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Parte Seconda Tra fondament

L’ ETICA DELLA CURA :

4. La problematicità del paradigma della cura

Il concetto di cura è stato oggetto di varie critiche31. Del resto, da sempre nel concetto di cura convive una tensione tra elementi positivi ed elementi negativi (anche nella mitologia, nella narrati- va, nella psicologia e nella stessa filosofia)32.

Una prima critica proviene dal femminismo: l’etica femminina o femminile è accusata di rin- chiudere le donne nel “ghetto familiare” piuttosto che in uno “spazio libero”33. Il femminismo che ha combattuto per la liberazione della donna ritiene che l’etica della cura tenda a riportare le donne nella fissazione del ruolo tradizionale domestico, individuato nella “mistica del sacrificio”: la cura presuppone implicitamente aspettative di sacrificio, rafforzando il dominio sessistico maschile34. Le femministe da sempre hanno rigettato il ragionamento maschile tradizionale: il loro obiettivo è

31 Reply to Carol Gilligan, in Signs, 1986, 11 (2).

32 P.W.SCOLTSAR, Do Feminist Ethics Counter Feminist Aims?, in E.BROWNING COLE, S.COULTRIP-MCQUIN (eds.), Explorations in Feminist Ethics, Bloomington 1992; AA.VV., Commentary on Gilligan’s ‘In a Different Voice’, in Feminist Studies, 1981, 11; On ‘In a different voice’: an interdisciplinary Forum, in Signs, 1986, 11; H.L.NELSON,

Against Caring, in Journal of Clinical Ethics, 1992, 3, p. 8 ss.; D. KOEHEN, Rethinking Feminist Ethics. Care, Trust and

Empathy, London-New York 1998.

33 M.URBAN WALKER, Moral Understanding, in Hypatia, 1989, 4 (2), p. 16, con critiche di J. GRIMSHA, C. CARD, J. ALLEN, L. CODE, B. HOUSTON. L.A. BELL, Rethinking Ethics in the Midst of Violence: a Feminist Approach to Freedom, Lanham (MD) 1993, spec. pp. 200-201; S.L.HOAGLAND, Some Thoughts about ‘Caring’, in C.CARD (ed.), Feminist Ethics, Lawrence (KS) 1991, pp. 246-263.

quello di liberare le donne da “relazioni insane”, dagli stereotipi della società patriarcale35. La cura femminile è, appunto, accusata di essere uno di tali stereotipi che hanno etichettato il ruolo femmi- nile. La stessa C. Gilligan riconosce che l’idea che la virtù della donna stia nel sacrificio di sé come abnegazione si pone in conflitto con le lotte per le rivendicazioni dell’uguaglianza36.

Inoltre le femministe ritengono che la frequenza di fatto dei comportamenti di cura tra le don- ne non debba rendere tali attitudini intrinsecamente femminili di principio. La rilevazione empirica non costituisce la prova dell’esistenza di una sorta di essenza morale femminile. L’accusa dunque all’etica della cura è di essenzialismo: l’idea che esistano valori inerenti alla donna in quanto tale, per il solo fatto di appartenere al genere femminile, in quanto inscritti nella bio-psicologia delle donne, è messo in discussione dalla critica femminista37. Il problema è che ciò compromette, a maggior ragione, l’autonomia delle donne; le caratterizzazioni essenzialistiche come caratterizza- zioni stereotipiche, oscurano le differenze originali individuali (le differenze tra le donne); fanno perdere valore alle scelte morali delle donne. Se la cura è intesa, dalla psicologia femminile, come istinto naturale percepito come obbligante, si tende a dare per scontato tale atteggiamento femminile e a svalutarne la portata etica38: anzi, le donne che violano questi valori nelle azioni tendono ad es- sere considerate e giudicate come “snaturate”, in quanto agiscono contro natura, deformando de- viando rispetto al comportamento considerato normale.

Oltretutto, la visione tradizionalistica essenzialistica imprigiona la donna39: l’enfatizzazione della cura femminile può essere usata come argomento contro la donna in quanto sclerotizza l’immagine femminile in una sorta di idealizzazione e anglicizzazione della donna, ma anche ma- ternalizzazione della donna. Con la conseguenza che solo la donna, che ha sperimentato la materni- tà, si ritiene abbia il senso della cura, escludendo da tale esperienza le donne non madri, oltre agli uomini.

Anche l’elevazione della cura a paradigma relazionale è ritenuta, da alcuni, problematica: la generalizzazione del modello relazionale al rapporto genitore/figlio non può essere assunta come modello per la relazione tra adulti responsabili (anche se con differenze di saggezza, forza, abilità). La relazione genitore/figlio è asimmetrica, non generalizzabile per situazioni di simmetria; può anzi essere fuorviante se applicata come modello delle relazioni umane in generale. Inoltre la cura porta ad una relazionalità escludente: l’intensità del rapporto personale che si instaura nella situazione concreta e particolare con chi ha bisogno non consente di estendere (universalmente) tale approccio a tutti.

La cura può essere inoltre usata in modo improprio: la cura di sé (eccessiva) ma anche la cura dell’altro per se stesso può degenerare in narcisismo autoreferenziale, pertanto antirelazionale; l’enfatizzazione della cura può divenire potere, dominio, forza di chi cura rispetto a chi è curato; l’eccesso di cura diviene accanimento (curare ad ogni costo, curare troppo), soffocamento, oppres- sione, interferenza, invadenza addirittura violenza che accentua la debolezza (di chi è oggetto delle cure) e produce dipendenza nell’altro che non si libera dalla cura e ne impedisce il processo di ma-

35 “What makes an ethic feminist, as opposed to feminine or maternal [...] then, is […] its utter opposition to

structures of oppression” (R. TONG, Feminist Ethics, cit., p. 224).

36 C.GILLIGAN, Con voce di donna, cit., p. 136.

37 J.BAIER, Nasty Law or Nice Ladies? Jurisprudence, Feminism, and Gender Difference, in Women & Politics, 1991, 11, 1.

38 C. Gilligan sottolinea l’errore di dare per scontato e svalutare l’accudimento: la cura come debolezza piuttosto che come forza (Con voce di donna, cit., p. 25).

39 D. KOEHN,Rethinking Feminist Ethics. Care, Trust and Empathy, cit., p. 4. Cfr. C.J. TRONTO,Moral Bounda-

turazione ed autonomizzazione; il debole può adagiarsi nell’essere accudito, rimanere passivo, iner- te, fragile e rischia di percepire e di vivere la non cura (l’assenza inevitabile della cura nel momento in cui cessa il bisogno) come tradimento, perdita e abbandono. L’eccesso di cura dell’altro può por- tare a trascurare sé, ad un esaurimento fisico ed emozionale. Non solo: la cura può essa stessa esprimere la paura dell’abbandono. Gilligan riconosce che le donne “sostengono di voler compiace- re ma in cambio della loro bontà si aspettano amore e protezione. Il loro, dunque, è un “altruismo” molto labile, perché presuppone un’innocenza che rischia costantemente di essere macchiata dalla consapevolezza del baratto compiuto”40.

Eppure, a ben vedere, queste obiezioni non compromettono la valenza dell’etica della cura. Innanzitutto perché gli usi impropri della cura non ne invalidano il senso proprio; il fatto che la cura possa essere usata in modo distorto ed inappropriato non ne impoverisce il senso etico. Ma, soprat- tutto, in quanto, l’etica della cura non va identificata con l’etica della donna (e solo della donna- madre): l’etica della cura è rilevante solo nella misura in cui si dissocia dal femminile in quanto ta- le. In questo senso le obiezioni sarebbero superate.

Il contributo dell’etica della cura si coglie solo se si comprende e si evidenzia la portata uni- versale del concetto e della prassi a prescindere dalla differenza sessuale e nella differenza sessuale. Prendersi cura, mettersi in relazione con il più debole è il modo di pensare l’etica in generale, indi- pendentemente da distinzioni sessuali. L’etica della cura non è una tra le tante etiche possibili nel contesto del pluralismo etico attuale: l’etica della cura è l’etica stessa, la condizione di pensabilità e possibilità dell’etica, la precondizione dell’etica. Chi non si prende cura dell’altro non agisce etica- mente, non è autenticamente uomo, maschio o femmina che sia. Se non abbiamo un atteggiamento di cura impoveriamo il nostro essere in quanto uomini e donne. Nel mito della cura, nel Faust di Ghoete, la cura (Sorge) è la condizione umana (“eterna compagna”): l’uomo che non conosce la cu- ra cade nella cecità del potere distruttivo; la cura consente all’uomo di rifiutare il potere e convo- gliarlo verso la sollecitudine, indispensabile per la salvezza morale.

La cura non solo è l’orizzonte etico, ma anche l’orizzonte antropologico e ontologico: la com- prensione della vulnerabilità negli altri implica la comprensione della propria vulnerabilità e, dun- que, la comprensione della vulnerabilità come condizione umana (dell’altro, dell’io, dell’uomo, di ogni uomo); la consapevolezza del limite, dell’indigenza, della finitezza come struttura antropologi- ca e fondamento dell’agire etico. La vulnerabilità è l’esperienza di tutti: nel nostro venire al mondo, nella malattia, nella marginalità, nella debolezza, nell’avvicinarsi della morte. L’esperienza del li- mite è esperienza di non autosufficienza dell’io, di bisogno dell’altro e della cura dell’altro. L’io ha bisogno dell’altro per essere pienamente se stesso; ha bisogno della relazione, quale condizione e manifestazione dell’identità umana. L’uomo (maschio o femmina) è, al tempo stesso, soggetto e oggetto della cura; ha bisogno della cura dell’altro (ontologicamente) e ha la possibilità di prendersi cura dell’altro (eticamente). Nella consapevolezza che per quanto ci prendiamo cura dell’altro non usciremo mai dalla indigenza di colui che chiede le cure (e che offre le cure), essendo la finitezza la condizione strutturale dell’essere umano. L’etica della cura è il fondamento del dovere dell’uomo di trascendere l’immediatezza dell’egoismo e volgersi verso altro con benevolenza, umiltà, fiducia. Non è una giustificazione metafisica o teoretica del bene, ma è una comprensione esperienziale- esistenziale dell’agire etico.