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Il principio femminile e la rigenerazione assiologica del diritto

I L PRINCIPIO FEMMINILE

1. Il principio femminile e la rigenerazione assiologica del diritto

L’impegno ermeneutico del filosofo di Urbino, volto a restaurare una prospettiva filosofica e assiologicamente forte del diritto, si sostanzia nel recupero di categorie di pensiero, che pur essendo state “ghettizzate” dalla cultura giuridica contemporanea, consentono di porre le fondamenta per un’autentica civiltà del diritto. In questo orizzonte di recupero della portata assiologica del diritto, Mancini individua nel principio femminile un’autentica idea rigeneratrice del diritto. Al fine di un’adeguata comprensione del senso sotteso a tale affermazione, e soprattutto del nesso tra diritto e principio femminile, è necessario muovere dal presupposto di fondo che anima la prima fase della ricerca manciniana sulle questioni della vita associata.

L’approccio teoretico di Mancini al mondo del diritto prende le mosse dalla constatazione del- la profonda crisi che lo attraversa e corrode1. Mancini è categorico nell’individuare l’origine di tale crisi in quella che egli stesso definisce “un’autentica filosofia del male”: il pensiero negativo2. Seb- bene infatti la storia plurisecolare dell’Europa sia stata caratterizzata da una lotta incessante per il diritto, un fenomeno apparentemente inarrestabile ed incalzante sembra che la stia travolgendo. Il fenomeno in questione costituisce una variante nell’ambito del diritto, di quell’ampio movimento culturale che va sotto il nome di pensiero negativo. Il pensiero negativo, lungi dal costituire “un universo sommerso […], si incanala verso il vivere concreto”, assumendo così i connotati del nega-

tivismo giuridico3. Questo attraverso puntuali negazioni dell’essenza del diritto, dei suoi strumenti, conduce inesorabilmente alla disgregazione della stessa Europa quale civiltà del diritto4.

Mancini nella Prefazione di Filosofia della Prassi precisa come questa ricerca sul negativi- smo non sia fine a se stessa, ma tenda ad una ricostruzione positiva del diritto. Per tale ragione il fi-

1 Nel primo capitolo di Filosofia della Prassi, una delle opere fondamentali dedicate alla filosofia del diritto, ai problemi della prassi nel suo aspetto pubblico e civile, Mancini esordisce in maniera radicale: “Per il diritto sembra che le campane suonino a morto. Nessuna attività giuridica sembra sfuggire a questo destino di condanna, né quella del le- gislatore, né quella del giudice, né quella dell’interprete – come dire autorità dello stato, attività giudiziaria, vita univer- sitaria nelle facoltà di giurisprudenza”, I.MANCINI, Filosofia della Prassi, Brescia 1986, p. 35.

2 Al pensiero negativo Mancini ha dedicato diverse opere. Già nel periodo giovanile incentrato sull’ontologia si possono riscontare tracce del suo interesse, vedi, Linguaggio e salvezza, Milano 1964, p. 64. Gli altri scritti sono: Nega- tivismo giuridico, Urbino 1981 confluito poi in Filosofia della Prassi, cit., Il pensiero negativo e la nuova destra, Mila- no 1983 ed infine Filosofia della Prassi.

3 I.MANCINI, Filosofia della Prassi, cit., p. 26. 4 Ivi, p. 17.

losofo di Urbino parla di negativismo e non di nichilismo giuridico, sottesi infatti alla logica negati- va vi sono dei contromovimenti vivificatori. Il nichilismo è forma chiusa e dogmatica. La negatività invece è suscettibile di essere dialetticamente superata, assumendo la crisi stessa, nel suo contenuto veritativo, come presupposto essenziale del suo superamento. Mancini definisce tale processo dia- lettico come una “soppressione che lascia sussistere”, al contrario l’impossibilità di applicare la lo- gica dialettica condurrebbe ad un capitolo di “frustrazione giuridica”5. I “contromovimenti positi- vi”, o “idee rigeneratrici del diritto” consentono quindi di superare le esigenze critiche sottese alla logica negativa.

Nella specifica interpretazione proposta da Italo Mancini, il principio femminile rappresenta il termine dialettico fondamentale per il superamento di quella specifica forma di negativismo giuridi- co rappresentata dalla critica al diritto della Scuola di Francoforte. Nel delineare i tratti salienti di questa forma di negativismo il punto di riferimento fondamentale di Mancini è la Rechtswissen-

schaft (Le formule magiche della scienza giuridica) di Rudolf Wiethölter.

Wiethölter definisce con un’espressione enfatica il diritto come “l’ultima delle grandi autorità prerazionali”6. A differenza infatti della teologia, dell’antropologia, dell’economia e di tutte le scienze dello spirito, e di quelle della natura, che hanno subito un processo di decostruzione e pro- fonda critica razionale, il diritto non ha tenuto il passo con “il mondo adulto” della cultura “illumi- nisticamente” uscito dalla stato di minorità. Il mondo del diritto avvolto dall’aura di sacralità delle proprie tradizioni, epistemologicamente arretrato, attraverso le sue “formule magiche” sopprime i poteri razionali e diviene il regno incontrastato del principio di autorità. Auctoritas non veritas facit

legem. “Esso continua ad esistere come un campo dove la ragione è fuggita e vi alligna indisturbata

la tradizione con le sue litanie formali e l’autorità con le sue arroganze”7. Wiethölter incalza sotto- lineando come con la scomparsa del “Dio tappabuchi” e con il venir meno delle motivazioni giusna- turalistiche l’autorità del diritto sia ormai non fondata.

Tutte le scienze umane si sono liberate, come ha osservato Bonhoeffer8, “dell’ipotesi di lavo- ro: Dio” che faccia il tappabuchi dei vuoti epistemologici, realizzando così in pieno l’idea di Ugo Grozio di cercare una fondazione razionale del diritto etsi deus non daretur […] il diritto invece sa- rebbe rimasto allo stato ingenuo, immaturo, inginocchiato di fronte ai codici9.

Questa lacuna motivazionale rende il diritto autorità non fondata, “forza che si autolegittima”. Il diritto ancorato all’astrattezza e all’irrazionalità delle formule magiche quali: l’uguaglianza, la giustizia, la buona fede, l’ordine, il buon costume, è ben lontano dal porre le basi per un ordinamen- to pacifico che inveri la giustizia concreta e non quella cieca e razionalmente debole che giudica

5 Al riguardo Mancini afferma: “Il negativo non è mai allo stato puro e anche nelle sue fasi più malaugurate su- scita spiriti di ripresa e cela sotto le ceneri fuochi salutari” in ivi, p. 230. “Logica della disgregazione che, almeno per larghe falde a cominciare da Adorno, dove il negativo prende senso analogamente a quanto si dice nella teologia apofa- tica, non è fine a se stessa, quasi per una voluttà di masochismo logico, in questo caso masochismo giuridico, ossia for- me di interruzione del discorso da sempre fatto in Occidente, ma è fatta in vista di contro movimenti vivificatori e per questo parlo di negativismo, che è cosa problematica, e non di nichilismo che anche nella forma di Nietzsche, è sempre forma chiusa, in definitiva dogmatica […]” in Il diritto imputato, in Jus, 1983, p. 190.

6 R.WIETHÖLTER, Le formule magiche della scienza giuridica, Bari 1975, p. 27. 7 Cfr. Filosofia della Prassi, cit., p. 20.

8 Dal punto di vista teoretico Dietrich Bonhoeffer rappresenta uno dei punti di riferimento fondamentali di Man- cini. Il filosofo di Urbino ha dedicato nel 1969 un’ampia monografia a Bonhoeffer edita da Vallecchi, inoltre, ha curato l’edizione italiana dell’Etica, Milano 1969.

senza considerazione della persona10. Di fronte al diritto, autorità prerazionale e non fondata, priva di nessi con la teoria politica, veicolo di una concezione della giustizia scevra dal riferimento alla persona, il giurista si riduce a mero tecnico della legge. Espunta qualsiasi considerazione di caratte- re politico, sociale, economico, “la povertà, la fame, la schiavitù lo sfruttamento sono “fuori consi- derazione” per il diritto”11. Riecheggiano così le considerazioni di Kant, secondo cui l’estenuante ricerca del quid iuris da parte del giurista, avulsa da quella fondativa sul quid iustum, si riduce ad “una testa senza cervello”.

Alla richiesta di razionalizzazione epistemologica del diritto veicolata dalla critica della Scuo- la di Francoforte, volta a consentire un adeguamento della norma giuridica universale ed astratta, alla condizione umana concreta ed irripetibile, si dovrebbe rispondere, secondo Mancini, con la ri- presa del principio femminile quale anima vivificatrice del diritto.

La prospettiva delineata da Mancini mette in luce come l’assunzione di tale principio, in senso categoriale e fondativo, possa reintrodurre nel diritto un’ispirazione proveniente dal basso, un’at- tenzione all’equità, alla logica del corpo in contrapposizione al “perfettismo” gerarchico ed astratto della legge maschile dominata dal “nome del Padre”.

Dal punto di vista metodologico è opportuno il richiamo ad un’importante precisazione messa in evidenza dal filosofo di Urbino. L’apporto del principio femminile alla rigenerazione assiologica del diritto prescinde da connessioni e commistioni sia con il pensiero femminile sia con quello femminista; “esso non riguarda affatto la rivendicazione di precisi contenuti legislativi, come può essere nel caso dei movimenti femminili più recenti e neppure la questione del senso uguale e supe- riore della donna e della sua civiltà, come rivendicato dal movimento femminista”12. Secondo Mancini il principio femminile, inteso in senso categoriale, non è suscettibile di essere ricondotto ad un periodo storico effettivamente dominato dal matriarcato; esso infatti “offre al diritto caratteri ideali e non storici […] per questo va legato alla preistoria, i cui valori possono essere rintracciati

nell’epos e nella tragedia”13. L’approccio ermeneutico di Mancini al principio femminile non si ri- solve, pertanto, in una trattazione lineare e sistematica della sua genesi e dei suoi tratti salienti. Chi si è già accostato alla lettura delle opere di Mancini è consapevole del fatto che la sistematicità non costituisce il carattere precipuo del suo filosofare. Molto spesso le istanze teoretiche di Mancini non emergono da una rigorosa concettualizzazione, ma dalla citazione ciclica dei suoi autori prediletti. Questo è un ulteriore aspetto dell’originalità di un discorso filosofico che si caratterizza per l’ampiezza e la ricchezza delle suggestioni offerte, per il quale, come è stato osservato, sembra ben adattarsi il motto di Eraclito: per quanto cammini i confini dell’anima non li puoi trovare14.

10 Mancini, nella logica del superamento dialettico della negatività, non omette di considerare l’anima di verità che vi è sottesa. Al riguardo afferma: “È scomparso, con Freud, il padre, è scomparso, con lo sviluppo teologico, il Dio “tappabuchi” solo intento a riempire i buchi della coscienza cosmologica e a consolare le esistenze spezzate dalle vi- cende psichiche; è scomparso anche il soggetto umano nelle filosofie dell’ultimo ventennio francese, in vario modo esorcizzate dal soggettivismo e variamente approssimanti alla de-costruzione antropologica; ma la magia autoritaria del diritto rimane senza aver subito analoghi processi di demitizzazione e di secolarizzazione, senza mai essersi posto radi- calmente il problema di quale idea d’uomo si vuole far continuare a vivere” in Filosofia della Prassi, cit., pp. 47-49.

11 ID., Le formule magiche della scienza giuridica, cit., p. 38. 12 Cfr. Filosofia della Prassi, cit., p. 26.

13 Ivi, p. 236.

14 “Molto ci sarebbe da dire sull’amore di Mancini per le citazioni […] da una parte esse mostrano come per lui il pensiero non andasse rivendicato come snobistica epifania dell’originalità dell’io, ma come una sorta di sforzo collet- tivo di uomini di “buona volontà”, chiamati a riassaporare il gusto della verità, più che a esibirsi in individualistiche teo- rizzazioni. […] Noi pensiamo solo ciò che altri prima di noi hanno pensato e lo pensiamo solo perché, senza merito no-

Anche nel caso del principio femminile il suo iter teoretico si snoda attraverso il riferimento a quegli autori che hanno ripreso tale principio, mettendone in luce le implicazioni giuridiche e legandolo a propositi di rinvigorimento giuridico. In particolare sono due gli autori cui Mancini si affida nella fatica teoretica volta al recupero della dimensione femminile del diritto: Bachofen ed Hegel.