• Non ci sono risultati.

Corrado Alvaro e il modello ovidiano per Lunga notte di Medea

2.5 Due Medee innamorate

La perdita dei poteri magici per la sofferenza amorosa preannuncia l’importanza dell’amore che, in totale contrapposizione con le precedenti rappresentazioni del mito, diventa la vera tematica centrale dell’opera alvariana e dell’epistola ovidiana.

Il terribile furor senecano e l’orgoglio euripideo lasciano spazio, in Lunga notte di Medea, ad un amore che anima l’eroina, portandola a rievocare con infinita tenerezza e intensità il momento in cui lo ha sentito nascere dentro di sé:

Medea:

Il nostro primo incontro. Io pensai, quando ti vidi per la prima volta: ecco un ingenuo giovane greco, non privo di ardimento, il quale si avventura in una terra dove tutto è feroce. La sua pelle, conciata da chi lo uccidesse, la pelle del più illustre eroe della Grecia, quale comodo mantello sarebbe per le spalle del più miserabile cafone della Colchide. E tremai di una pietà sconosciuta. E questo era amore. Amai te.48

Medea descrive il momento che, potremmo dire, le ha cambiato per sempre la vita e che l’ha resa soggetta ad un sentimento dal quale non riuscirà a liberarsi nemmeno dopo essere stata tradita. Questa descrizione sottolinea l’importanza che il personaggio attribuisce all’amore e,per questo, non deve stupire che la scena sia completamente omessa nelle opere di Euripide e Seneca. Nonostante la sua assenza nelle grandi tragedie precedenti, sarebbe tuttavia errato pensare che la fenomenologia del sentimento amoroso sia un’invenzione totalmente alvariana: Alvaro, ancora una volta, trova nell’epistola XII delle Heroides un’illustre fonte di ispirazione.

E’ doveroso segnalare che nella tradizione latina e greca questo momento era già stato descritto da Apollonio Rodio49 e da Ovidio ne Le Metamorfosi VII, vv 11-71 , anche se con una significativa differenza dalla rievocazione di Alvaro e della protagonista di Heroides XII. Nelle Argonautiche e ne Le Metamorfosi, infatti, l’innamoramento non viene ricordato da una Medea ormai donna, già ferita e abbandonata dall’amato, ma viene vissuto sul momento da una giovane fanciulla che per la prima volta conosce l’amore e tutte le contraddizioni e le difficoltà che questo comporta. Le

48

C. Alvaro, op.cit., p 81

86

descrizioni di Apollonio Rodio e de Le Metamorfosi sono incentrate sulle lotte interiori vissute dalla protagonista in quel frangente e, quindi, completamente prive di quella consapevolezza che, come vedremo, caratterizza invece la rievocazione dell’innamoramento nella tragedia di Alvaro e nell’epistola ovidiana.

Ciò nonostante, Le Metamorfosi ovidiane sembrano aver comunque rappresentato un modello per le parole della Medea di Alvaro. L’eroina alvariana, infatti, ricorda come da fanciulla vivesse in un contesto barbaro nel quale Giasone, in quanto straniero, riusciva a distinguersi per la sua diversità e la sua bellezza ( “ un giovane greco, non privo di ardimento, il quale si avventura in una terra dove tutto è feroce. […] la pelle del più illustre eroe della Grecia, quale comodo mantello sarebbe per le spalle del più miserabile cafone della Colchide” ). Questa consapevolezza è presente anche nella Medea ritratta da Ovidio ne Le Metamorfosi, che, come la discendente alvariana, ammette la ferocia della propria terra e la superiorità della civiltà greca:

Nempe pater saevus, nempe est mea barbara tellus50

“ E’ vero che mio padre è crudele, la mia terra è barbara”

[...]Non magna relinquam,

magna sequar: titulus servatae pubis Achivae notitiamque loci melioris et oppida, quorum

hic quoque fama viget, cultusque artesque loco rum, quemque ego cum rebus, quas totus possidet orbis, Aesonides mutasse velim, quo coniuge felix

et dis cara ferar et vertice sidera tangam.51

“ Non è dunque gran cosa quello che penso di abbandonare, mentre grande è quello a cui aspiro: la gloria di aver salvato la gioventù Achea; la possibilità di conoscere paesi più belli, città la cui fama giunge fin qui, la loro civiltà, la loro arte; l’onore di sposare il figlio di Esone, che per me vale quanto i tesori di tutta la terra.”

Come in Lunga notte di Medea, anche nella XII lettera delle Heroides possiamo trovare una Medea completamente in balia della passione e che è, ancora e nonostante tutto, così innamorata di

50

Ovidio, Met., v 53

87

Giasone da scrivere una lettera carica di trasporto erotico, come testimonia proprio il ricordo della nascita dell’amore :

Iussus inexpertam Colchos advertere puppim Intrasti patriae regna beata meae.

[…]

Accipit hospitio iuvenes Aeeta Pelasgos,

et premitis pictos, corpora Graia, toros. Tunc ego te vidi, tunc coepi scire, quis esses;

illa fuit mentis prima ruina meae. Et vidi et perii nec notis ignibus arsi, ardet ut ad magnos pinea taeda deos.

Et formosus eras, et me mea fata trahebant: abstulerant oculi lumina nostra tui.52

“ Costretto a dirigere verso la Colchide la tua nave, ancora senza esperienza, entrasti nel prospero regno della mia patria. […] Eeta accoglie ospitale i giovani Pelasgi e i vostri corpi di Greci si distendono sui nostri divani colorati. Allora io ti vidi, allora cominciai a sapere chi fossi: lì ebbe inizio il crollo della mia mente. Ti vidi e fui perduta; e arsi d’ignoto fuoco, come arde, davanti ai grandi dei, una torcia di pino. Tu eri bello, e il mio destino mi trascinava: i tuoi occhi avevano rapito il mio sguardo”

La Medea di Ovidio rievoca il momento in cui vide Giasone per la prima volta con la stessa intensità dell’eroina di Alvaro : se la protagonista ovidiana arse “ d’ignoto fuoco”, la protagonista alvariana tremò invece di “pietà sconosciuta”. Per entrambe, quindi, l’amore si è presentato come qualcosa di inedito e di sconvolgente che ha segnato per sempre il loro destino.

L’ispirazione ovidiana si riconosce anche in un altro passo di Lunga notte di Medea :

Medea:

[…] Io lo feci il mio incontro. Era lui, Giasone. Fu la sua nave Argo. Fragile, sul mare deserto e ancora selvaggio del mio regno. Il canto dell’equipaggio. Apparve come un’isola. La credemmo un’isola. Lui scese per primo. E io lo vidi. Lo conobbi. Lui. Era il mio incontro.

52 Ovidio, Her. XII, vv 23 – 24 e 29 -36

88

Le somiglianze tra i due brani sono evidenti: tutte e due le eroine dichiarano di essersi innamorate di Giasone appena questi sbarcò sull’isola, entrambe ammettono di aver compreso, solo vedendolo, chi fosse Giasone e che cosa avrebbe rappresentato per loro ( “Tunc ego te vidi, tunc coepi, quis esses”; “E io lo vidi. Lo conobbi” ), e tutte e due definiscono l’amore per l’eroe come qualcosa di ineluttabile dal quale non potevano scappare ( “ Et me mea fata trahebant” ; “ Era il mio incontro” ). L’amore per Giasone quasi si impone alla Medea di Ovidio e a quella di Alvaro che, incapaci di resistere, gli si abbandonano totalmente. La passione si configura così come la forza motrice delle due eroine, guidando ogni loro scelta e ogni loro azione, comprese le più terribili e sanguinarie: il tradimento del padre, il macabro assassinio del fratello, l’inganno che ha provocato la morte di Pelia.

Medea:

[…] Non è giusto che egli mi lasci come una vagabonda. E’ lui che mi ha strappata a mio padre. E’ lui che mi indusse a tradire mio padre. Ho tradito la mia patria.

Creonte:

Suscitata la guerra civile e la strage nel suo esercito. Medea:

Per lui. Perché lo amavo, e amavo in lui un mondo libero dai terrori. Creonte:

Rubato il tesoro dello Stato. Medea:

Per lui. […] Creonte:

Hai ucciso tuo fratello. Medea:

Per lui. Per salvare lui. […] Creonte:

Hai ucciso con l’inganno lo zio di Giasone, un re. Medea:

Perché aveva usurpato il trono di mio marito. Questi che tu conti come delitti, parvero a tutti imprese straordinarie, fino a ieri. Ma se questi sono i miei delitti, consegnami il mio delitto intero, lui, Giasone! […]

89 E delitti sono, se tu mi togli lui!53

La Medea di Alvaro riconosce tutti i crimini che le vengono attribuiti da Creonte e ammette di aver compiuto quelle azioni terribili non per dare sfogo ad una crudeltà insita nella sua natura, ma per ricoprire Giasone di gloria. La donna, infatti, è diventata una terribile omicida e una traditrice della patria solo per amore del suo sposo e questo, nell’ottica dell’eroina, la discolpa totalmente. Giustificati dalla passione, i crimini compiuti non sono più delitti ma, secondo la definizione di Cassata, “ atti d’amore”54 per i quali Medea non può sentirsi colpevole.

Anche nella XII epistola delle Heroides, pur riconoscendo i delitti di cui si è macchiata, l’eroina ricorda come questi siano stati compiuti soltanto per avvantaggiare l’uomo amato e questo, almeno agli occhi di Giasone, deve privarla di ogni traccia di colpevolezza:

Ut colpent alii, tibi me laudare necesse est pro quo sum totiens esse coacta nocens.55

“Gli altri m’incolpino pure, ma tu devi per forza elogiarmi, io che per te tante volte sono stata costretta ad azioni colpevoli.”

Anche Ovidio quindi, in modo molto simile ad Alvaro, non attribuisce i crimini all’indole malvagia dell’eroina, ma all’amore che ha “costretto” la donna ad agire in quella direzione. I due autori rappresentano Medea come una donna colpevole, non di aver tradito il padre e ucciso il fratello, ma di aver amato troppo e senza limiti.

In Lunga notte di Medea Alvaro ci consegna il ritratto di un’eroina che ha votato la sua vita non più all’onore e alla gloria ma all’amore:

Medea:

Re! Se mi strappi l’amore, mi hai strappato tutto.56

E, nonostante le recenti ferite ricevute proprio dal suo amato, Medea continua a dare al sentimento un ruolo centrale all’interno della sua esistenza. Pur essendo stata miserabilmente

53 C. Alvaro, op.cit., pp 52-53 54

M. L. Cassata, op.cit., p 168

55

Ovidio, Her. XII, 131-132

90

abbandonata e ingannata, Medea seguita a reputare Giasone il suo sposo e si rifiuta di pensarsi lontana da lui:

Creonte:

( risoluto ) Quando parti, dunque? […] Medea:

Appena tornerà da me Giasone Creonte:

No. Puoi partire sola. Medea:

E Giasone? Creonte:

Devi partire sola! Medea:

E mio marito? […]

Creonte:

Sposerà Creusa, mia figlia Medea:

Ma è già sposo di Medea. E’ mio marito! 57

Ancora una volta l’Heroides XII sembra rappresentare l’illustre fonte di ispirazione di Alvaro: la Medea scrittrice ammette, con parole molto simili alla sua discendente alvariana, di aver messo l’amore al centro della sua vita e di essere ancora perdutamente innamorata di quello che rivendica tuttora come marito:

Deseror, amissis regno patriaque domoque, Coniuge, qui nobis omnia solus erat!58

“ Perduti il regno e la patria e la casa, sono abbandonata dal mio sposo, che per me da solo era tutto.”

Vix me continui, quin sic laniata capillos 57

Ivi, pp 50 - 51

91 clamarem: “ meus est!” iniceremque manus.59

“ A stento mi trattenni, scarmigliata com’ero, dal gridare: - Egli è mio! – e dal mettere la mani su di te.”

Se Euripide e Seneca avevano messo in scena il dramma di una donna ferita nell’orgoglio e che percepisce l’abbandono dello sposo come un’umiliazione sociale, con Ovidio e Alvaro assistiamo invece al dramma di una donna ancora innamorata del marito fedifrago e ingannatore e che soffre per l’unione dello sposo con un’altra donna. La Medea ovidiana e quella alvariana vivono, quindi, la tragedia della donna abbandonata e gelosa, della relicta60 che si vede privata delle gioie di quell’amore al quale aveva ossequiosamente obbedito e che, ancora schiava della passione, non formula pensieri di vendetta, ma si limita a rinfacciare all’amato quanto aveva fatto per lui61:

Est aliqua ingrato meritum exprobrare voluptas: Hac fruar, haec de te gaudia sola feram.62

“ Dà un qualche piacere rinfacciare un beneficio a un ingrato: di questo piacere io godrò, questa la sola gioia che trarrò da te.”

Medea:

[…] Io di te avevo fatto un eroe. Giasone:

Tu? Venere mi protesse. Medea:

Ma sì, Venere. E Giunone. E Medea.63

La Medea della XII epistola ovidiana e della tragedia alvariana sono, quindi, totalmente diverse e nuove rispetto all’eroina tramandataci dalla tradizione: non più la donna crudele e vendicativa, non più la maga potente e temibile o la ingenua fanciulla di Apollonio Rodio, ma una donna matura, e per quanto ferita, ancora perdutamente innamorata. Medea è “ non una donna

59

Ivi, vv 157-158

60

M. L. Cassata, op.cit., Firenze, 1974, p 167 e A. Cecchin, Medea in Ovidio fra elegia ed epos, in R. Uglione ( a cura di ), Atti delle giornate di studio su Medea, Torino, 23-24 ottobre 1995, Torino, Celid, 1998, p 73

61

Come notato da Rosati in merito all’epistola, G. Rosati, op.cit., p 233

62

Ovidio, Her. XII, vv 21-22

92

d’onore, ma di troppo sovrumano e viscerale amore”64 : le parole usate da Fornaro non descrivono – come era intenzione dell’autore – solo la protagonista della tragedia di Alvaro, ma sembrano adattarsi perfettamente anche all’ autrice della lettera ovidiana.