Nella ricerca di due casi studio che avessero le caratteristiche necessarie per ri-spondere alle nostre domande di ricerca, la prima scelta che abbiamo operato è stata quella di decidere se considerare due casi studio italiani, o se cercare, accanto a un’esperienza italiana, un’altra di un paese diverso. Se la prima ipotesi poteva esse-re più confortevole e accessibile, la seconda ci è parsa però più convincente, consi-derato l’obiettivo di ampliare il più possibile lo sguardo a esperienze figlie di un contesto sociale, culturale e politico non esattamente identico. Infatti, scegliere due casi italiani avrebbe probabilmente facilitato la comparazione, ma avrebbe ridotto la possibilità di individuare congruenze tra esperienza nate in ambienti con una sto-ria differente.
Presa questa prima decisione, abbiamo concentrato l’attenzione sull’individuare un Paese che presentasse delle somiglianze a quello italiano sia in termini di storia recente dei movimenti sociali sia in termini di contesto economico-politico. Se-guendo questa filosofia abbiamo da subito escluso una comparazione tra l’Italia e i paesi del nord Europa, proprio per le spiccate differenze su entrambi i livelli, rivol-gendo così lo sguardo all’Europa meridionale dove il tipo di economia, di welfare e di contesto sociale sono più simili. Tra Portogallo, Grecia e Spagna quest’ultima ci è sembrata la nazione con più punti di contatto a partire dalla considerazione che «Italia e Spagna sono entrambe medie potenze, paesi cioè non in grado d’esercitare sul resto del mondo un’influenza permanente e generalizzata in assenza di alleanze e posizionamenti strategici adeguati, ambedue sono economie significative (l’ottava e la dodicesima del mondo rispettivamente nel 2011) e hanno beneficiato enorme-mente del contesto europeo per svilupparsi» (Gatto 2012: 13).
Condividendo una tradizione economica fondata sulla vocazione industriale all’interno della quale lo Stato ha giocato un ruolo importante almeno fino all’ondata di privatizzazioni avvenute a cavallo degli anni ’80 e ’90, entrambi i pae-si hanno poi visto una lenta ma inesorabile trasformazione della propria economia verso una terziarizzazione e una finanziarizzazione che, utilizzando la speculazione
immobiliare come regolatore anticiclo, li ha esposti a effetti devastanti al momento dello scoppio della crisi economica nel 2008.
Infatti, ambedue gli Stati, nei primi anni del nuovo millennio hanno assistito a una forte espansione del mercato immobiliare, unita a un lento ma costante arretra-mento dell’intervento pubblico in materia di edilizia. Questo, che come vedremo ha trasformato il governo e il volto di molte città, sempre più investite da processi di
gentrification e da trasformazioni volte ad attirare investimenti di capitali, li ha
esposti, al momento dello scoppio della cosiddetta “bolla immobiliare”, a una crisi profonda a cui i rispettivi governi hanno risposto con politiche di austerity e tagli alla spesa pubblica. Questo passaggio è importante ai fini della nostra ricerca non solo perché rende i due paesi simili tra loro, ma anche perché, proprio in risposta a questa crisi e a queste politiche, come abbiamo visto nel capitolo dedicato all’inquadramento del fenomeno, nascono quei movimenti di piazza che, opponen-dosi a una politica sempre più asservita alle leggi dell’economia e delle multinazio-nali e sempre più distante dal volere dei cittadini, hanno generato l’innesco da cui prendono il via i movimenti che qui abbiamo studiato.
Ciò che accomuna questi paesi, però, non è solo il versante economico, infatti, possiamo riscontrare similitudini importanti anche sul piano politico e territoriale. La divisone in regioni in Italia e quella in comunità autonome in Spagna, rimanda non solo a un’organizzazione politica, ma anche a divisioni interne che si riferisco-no all’esigenza di autoriferisco-nomia culturale e si rifanriferisco-no a identità specifiche di cui gli accadimenti relativi al referendum sull’indipendenza della Catalogna dello scorso ottobre ne sono solo l’ultimo esempio. «Nel caso delle comunità autonome spagno-le, il ritorno all’autonomia dopo anni di centralismo è stato accompagnato da un rafforzamento delle identità linguistiche e culturali delle regioni, specie di quelle dotate di lingua propria e ufficiale (catalano, valenzano, basco, galiziano)» (Gatto 2012: 17). Nella penisola italiana, invece, dove era vigente una forte cultura d’indipendenza comunale risalente al medioevo, ritroviamo, a distanza di 150 anni dall’unità nazionale, una spiccata difficoltà a sviluppare una coscienza nazionale che permetta il superamento delle divisioni regionali, provinciali e l’attenzione agli interessi locali, tanto che negli ultimi vent’anni «sono apparsi fattori di disgrega-zione fondati essenzialmente sulla mancanza di solidarietà tra le diverse regioni del paese. Il “malessere del Nord”, la “questione meridionale” e lo scontento verso “Roma ladrona” sono tutti aspetti di una questione nazionale mai davvero risolta»
(Gatto 2012: 19). In entrambi i paesi, quindi, si muovono identità localistiche che, come vedremo nel corso dell’analisi dei dati raccolti, avranno un peso considerevo-le nella costruzione di un’identità colconsiderevo-lettiva comune e capace di superare i riferi-menti territoriali.
Un altro fattore di somiglianza che ci ha convinto nell’operare questa scelta è stato la presenza, in entrambi i paesi, di rilevanti esperienze di grassroots
move-ments precedenti alla nascita dei collettivi qui studiati. Entrambe le realtà, infatti,
non sono nuove a movimenti che si auto-organizzano dal basso, in Italia, già negli anni ’70, l’opposizione al caro-affitti e alla ristrutturazione dei quartieri popolari per opera delle grosse immobiliari (Daolio 1974) porta alla costituzione di un mo-vimento organizzato e alle prime occupazioni a scopo abitativo. Le lotte nei quar-tieri periferici nascevano come opposizione al modo di vita urbana, visto come il prolungamento dello sfruttamento in fabbrica e come un embrionale tentativo di coordinare e di organizzare le lotte degli operai nelle fabbriche con quelle degli abi-tanti e degli studenti (Mingione 1975). In Spagna, e in particolar modo in Catalo-gna, ritroviamo invece il moviment associatiu veïnal8 che vede la luce alla fine de-gli anni’60 e si prefigura, da subito, come un «nuovo movimento sociale», con obiettivi come la creazione di un’identità forte attorno al quartiere in cui la cittadi-nanza potesse, da un lato, prendere coscienza dei problemi urbanistici, sanitari, educativi, di casa e trasporti, dall’altro, sviluppare forme di partecipazione diretta con cui esprimere i propri bisogni e le proprie soluzioni (Alabart i Vila 1998). Con la morte del dittatore Franco nel 1975, e l’avvio del passaggio dalla dittatura alla democrazia, questa esperienza vive un momento di particolare fermento e arriva a contare più di 300 associazioni di veïns.9 In ambedue le esperienze, però, il movi-mento va incontro a forti battute di arresto durante gli anni ’80 e, come le lotte degli operai, attraversa una profonda crisi e un forte cambiamento, parallelo alla trasfor-mazione dalla fabbrica di stampo fordista a quella neo-capitalista entrando in quella che Melucci (1984) chiamerebbe condizione di latenza.
Contemporaneamente a questa crisi, dalla seconda metà degli anni’80, emerge il movimento delle occupazioni dei centri sociali. Se in Italia possiamo parlare di se-conda generazione (Mudu 2012), la cui agenda era collegata alla lotta contro la dif-
8 Letteralmente “associazioni di quartiere”.
9 A Barcellona si contavano 80 associazioni e il numero di persone coinvolte superava i 100.000.
fusione dell’eroina e all’antinucleare, su scala locale, e alla solidarietà ai popoli del Nicaragua, dell’Irlanda del Nord e dei Paesi Baschi, sul piano internazionale, in Spagna assistiamo alla prima vera diffusione di questa pratica, che sotto la dittatura di Franco non era riuscita a esprimersi. Gli attivisti delle occupazioni erano preva-lentemente giovani che iniziarono ad adottare stili di vita e idee che si erano già dif-fuse negli altri paesi europei nei decenni precedenti. Tuttavia, le lotte per le occu-pazioni non furano un revival ritardato dello spirito libertario e comunitario del Maggio ’68, nuove issues e modalità di auto-organizzazione emersero tra gli attivi-sti, e nuovi collegamenti tra diversi movimenti sociali furono possibili grazie agli spazi “liberati” dai centri sociali (Martinez 2007) che diventano così luoghi rilevan-ti per il tessuto cittadino. Le occupazioni si diffusero immediatamente come un movimento con alcune caratteristiche tipiche di quello urbano, dell’ambiente politi-co alternativo e pratiche politi-contro-culturali che lo differenziavano dagli altri movi-menti e dalle lotte urbane precedenti, tanto che, pur mantenendo rapporti continui con le occupazioni abitative presenti in città, le reciproche relazioni produssero ten-sioni che spesso si risolsero nella separazione degli edifici occupati per scopi abita-tivi dagli altri, utilizzati solo come “Centri Sociali” (Martinez 2007). Per tutti gli anni ’90 quest’esperienza cresce e s’intensifica; in Italia, nel 1990, la mobilitazione degli studenti nelle università denominata la Pantera, genera una nuova ondata di occupazioni e la costituzione di un network di alleanza tra i diversi Centri Sociali (Mudu 2012), mentre in Spagna, l’accumulazione di forza, di conoscenze e il rin-novamento generazionale continuo permette a quest’esperienza di sopravvivere no-nostante la dura fase repressiva iniziata con l’introduzione del cosiddetto “Codice Penale della Democrazia” che, nel 1995, criminalizzò le occupazioni degli edifici abbandonati. Gli anni successivi al 2000 sono stati dominati da una crisi del movi-mento delle occupazioni in molti paesi europei e anche in questo caso possiamo parlare di periodo di latenza (Martinez 2012) fino all’emergere dei movimenti in opposizione alle politiche di austerity e ai collettivi che qui abbiamo studiato.
Individuati i due paesi di riferimento, ci siamo poi concentrati sulla scelta delle città in cui ricercare i due casi studio di riferimento. Nel prossimo paragrafo presen-teremo Milano e Barcellona e le motivazioni che ci hanno spinto ad eleggere queste due città per poi approdare alla presentazione dettagliata delle esperienze del Comi-tato Abitanti di San Siro e di Can Batlló.