto al mito di Medea – la fuga di Frisso e la conquista da parte di Eeta del Vello d’oro -; il secondo, Gli Argonauti ( Die Argonauten ), racconta dell’impresa di Giasone per conquistare il Vello; infine il terzo, Medea, recupera la trama della tragedia euripidea. La grande novità introdotta da Grillparzer sta forse nella riabilitazione di Medea: la donna è in realtà una mite fanciulla che tenta di adeguarsi alla nuova civiltà greca e che è condotta alla violenza solo dall’intolleranza di Creonte e dal tradimento di Giasone. L’autore presenta per la prima volta un’eroina non più malvagia e selvaggia per natura, come era in precedenza, ma che è resa tale dalla cattiveria dell’uomo.

E’ soprattutto nel Novecento che assistiamo a una vera rinascita del mito che verrà reinterpretato, come individuato da Mengaldo16, secondo tre filoni principali: quello dell’attualizzazione, dell’esotico e della riabilitazione di Medea. Nel primo gruppo possiamo inserire tutte quelle opere nelle quali la vicenda di Medea viene adattata alla realtà contemporanea, come ad esempio la Medea Postbellica di Csokor ( 1947 )- nella quale la principessa della Colchide si muove nei Balcani greci durante la seconda guerra mondiale - o la African Medea ( 1968 ) di Magnuson che unisce il mito greco al movimento di liberazione dal colonialismo dei paesi africani. Il filone dell’esotico, rappresentato dalla Medea di Anouilh (1946 ), donna dalla vita bohemiéenne che abita in un carrozzone di zingari 17 , è invece strettamente connesso ad una “tendenza arcaizzante e ‘re- mitizzante’ “18 che permette di rappresentare nuovamente Medea come una donna selvaggia e di riportare le sue vicende in uno spazio e un tempo astorico.

Le opere del terzo filone tentano di sublimare la crudeltà di Medea, presentandoci un’eroina privata dalla malvagità che le era tradizionalmente attribuita. La principessa della Colchide viene così descritta come una donna dalle qualità umane e, sempre più spesso, come una madre dolce e

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E. Mengaldo, op.cit., in op.cit., p 358

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Per un’analisi puntuale della Médée di Anouilh rimando a Ivi, pp 362- 366.

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premurosa. Affinché questo sia possibile, si rende però necessario per gli autori operare delle innovazioni rispetto al tradizionale mito euripideo, intervenendo in particolare sul terribile gesto dell’infanticidio, come accade nella tragedia di Alvaro o in Medea. Stimmen ( 1996 ) di Christa Wolf. Nel suo romanzo la Wolf ci presenta un’eroina innocente non solo nelle intenzioni ma anche nei fatti: non è Medea ad uccidere i figli, ma la folla dei Corinzi inferociti. L’autrice priva Medea di tutte le caratteristiche attribuitele da Euripide, descrivendola invece come una donna saggia che, non più innamorata di Giasone, non cerca di uccidere Creusa ma di guarirla dall’epilessia, e che soprattutto resta sola e odiata dopo aver cercato di scoprire i crimini nascosti dal potere.

Concludendo questa brevissima disamina, è impossibile non nominare una delle opere più celebri con protagonista la principessa della Colchide: la Medea di Pasolini ( 1969 ).

Nel film la vicenda mitica viene osservata attraverso una prospettiva antropologica e viene enfatizzata in particolar modo la polarità culturale tra la civiltà originaria, che segue un tempo ciclico ed è rappresentata da Medea, e la civiltà razionalista e del pragmatismo tipicamente borghese incarnata da Giasone.

Il mito di Medea non ha, quindi, perso il suo fascino con il passare del tempo, dimostrandosi sempre capace di sedurre nuovi autori e di dare vita a interpretazioni ogni volta diverse.