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La radicale dicotomia tra principio femminile e principio maschile Antigone e Creonte

I L PRINCIPIO FEMMINILE

3. La radicale dicotomia tra principio femminile e principio maschile Antigone e Creonte

Mancini ritiene che, sebbene siano preziose le suggestioni offerte dal pensiero di Bachofen sull’esistenza “di questo fiume sotterraneo che traversa la coscienza critica del diritto, soprattutto nella pretesa di essere un diritto di natura”20, non possano fornire ulteriori contributi all’assiologia giuridica. Secondo Mancini la contrapposizione tra i due principi ispiratori del diritto viene messa in luce magistralmente da Hegel nelle pagine della Fenomenologia dello Spirito dedicate all’An- tigone di Sofocle21. L’Antigone sofoclea, nella lettura hegeliana richiamata espressamente da Man- cini, costituisce una chiave ermeneutica privilegiata per comprendere il principio femminile del di- ritto. All’interno della polis greca convivono due leggi: quella umana e quella divina. La legge umana è incarnata dall’uomo, quella femminile dalla donna. La legge umana presenta i caratteri del- la certezza, della pubblicità, è “nota” ed “esposta alla luce del giorno”. La legge umana è la legge della città, della polis, regola la vita del cittadino nel momento in cui questi fuoriesce dalla sfera domestica, privata, familiare, per mettersi al suo servizio. La legge della città si contrappone ad una legge “più misteriosa”, che trae la sua ispirazione dalla profondità: quella divina. Questa è una leg- ge interiore, inespressa, si identifica con la legge familiare dei legami di sangue, che giunge fino al culto dei morti: il diritto delle ombre. Il riferimento al diritto delle ombre è fondamentale, in quanto è proprio nel suo rapporto con i defunti che si può ravvisare il logos della famiglia. Il cittadino, rag- giunta l’età adulta, esce dalla sfera familiare per entrare in quella pubblica, tuttavia vi fa ritorno una volta morto. La famiglia ha l’onere della sepoltura, di custodia del defunto, nella quiete eterna, che

18 Cfr. Filosofia della Prassi, cit., p. 253.

19 Ernst Bloch procede ad una rivisitazione del pensiero di Bachofen con particolare riferimento al matriarcato, alla legge naturale femminile. Il diritto naturale femminile, o diritto della madre, come ricostruito da Bachofen ha carat- teri ideali, non può essere collocato in alcun periodo storicamente documentabile. Sul punto è assolutamente pregnante l’osservazione di Bloch, il quale sottolinea più volte come non si tratti di un matriarcato politico. Tuttavia il diritto ma- terno scoperto da Bachofen è strettamente legato al diritto naturale razionale. Sotteso al diritto razionale vi è infatti la “mitologia” dei due principi ispiratori quello maschile e quello femminile, “la Natura è la stessa cosa con Demetra, l’istituzione la stessa cosa con Apollo, Zeus”. Bloch precisa: “se è vero che numerosi popoli hanno conosciuto forme famigliari di diritto materno, è altrettanto certo che questa figliazione matrilineare, questa venerazione della donna, con tutti i simboli ctonici, erotici, isiaci, non coincidono con un matriarcato politico.” in E. BLOCH, Diritto naturale e digni-

tà umana, Torino 2005, p. 89 ss.

20 Cfr. Filosofia della Prassi, cit., p. 262.

lo riporta inesorabile a sé. Il rito funebre ha pertanto una valenza spirituale, etica, la famiglia realiz- za “quell’universalità dell’individuo” che è così intoccabile dalle vicende della politica. Al riguardo, Hegel chiarisce: “è perciò dovere del membro della famiglia […] affinché anche il suo ultimo esse- re, quell’essere universale non appartenga soltanto alla natura, restando qualcosa di non razionale; anzi è suo dovere che esso sia qualcosa di operato e che si sia affermato il diritto della coscienza”. Da qui la verità di Antigone che vuole seppellire Polinice in spregio alla legge positiva di Creonte. Il diritto non scritto della pietà si contrappone al diritto scritto “della ragion di stato”. Se è vero che la legge divina è incarnata dalla donna, nello specifico “l’eterno femminino” non si realizza nella madre, né nella moglie, ma bensì nella sorella. Antigone diviene, quindi, la massima espressione del principio femminile. Il rapporto tra sorella e fratello è segnato da un perfetto equilibrio. Al contra- rio, i rapporti della donna come sposa o madre sono costitutivamente imperfetti. Il rapporto matri- moniale, contaminato dalla naturalità, non ha la sua effettualità in se stesso ma nel figlio, “in qual- cosa che si dilegua dai genitori” separandosi dall’origine. Come sorella la donna, preserva la sua purezza e non vede realizzare l’amore in qualcosa che è altro da sé.

Come sottolinea Mancini, il conflitto tra Antigone e Creonte non costituisce solo l’emblema dell’eterna contrapposizione tra diritto naturale e diritto positivo, ma è la cifra della radicale dico- tomia tra le due radici che attraversano l’esperienza giuridica: quella della forza e della difesa pote- stativa e quella dell’equità, “delle ragioni del sangue e della famiglia”22. I due protagonisti infatti, “esprimono la necessità categorica del loro principio”23. Antigone, che diventa così il “massimo della rappresentazione e della simbolizzazione”, rivendica il diritto del più umile, il primato della legge parentale, il diritto tellurico contrapposto a quello zeusico che promana dal “trono dei poten- ti”24. Il principio femminile pone, infatti, l’accento sull’individuale, sul concreto, “sui volti dell’uomo” e non sulla resa obbedienziale al dettato normativo del legislatore. In questi termini il principio femminile assurge nel pensiero di Mancini ad autentica idea rigeneratrice del diritto. Per il filosofo di Urbino il diritto, infatti, prima ancora che pratica sociale, coacervo di norme, è un’espe- rienza antropologica fondamentale che ha il suo centro nell’uomo. Il principio femminile costitui- sce, pertanto, un antidoto nei confronti dell’eccessiva astrattezza del diritto, che conduce inesora- bilmente ad una disattenzione nei confronti della “concreta esperienza giuridica”25. Il diritto al femminile, nel privilegiare l’attenzione nei confronti dell’individuale, consente di arginare il para- dosso formalistico per cui “individuo contro individuo è cosa di nessuna importanza, ledere un principio ecco la catastrofe”26.

22 Cfr. Filosofia della Prassi, cit., p. 54. 23 Ivi, p. 55.

24 Sulla dicotomia tra principio femminile e maschile in Antigone A.C. AMATO MANGIAMELI scrive: “Di qui, due visioni diverse. Da un lato, quella di Creonte con i suoi segni distintivi: la virilità, l’azione, lo Stato, il dominio, la ge- rarchia, la legge, la chiarezza, la determinazione, l’apertura, il giorno; dall’altro lato, quella di Antigone, anch’essa con i suoi segni: la femminilità, l’essere e la sensibilità, la famiglia, la fraternità, il costume, il senso del servizio, il culto, la salvezza, la terra, il regno dei morti, la chiusura e l’oscurità”, in Naturale/sintetico. Anche a proposito di famiglia, in Teoria del Diritto e dello Stato, 3/2010.

25 Questa espressione è di Giuseppe Capograssi, con riferimento alle conseguenze di approccio al diritto caratte- rizzato da un esasperato formalismo. G. CAPOGRASSI, Il problema della scienza del diritto, Milano 1962.

26 E.LÈVINAS, Quattro letture talmudiche, Genova 1982, p. 50. Lèvinas nel suo discorso prosegue: “contro que- sta tesi virile, troppo virile, nella quale si scorge anacronisticamente qualche eco di Hegel, contro la tesi che mette l’ordine universale al di sopra dell’ordine interindividuale, si leva il testo della Gemarà. No, l’individuo offeso deve es- sere placato, accostato e consolato individualmente; il perdono di Dio – o il perdono della storia – non si può concedere senza che l’individuo sia rispettato”.