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La scelta delle città

Nel documento Abitare nella crisi. (pagine 76-80)

La scelta delle città in cui individuare i nostri casi studio è partita dalla constatazio-ne che «se fino a qualche decennio fa il governo del territorio e la politica dello svi-luppo urbano erano di dominio esclusivo della scala nazionale e di quelle ad essa subordinate di livello locale e regionale, le più recenti trasformazioni indotte dalla globalizzazione – la trasformazione verso forme nazionalmente e regionalmente differenziate di neoliberismo, la costituzione di influenti organismi internazionali, la generale percezione che le forze dell’economia siano «fuori controllo» per i go-verni nazionali – hanno attribuito un significato inedito alla politica urbana (la new

politics, nella definizione di Cox, 1993), come testimoniato da una serie di

espres-sioni, quali “città globale” o “città imprenditoriale”» (Rossi e Vanolo 2010: 11). Ciò che volevamo, quindi, era individuare due città in cui fosse rintracciabile il pas-saggio da forme «pubblico-manageriali» e redistributive, volte a regolamentare l’uso del suolo urbano e la fornitura dei servizi alla collettività, a modalità mag-giormente «imprenditoriali», incentrate sulla valorizzazione della città come fattore di crescita economica.

A tal proposito Milano e Barcellona rispondono perfettamente a questa esigen-za. Entrambe hanno una storia simile che vede la loro crescita ed espansione grazie alla presenza di un grosso indotto industriale soprattutto nel secondo dopo guerra che incontra una profonda trasformazione, intorno agli anni ’80 con la crisi del for-dismo e la terziarizzazione dell’economica, che ne modificherà il volto. Questo por-terà all’affermazione di un modello di governo proiettato nello spazio delle relazio-ni globali mediante operaziorelazio-ni di marketing territoriale e di vero e proprio

bran-ding, ossia di promozione del marchio urbano, con iniziative volte a proporre

im-magini attrattive per richiamare capitali e investimenti esterni, per giustificare il fi-nanziamento di ambiziosi progetti di riqualificazione e per infondere negli attori economici locali una mentalità «vincente», competitiva e collaborativa al tempo stesso (Kavaratzis, Ashworth 2005)» (Rossi e Vanolo 2010: 31)

Nei prossimi due paragrafi entreremo, se pur sinteticamente, nello specifico del-le due città per meglio mostrare il percorso che ha portato alla loro scelta come casi emblematici di una modalità di governo alla quale i movimenti qui studiati si con-trappongono.

2.1 Milano

La metropoli lombarda, che sin dall’unità d’Italia è considerabile una tipica città industriale, incontra, a partire dalla metà degli anni Settanta, una profonda meta-morfosi che la traghetterà in una nuova era, trasformandola in una città “postfordi-sta”.

I principali assi di cambiamento riguardano innanzitutto una grande

deindu-strializzazione10 che, se da un lato ha portato un miglioramento della qualità am-bientale, dall’altro ha comportato la disgregazione dell’antico tessuto sociale dei quartieri operai. La polarizzazione sociale che consegue a questo processo di sman-tellamento del tessuto industriale è il secondo grande mutamento che investe la cit-tà. Incontriamo, infatti, la progressiva differenziazione interna dei vecchi quartieri operai dove, accanto alla gentrification sempre più spinta, si accompagna la pro-gressiva deriva di altri settori, spesso limitrofi ai primi, dove si trovano a convivere gomito a gomito diverse forme di marginalità. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento dell’immigrazione sono gli altri due fattori che hanno inciso sulla com-posizione e trasformazione del tessuto sociale.

Milano cambia così il proprio volto e con esso anche la propria struttura eco-nomica e la modalità di governo, proiettandosi sempre più verso un mondo globa-lizzato. I processi di terziarizzazione che riguardano tutte le società più sviluppate, infatti, hanno investito il capoluogo lombardo in misura ancora più profonda, gene-rando complesse trasformazioni dell’uso del territorio con lo sviluppo dei cosiddetti “centri direzionali” il cui implicito obiettivo è legato alla costruzione di un polo economico di livello mondiale capace di attrarre soggetti appetibili. Ma Milano non si è concentrata solo su questo, al contrario ha diversificato sempre di più la propria immagine aggiungendo ai caratteri di motore economico di importanza europea an-che i caratteri di polo artistico, espositivo, sportivo, museale e didattico.

Ciò che si delinea oggi, quindi, è una Milano che «si candida ad essere una città globale, probabilmente non tanto per le sue dimensioni, bensì per il suo ruolo di prim’ordine e la sua posizione economica mondiale» mettendo in atto politiche di sviluppo urbano che la proiettino in questa direzione e passando così da un approc-cio redistributivo-manageriale a un governo della città di tipo «imprenditoriale»,

10 «È notorio che Milano, nel corso degli anni Novanta, si è trovata con circa 9 milioni di metri quadrati di aree dismesse, pari al 5% della superficie comunale» (Agustoni et.all 2007: 23).

imperniato sul primato della crescita economica come movente fondamentale che orienta la condotta di chi la governa.

L’implementazione di grandi eventi che attraggono capitale e sostengono la re-torica della riqualificazione e l’immagine di una città all’avanguardia, tecnologica e di respiro mondiale è un ulteriore politica perfettamente in linea con questa modali-tà che trova il suo esempio più recente e emblematico nell’organizzazione dell’esposizione universale svoltasi nel 2015.

Tutte queste trasformazioni ci hanno permesso di considerare Milano come un perfetto esempio di una città governata seguendo linee neoliberali e quindi perfet-tamente calzante con le nostre esigenze di ricerca.

2.2 Barcellona

Come abbiamo anticipato in precedenza, anche Barcellona, come Milano, ha una storia che affonda le proprie radici in una tradizione industriale che a cavallo tra il XIX e il XX secolo ne ha determinato una crescita importante, non solo in termini di numero di abitanti, ma anche di estensione e di ruolo economico, come testimo-niano le due Esposizioni Universali organizzate nel 1888 e nel 1929. Nella seconda metà del XIX secolo, sull’onda di questa crescita, si avvia il progetto di abbattere le antiche mura medievali per fare spazio all’Estensione (in catalano Eixample) che allargò così i confini della città fino a inglobare i paesi della vicina periferia come Gràcia, Sarrià, Horta, Sant Gervasi de Cassoles, Les Corts, Sants, Sant Andreu de Palomar e Sant Martí de Provençals che oggi sono parte integrante della città.

Durante il regime fascista, seguendo il progetto centralizzatore voluto dal gene-rale Franco, furono abolite le istituzioni politiche autonome e l'uso della lingua talana, costringendo la città di Barcellona a un ruolo di sudditanza rispetto alla pitale Madrid. Queste restrizioni, accompagnate da una repressione costante e ca-pillare, però, non impedirono il fiorire di gruppi, più o meno clandestini, che man-tennero viva l’identità catalana e le rivendicazioni di democrazia. In Spagna, e in particolar modo in Catalunya, infatti, alla fine degli anni’60 nacquero i cosiddetti

moviment associatiu veïnal che, assumendo le caratteristiche di «nuovo movimento

sociale», perseguivano obiettivi come la creazione di un’identità forte attorno al

Con la morte del dittatore Franco nel 1975, e l’avvio della transizione dalla dit-tatura alla democrazia, viene approvato, nel 1976, il Plan General Metropolitano che inaugura una gestione più partecipata della politica urbana, convertendo Barcel-lona «in uno dei laboratori urbani più attivi – e attrattivi – dentro il panorama na-zionale e internana-zionale in tema di architettura e urbanismo» (Aricó, Mansilla e Stanchieri 2016: 227). Al suo interno prendevano vita cinque elementi che ne carat-terizzavano la natura: una strategia sociale che voleva rispondere alle domande dei movimenti sociali; una multifunzionalità dei progetti, cioè la volontà di risolvere diversi problemi con un’azione unica; una strategia che pretendeva far sì che i pro-getti implementati funzionassero da volano per altri investimenti capaci di trasfor-mare l’intera area interessata; la monumentalità degli interventi che intendevano dotare le aree interessate di attributi culturali e simbolici che aggiungessero valore e visibilità; infine, l’effetto di promozione della città, il cosiddetto marketing urbano che aveva l’obiettivo di attrarre investimenti, anche internazionali (Borja 2010).

Questa modalità di governare l’urbano, che in un primo periodo riesce, in parte, a coinvolgere le associazioni di cittadini in una sorta di programmazione partecipa-ta, getta però le basi per il suo stesso superamento verso un urbanismo de

promoto-res y de negocios. La candidatura, poi vinta, a città olimpica per i giochi del 1992

segna questo passaggio convertendo la progettazione per la “grande occasione olimpica” in un pretesto per perpetrare una strategia di rinnovazione e rigenerazio-ne urbana di ampie porzioni della città (Monclús 2003). Di fatto, se rigenerazio-nel periodo precedente esisteva una certa fiducia nella collaborazione tra l’amministrazione pubblica e le imprese private, da questo momento in poi sembra che l’amministrazione della politica urbanistica passi in mano alle imprese (Capel 2006). Come analizzato da Harvey e Smith (2005), a Barcellona questo fenomeno genera una crescente privatizzazione dello spazio, una speculazione immobiliare senza precedenti e un processo di “gentrificazione centrifuga” molto accelerato.

Servendosi di diverse strategie che vanno dall’organizzazione di grandi eventi alla costruzione di un immaginario attrattivo, fondato su vere e proprie strategie di

marketing, Barcellona entra, come abbiamo visto per Milano, nel mondo

globaliz-zato in cui le città competono tra loro per attrarre nuovi investimenti e capitali (Sas-sen 1991). Interpretando i dettami del paradigma neoliberale, contro cui, come ve-dremo, si oppongono i movimenti urbani di oggi, pur non essendo perfettamente identica al capoluogo lombardo possiamo sostenere che ne condivide il destino e le

pratiche di governo. Proprio questa somiglianza ci ha convinto della bontà della scelta di queste due città come un caso unico all’interno del quale scovare quei col-lettivi, che andremo presentando nei prossimi paragrafi, che si oppongono a questo tipo di politiche promuovendone di alternative.

I due movimenti che abbiamo studiato sono il Comitato Abitanti di San Siro per Milano e Can Batlló per Barcellona; nei prossimi paragrafi collocheremo le espe-rienze nei rispettivi quartieri in cui sono nate, ne analizzeremo la storia e presente-remo le attività che implementano. Questa presentazione, oltre a fornire un quadro di riferimento delineato, permetterà di seguire l’analisi empirica dei dati raccolti avendo sempre chiaro ciò cui ci riferiamo.

Nel documento Abitare nella crisi. (pagine 76-80)