Fu nel centro storico, in pieno XIX secolo, nelle strettissime vie della “Roma Africana”20, “[...] in queste piazze di molte confluenze e di intensa comunicazione sociale [...] che le case delle religioni africane, che non esito a chiamare
candomblés, sorgono” [n.t.] (LIMA, 2010, p.235). Evidentemente, quando
Vivaldo da Costa Lima fa riferimento alle case di candomblés nel centro storico di Salvador, non vuole riportarci al “modello” architettonico contemporaneo dei
terreiros come lo conosciamo attualmente. Infatti, prima ancora che ci fosse una
“prima” casa di Candomblé nel centro storico, vicino alla chiesa della
Barroquinha (AUGRAS, 1983, p.33), sarebbe rilevante menzionare che gli
schiavi liberi della città di Salvador si sono serviti da
[...] lojas, das sobrelojas, dos porões dos velhos sobrados já centenários [...] onde um pequeno quintal, um pequeno pedaço de terra [...] virava de
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“Dalla stessa maniera che nell’Africa Occidentale, la religione ha riempito e segnalato tutte le attività del ago brasiliano, espandendosi, regolando e influenzando fino alle attività più profane. Fu tramite la pratica costante della sua religione che il ago ha conservato un senso profondo di comunità e ha preservato quello più specifico delle sue radici culturali.” [n.t.]
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Questa perspicace metafora è stata impiegata dalla Yalorixá, madre di santo nago, Eugenia Ana dos Santos, del Centro Cruz Santa dell’Axé Opô Afonjá. Secondo Vivaldo da Costa Lima (2010, p.310) “[...] la madre di santo aveva adoperato chiaramente una metafora di Roma, la città del Cattolecesimo, con il Vaticano, il Papa e le sue chiese, come simile immagistica dello Stato di Bahia con la prevalenza del Candomblé, religione di origine africana dalla quale [la yalorixá] era orgogliosa, e l’atmosfera [di Salvador] dalle sue chiese, dalle sue confraternite, alle quali Aninha [la yalorixá nago] apparteneva [...].” [n.t.]
repente o mato, a floresta ancestral, o próprio reino de Ossanhe21 [...] os negros, os escravos baianos, tentando recriar simbolicamente o seu espaço sagrado, faziam de um pequeno terreno [...] de um pequeno quintal de centro urbano todo um repositório das formas simbólicas de seu sistema religioso. (LIMA, 2010, p.236)22
Di conseguenza, prima ancora della suddetta casa di Candomblé vicino alla chiesa della Barroquinha nel centro storico della città di Salvador, si può sperimentare nel dire che questi luoghi rimaneggiati – “il cortile del nago” – degli schiavi liberti sono stati di qualche maniera il proto-spazio del Candomblé. Spazi urbani, in pieno centro commerciale, che di qualche maniera “trasformati”, cambiati di significato potessero accogliere determinate funzioni ritualistiche di una comunità religiosa. Ed è interessante osservare che l’etimo terreiro – assunto dai devoti dai
candomblés per identificare i loro templi – significa, in portoghese, un pezzo di
terra, sinonimo di quintal, il giardino, il cortile prossimo alla casa. Questa terra nella quale saranno trasferiti e restituiti i contenuti culturali di un popolo. Il
terreiro quindi come rappresentazione di un pezzo dell’Africa, uno “spazio
geografico dell’Africa genitrice.”[n.t.] (SANTOS, 2008, p.33)
Durante il XX secolo sono apparsi una grande quantità di studi e ricerche sul fenomeno socio-culturale e religioso dei candomblés in Salvador di Bahia, e diversi autori – tra essi, Nina Rodrigues, Edison Carneiro, Vivaldo da Costa Lima, Roger Bastide, Pierre Verger e Joana Elbein dos Santos, soltanto per citarne alcuni – hanno esaminato in specifico lo spazio sacro destinato ai riti del
Candomblé. E, si può dire che tutti hanno considerato il terreiro come uno spazio
architettonico composto da due parti. Due zone che si integrano. Due mondi in opposizione. Tra la foresta selvatica e l’urbano della città civilizzata. Pertanto, in generale si potrebbe asserire che la struttura architettonica delle case dei
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Nome dell’Orixá delle erbe e piante. E’ il “padrone delle erbe”, ed è a lui che i sacerdoti devono chiedere l’autorizzazione per raccoglierle.
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“[...] negozi, mezzanini, seminterrati di vecchie pallazine [...] dove uno stretto cortile, un pezzo di terra [...] si trasformava [...] nella foresta ancestrale del regno di Ossanhe [...]. Mediante questa affascinante trasformazione i neri baianos, cercando ricreare di forma simbolica il loro spazio sacro, facevano di un piccolo pezzo di terra, di uno stretto cortile [...] di un centro urbano, tutto un “magazzino” di forme simboliche del loro sistema religioso.” [n.t.]
candomblés in Salvador è normalmente simile. Cioè, il terreiro o la casa è
organizzato in due spazi: a) l’interno, che è composto da una sala principale dove il pubblico potrà partecipare alle feste pubbliche che fanno parte del calendario liturgico della comunità; b) l’esterno, il terreno, il pezzo di terra che la comunità possiede. Il quintal con le piante medicinali destinate ai bagni degli iniziati e gli alberi sacri. Normalmente, nello spazio interno si può vedere un salone principale addobbato con bandierine colorate, foto degli fondatori della casa, dipinti con immagini degli Orixás, sculture, simboli e altri elementi che possono cambiare in accordo con la comunità. Infatti, secondo l’antropologa Juana Elbein, “[...] Ogni gruppo è collegato a una materia comune di origine astratta, simbolizzata dal suo
orixá. Questa simbologia caratterizza ogni gruppo del “terreiro” tramite l’utilizzo
di determinati colori, [...] determinati emblemi [...]” [n.t.] (SANTOS, 2008, p.35) Questa sala delle danze estatiche, luogo destinato non soltanto alle feste ritualistiche pubbliche – ci sono dei rituali, a porte chiuse, a cui parteciperanno soltanto gli iniziati della casa e qualche volta anche persone da fuori – è uno spazio diviso, nuovamente, in due aree. Normalmente, gli uomini saranno accomodati alla destra del salone e le donne alla sinistra su panchine di legno semplice o su una scalinata. Ancora nella destra sarà sistemata l’orchestra dei tamburi e le sedie delle Yalorixàs23. Vicino alle sedie delle “madre” degli Orixás si vede una porta che fa di ingresso e uscita agli Orixás e ai fedeli. Da questo passaggio escono i fedeli per comporre la prima fase del rituale, lo xiré – il cerchio delle danze estatiche – ed entrano i figli di santi già in trance mistico che saranno vestiti in accordo con l’Orixá incorporato. Oltre questa porta che fa da ingresso ai fedeli, si trovano le case-templi – ilé-orixá – degli Orixás che devono
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“[...] La parola ialorixá conserva, nella forma brasiliana, il significato dell’etimo iorubá: Iyalorisa (ialorixá) = Iyaolorisa (iaolorixá) [...] La parola Iya – madre – in iorubá possiede diversi significati [...] Iya è la madre biologica, ma pure quasiasi parente femminile della generazione dei padri – le sorelle della madre oppure del padre e sue cugine [...] Il prefisso Iya insieme ad altra parola, come nel caso di ialorixá, porterebbe una relazione genitiva tra i due termini –la “madre che possiede” [...] [n.t.] (LIMA, 2003, p.59). Tuttavia, non tutti i candomblés mettono le due sedie, i troni, per le madre degli Orixas. Normalmente si vede la sedia principale della Yalorixá e non c’è un posto riservato alla “piccola madre”, che nella gerarchia del Candomblé, soprattutto in quelli che appartengono al modello nago, è colei che potrà essere la prossima Yalorixà.
essere cultuati nell’interno della casa. Secondo Juana Elbein dos Santos, “[...] ogni casa – ilé-orixá – contiene un “assento”24 consacrato all’orixá – ìdí-orixá – che è oggetto di adorazione comune [...]. Ad ogni entità sovrannaturale corrispondono determinati “assentos” specifici e gli elementi che li compongono esprimono i diversi aspetti dell’orixá [...] [n.t.]” (SANTOS, 2008, p.35). Quindi, il luogo sacro agli Orixás sarà scelto a seconda del mito e le caratteristiche delle entità sovrannaturali. Cioè, se la casa-tempio è di Oxum – che è un Orixá femminile che regge, comanda le acque dolci e le cascate – essa normalmente sarà situata, “piantata” vicino a qualche fonte di acqua dolce o in prossimità di qualche fiume. Ed è in questi luoghi sacri che gli iniziati depositeranno oggetti, elementi specifici che compongono e rivelano i diversi aspetti dell’Orixá25.
Invece, per quello che riguarda lo spazio esterno delle case dei candomblés – il
terreiro in senso lato, il quintal, la “foresta” mitica delle case di candomblés –
anzi tutto non si tratta di uno spazio architettonico separato da quello interno, infatti non esiste una dicotomia tra l’interno della casa – il mondo urbano, la città – e l’esterno – la “foresta” mitica africana, il mato con le erbe e le piante medicinali. Anzi, si potrebbe dire che uno è dentro l’altro, in una “geografia sacra” interdipendente. Infatti, gli Orixás non possono venire nel mondo degli umani, né incorporarsi nei sacerdoti senza l’apporto del mondo vegetale delle erbe – non a caso si dice in Brasile che “senza le foglie l’Orixá non esisterebbe”.
O espaço “urbano”, doméstico, planificado e controlado pelo ser humano, distingue-se do espaço “mato”, selvagem, fértil, incontrolável e habitado por espíritos e entidades sobrenaturais. Ambos os espaços se relacionam. O espaço “urbano” expande-se, fortifica-se e toma elementos do “mato”,
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La parola “assento” potrebbe essere tradotta come assetto. Anche se possiamo dire che nell’“assento” si trova un’organizzazione di oggetti e elementi fondamentali al culto degli Orixás, dobbiamo asserire che la parola va oltre questo significato, e quindi indicherebbe anche un’azione concreta di – assentar, firmar, fixar – collocare, fissare, mettere in un determinato luogo l’energia necessaria ai riti.
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Per uno studio dettagliato sulle case-templi degli Orixás e l’insieme di attività a cui ogni casa – ilé-orixá – è soggetta nei terreiros di candomblés, rimando al capitolo II – O complexo cultural
que ele deve pagar consequentemente. Há intercâmbio, uma troca. [...] (SANTOS, 2008, p.34)26
Allo stesso modo in cui lo spazio interno accoglierà le case-templi di determinati
Orixás, anche nello spazio esterno saranno “piantate” altre case-templi di alcuni
esseri sovrannaturali. Normalmente, è nel “mato” colmo di alberi e arbusti addobbati con panni bianchi, gli ojás, erbe selvatiche e animali – che di solito saranno sacrificati durante i rituali –, in questo spazio “selvaggio” che troveremo le case-templi degli Orixás che hanno un rapporto diretto con la natura, con le erbe, con la caccia, ecc. Possiamo quindi affermare che lo spazio sacro dei
Candomblés in Brasile – questa “geografia religiosa” – interdipendente,
rappresenterebbe, di maniera analoga, la condizione socio-culturale delle diaspore africana nelle terre brasiliane. Una struttura spaziale geografica molto diversa da quella africana destinata al culto degli Orixás. Difatti, in Africa le entità sovrannaturali e gli ancestrali saranno cultuati nelle ville e città secondo la loro origine.
[...] In Nigeria esiste una confraternita per ogni Orisha. Ma in America questo non era più possibile, soprattutto quando la “nazione” ricostituita includeva non tutta una etnia ma solo gli schiavi di una città [...] I sacerdoti furono costretti a raggruppare in un’unica organizzazione tutti i devoti di tutti gli Orisha e il culto consiste così non più nell’invocare uno ogni volta, ma nell’invocarli tutti, uno dopo l’altro, secondo l’ordine gerarchico prestabilito [...] (BASTIDE, 1970, p.145)
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“Lo spazio “urbano”, domestico, pianificato e controllato dall’essere umano, si distingue dallo spazio “mato”, selvaggio, fertile, incontrollabile e abitato dagli spiriti e entità sovrannaturali. Entrambi gli spazi comunicano tra loro. Lo spazio “urbano” si espande e fortifica con gli elementi del “mato”, e che di conseguenza dovrà pagare. Esiste una permuta, un baratto.” [...] [n.t.]