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Nel Diciottesimo secolo, le navi delle rote transoceaniche prendono altri venti, altre direzioni e il traffico portoghese di schiavi arriva nella Costa da Mina: è la “nuova” tappa l’inizio del terzo ciclo del commercio tra l’Africa Occidentale e lo Stato di Bahia. Il cambiamento del corso è dovuto a diversi fattori, tra questi: l’epidemia di Vaiolo, Bexigas, in Angola; le scoperte delle miniere d’oro nella Colonia Portoghese; le piccole guerre interne tra le nações africane nella Costa da

Mina e la forte alleanza e cooperazione tra il re del Dahomey e gli esploratori

portoghesi (VIANNA, 2008, p.102). Se durante il ciclo di Angola si era verificato un sorprendente aumento del numero di schiavi importati nello Stato di Bahia, con l’arrivo del “nuovo” ciclo della Costa da Mina questo numero crescerà ancora di più, in stretta relazione con la bramosia e l’avidità degli esploratori portoghesi per il metallo prezioso.

A Costa da Mina é que seria o mercado farto dos traficantes baianos no século XVIII, quando aproximadamente 70% dos negros importados pela Bahia foram sudaneses. Os outros 30% seriam bantos, pois, apesar de tudo, Angola ainda continuava a atrair o comércio pela maior rapidez da travessia. (VIANNA, 2008, p.109)12

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[...] I primi neri esportati in grande quantità nello Stato di Bahia sono stati i Bantos [...] La loro inclinazione ha permesso un processo di acculturazione talmente perfetto che sono quasi spariti, mescolati, per la loro facilità di integrarsi. Essi sono svaniti fornendo alla società un colore che non era quello del bianco e neanche del banto, ma una matrice nuova sorta dal contatto intimo tra due gruppi.” [n.t.]

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“La Costa da Mina era il ricco mercato abbondante dei trafficanti baianos nel XVIII secolo: circa il 70% dei neri importarti in Bahia erano sudanesi. Il rimanente 30% era bantos, poichè, dopo tutto, l’Angola continuava ancora ad attirare il comercio per la rapidità del viaggio.” [n.t.]

Così, con l’avvento del terzo ciclo della Costa da Mina, Bahia – terra di Tutti i Santi – conoscerà un altro gruppo di africani: gli Yorubas, identificati con il soprannome nagos, che a fianco di altre nazioni africane, tapas, bambarras,

haussás, achantis, geges, bornus, fulas e mandingas, riempirà la prima capitale

brasiliana, imponendosi come un gruppo di estrema numerosità e forza religiosa. La vicinanza culturale tra queste nazioni faciliterà la cooperazione tra di essi e soprattutto la loro integrazione attorno ai culti religiosi, “[...] dove cercherebbero le energie necessarie alla resistenza e alle rivolte contro la loro dispersione e assimilazione [n.t.]. [...]” (VIANNA, 2008, p.109).

[...] [Os nagos] formariam um grande núcleo negro de reação. Por muito tempo permaneceriam isolados, preparando-se para a luta religiosa e animados por um grande espírito de fé. No século já teriam chegado à Bahia aproximadamente 350.000. Uma grande parte fora paras as minas. Mas a fração que ficara era bastante para modificar o ambiente social do negro na Bahia. [...] (VIANNA, 2008, p.109)13

I neri Yorubas, arrivati nel diciottesimo secolo in Salvador Bahia, la maggior parte provenienti da Dahomey, sono stati identificati in Brasile col soprannome ago,

agonu o Anagonu, termine generico che identificherebbe “[...] la persona o

popolo anago, nome costituito da Anago + nu, suffisso che in Fon, significa “persona”. Per estensione, in Dahomey chiamano Anagonu tutti gli iniziati e i sacerdoti che praticano la religione delle entità sovrannaturali di origine

ago”(SANTOS, 2008, p.30). Tuttavia, il termine che da un lato identificherebbe

i fedeli della religione ago, potrebbe anche essere utilizzato come un aggettivo negativo. In questo caso il termine, che verrebbe dalla lingua Fon, significherebbe “immondizia, spazzatura” (SANTOS, 2008, p.30). Secondo lo studioso Vivaldo da Costa Lima, tra gli africani, soprattutto nei gruppi dell’Africa Occidentale, era in uso l’utilizzo di termini negativi per identificare i gruppi vicini che nel periodo

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“[I nagos] Formerebbero un grande nucleo nero di reazione. Per molto tempo sono rimasti isolati, organizzandosi per una lotta religiosa e accesi da un forte spirito di fede. Nel secolo già ne sarebbero arrivati in Bahia aprossimatamente 350.000. Una grande parte era destinata alle miniere. Ma la frazione che era rimasta era già molto grande e in grado di modificare l’ambiente sociale del nero nella Bahia.” [n.t.] [...]

dello schiavismo non erano molto pacifici. Quindi il termine ago sarebbe stato utilizzato dai Fon per identificare in maniera negativa gli Yorubas del Dahomey.

[...] a etimologia de nago o anago [..] significa “sujo”, “piolhento” [...] quando chegaram de Egbado, fugindo de suas guerras intertribais, “vinham esfarrapados, cheios de piolhos, famintos e doentes”. Daí o antigo apelido de anago, em fon, que significa “piolhento”. Como quer que seja, a palavra certamente se modificou semanticamente, a ponto de perder essa suposta conotação [...] vez que os iorubas da Bahia eram chamados e se chamavam a si mesmos de nagôs. (LIMA, 2010, p.123)14

Se il Diciottesimo secolo in Salvador Bahia fu il secolo dei sudanesi15, come sostenne Luiz Vianna Filho, possiamo dallo stesso modo asserire, per antonomasia, che il XIX secolo fu il secolo dei agos. Anche se in questo caso siamo consapevoli che il termine verrebbe utilizzato di modo estensivo a tutti i popoli Yorubas, senza la “giusta” identificazione delle origini geografiche degli schiavi, il fatto fondamentale è riconoscere che fu soltanto nel XIX secolo che la città di Salvador ricevette degli “[...] elementi di un complesso culturale africano che sono presenti nelle associazioni, egbe, molto ben organizzate, dove si mantiene e si rinnova l’adorazione delle entità sovrannaturali, gli orisá, e agli ancestrali illustri, gli egun” [n.t.] (SANTOS, 2008, p.32).

Dunque, se giustamente non si può negare l’importanza dalle altre nazioni africane – Angola e Congo16 – nella formazione del fenomeno socio-culturale e

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“[...] l’etimologia di nago o anago [...] significa “sporco”, “pidocchioso” [...] poiché i nagos – cioè gli iorubás – quando sono arrivati a Egbado, scappando dalle guerre fra tribù, “arrivavano sbrindellati, pieni di pidocchi, affamati e malati”. Quindi l’antico soprannome anago, in fon, significherebbe “pidocchioso”. Non si sa come, la parola certamente si è modificata semanticamente fino a perdere questo significato [...] negativo, a tal punto che gli stessi iorubas di Bahia si chiamavano tra loro nagos.” [n.t.]

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Secondo Luiz Vianna Filho, durante il ciclo della Costa da Mina la Bahia terra di Tutti i Santi instaurerà rapporti intimi con il regno del Dahomey, al punto che quest’ultimo decise di inviare delle ambasciate nell’antica capitale del Brasile. “[...] negli anni 1795 e 1805 son arrivati, in Bahia gli embasciatori dell’autorevole re africano. [...] Sono stati ospitati nel convento di San Francesco. Il principe che commandava la prima embasciata non voleva soltanto il tabacco. Già batezzato, e non potendo avere più di una moglie, voleva anche sposarsi nella Bahia [n.t.]. [...]” (VIANNA, 2008, p.105)

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Sull’importanza del contributo dei neri angolas e congos – gli Bantos – alla cultura brasiliana rimando al libro di CARNEIRO, Edison. “Negros bantus”. Rio de Janeiro, Civilizaçao Brasileira, 1937.

religioso del Candomblé, allo stesso modo, non si può contestare che tra le nazioni africane che si sono fissate in Bahia nei secoli XVIII e XIX, gli Yorubas-

agos sono stati quelli che hanno mantenuto di più la loro configurazione africana

tradizionale (LIMA, 2010, p.125). Diversamente da altri gruppi africani che mediante il contatto con la cultura amerindia e europea hanno subito di più, in diversi gradi, l’assimilazione culturale. Ovviamente, non è nostro obiettivo affermare che il ciclo schiavistico della Costa da Mina sia stato il periodo più importante nella strutturazione del Candomblé e neanche sostenere la “purezza”17 della ritualistica dei agos brasiliani a dispetto delle altri tradizioni ritualistiche di matrice africana ormai diffuse nella cultura afro-brasiliana. Anche se, la maggior parte degli studiosi sul fenomeno avrebbe considerato il modello ago e Jeje come predominanti nelle strutture dei terreiros di candomblés in Salvador (LIMA, 2003, p.20), non si dovrebbe scordarsi che:

Mesmo com a resistência oferecida pelo conjunto coerente de crenças e de ritos trazidos da África pelos antepassados, nada mais, entretanto, poderia estar intacto nos candomblés: nem a ideologia, marcada, sem dúvida, pelas concessões ao sistema de pressão das classes dominantes, nem o simbolismo dos ritos e dos mitos, muitas vezes perdidos de sua originalidade significativa e aqui reinterpretados ou recriados, nem a língua sagrada dos cânticos e das fórmulas rituais, identificável na sua estrutura e no seu léxico, mas certamente modificada em seus valores semânticos e fonéticos. [...] (LIMA, 2003, p.18)18

In ogni modo, è significante il fatto che nel diciottesimo secolo la città di Salvador, mediante “il vigoroso commercio tra la Bahia e la Costa da Mina” (SANTOS, 2008, p.31), avesse potuto mantenere uno stretto rapporto permanente

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Sull’argomento della “purezza nago” rimando al libro di DANTAS, Beatriz Góis.“Vovó Nago e papai branco: usos e abusos da Africa no Brasil”. Rio de Janeiro, Graal, 1988. In capitolo IV, “A Construção e a significação da “purezza nago”.

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“Eppure con la resistenza sostenuta da un insieme coerente di credenze e riti portati dall’Africa dagli antichi [schiavi], nient’altro, malgrado ciò, avrebbe potuto essere inalterato nei candomblés: neanche l’ideologia, segnata, senza dubbio, dalle concezioni al sistema delle classi dominanti, neppure il simbolismo dei riti e dei miti, spesso senza la sua originilità significativa che qui [in Brasile] sono stati reinterpretati oppure ricreati, nemmeno la lingua sacra dei canti e delle formule ritualistiche, identificabile nella sua struttura e nel suo lessico, ma certamente variata nei suoi valori semantici e fonetici. [...]” [n.t.].

con la “madre” Africa, e che ciò avesse dato inevitabilmente la possibilità ai

agos di mantenersi in contatto con l’origine, con la loro pratica religiosa.

Do mesmo modo que na África Ocidental, a religião impregnou e marcou todas as atividades do Nàgô brasileiro, estendendo-se, regulando e influenciando até suas atividades as mais profanas. Foi através da prática contínua de sua religião que o Nàgô conservou um sentido profundo de comunidade e preservou o mais específico de suas raizes culturais. (SANTOS, 2008, p.32)19