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La situazione giovanile

Nel documento RicercAzione - Volume 2 Numero 2 (pagine 187-190)

Giovanni Campagnoli

3. La situazione giovanile

La disattenzione e lo scarso investimento delle istituzioni nei confronti dei giovani ha determinato situazioni sociali ed economiche inique per questi ultimi, che sono diventati uno dei gruppi sociali più vulnerabili e a rischio di povertà (Tabella 1), pur essendo potenzialmen-te, in una società soggetta a un costante invec-chiamento, una risorsa preziosa.

Nel nostro Paese tutto ciò causa, di fatto, un rinvio di molte scelte come l’acquisto della pri-ma casa, il pri-matrimonio, la genitorialità, l’avvio di una pensione integrativa, in altre parole di ciò che costituisce un ponte verso il futuro. I giova-ni lavoratori in situaziogiova-ni contrattuali costante-mente «a termine» sono fortecostante-mente penalizzati, con una dilatazione delle loro «tappe di vita».

5 Lo youthwork (così come lo definisce il Libro Bianco) è l’attività specifica inerente il lavoro nei club dei gio-vani, nei movimenti giovanili, il «lavoro in strada», i progetti per sviluppare la cittadinanza, l’integrazione, la solidarietà tra i giovani, ecc., cioè tutto quanto è al di fuori di quello già coperto dalle altre politiche relati-ve ad esempio all’occupazione, all’integrazione sociale e all’istruzione. Questo corrisponde alle attività e agli strumenti che sono normalmente associati alle politiche della gioventù.

A questo proposito, un indicatore interessante del prolungamento della gioventù, è la scelta dell’Istituto IARD Rps nell’ambito dell’attività di ricerca a livello nazionale sui giovani italia-ni. L’Istituto IARD nel 1983 realizzò il primo

«Rapporto Giovani», seguito da un secondo sempre negli anni Ottanta utilizzando come campione giovani di età compresa tra i 14 e i 24 anni. Negli anni Novanta il limite superiore venne innalzato a 29 anni mentre nelle ultime

TABELLA 1

Estratto dalla relazione del Governatore di Banca Italia (30 maggio 2010) (Draghi, 2010)

nei dieci anni precedenti la crisi, la produttività di un’ora lavorata è salita del 3 per cento in italia, del 14 nell’area dell’euro. negli stessi anni l’economia italiana è cresciuta del 15 per cento, contro il 25 dei paesi dell’area. il tasso di occupazione degli italiani resta basso, 57 per cento nel 2009, 7 punti meno che nell’area; il divario è più ampio per i giovani e raggiunge 12 punti per le donne. [...] la stagnazione distrugge capitale umano, soprattutto tra i giovani.

la crisi ha acuito il disagio dei giovani nel mercato del lavoro. nella fascia di età tra 20 e 34 anni la disoccupa-zione ha raggiunto il 13 per cento nella media del 2009.

la riduzione rispetto al 2008 della quota di occupati fra i giovani è stata quasi sette volte quella osservata fra i più anziani.

hanno pesato sia la maggiore diffusione fra i giovani dei contratti di lavoro a termine sia la contrazione delle nuove assunzioni, del 20 per cento. da tempo vanno ampliandosi in italia le differenze di condizione lavorativa tra le nuove generazioni e quelle che le hanno prece-dute, a sfavore delle prime. i salari di ingresso in termini reali ristagnano da quindici anni.

una ripresa lenta accresce la probabilità di una disoccu-pazione persistente.

Questa condizione, specie se vissuta nelle fasi iniziali del-la carriera del-lavorativa, tende ad associarsi a retribuzioni successive permanentemente più basse.

la riforma del mercato del lavoro va completata, supe-rando le segmentazioni e stimolando la partecipazione.

i giovani non possono da soli far fronte agli oneri cre-scenti di una popolazione che invecchia. né sarà suffi-ciente l’apporto dei lavoratori stranieri. solo 36 italiani su 100 di età compresa tra 55 e 64 anni sono occupati, contro 46 nella media europea, 56 in germania. nell’ul-timo trentennio, a fronte di un aumento della speranza di vita dei sessantenni italiani di oltre cinque anni, si stima che l’età media effettiva di pensionamento nel settore privato sia salita di circa due anni, attorno a 61.

occorre prolungare la vita lavorativa, anche per garan-tire un tenore di vita adeguato agli anziani di domani. i paesi europei ad alto tasso di occupazione nella fascia 55-64 anni sono anche quelli con la maggiore occupa-zione giovanile.

edizioni dell’indagine è stato necessario esten-dere il campione includendo i giovani fino ai 34 anni per poter osservare quote significative di giovani che avevano raggiunto le tappe ver-so l’adultità. Rispetto a questa dimensione di allungamento della adolescenza (e della dipen-denza dalla famiglia di origine), si aggiungono una serie di difficoltà specifiche, molto serie e cioè:

– povertà giovanile, sono infatti un milione e 515 mila i giovani poveri (il 63,9% che vive nelle famiglie d’origine) e sta aumentando la povertà di coloro che hanno costruito una propria famiglia (Sabbadini, 2009);

– disoccupazione giovanile al 29,5%, la più alta in Europa (Istat, giugno 2010);

– sottoccupazione e lavoro dequalificato. In Ita-lia la disoccupazione tra i laureati è del 24%

(in Europa del 9,3%), dei diplomati del 13%

(in Europa è del 14%), mentre delle persone a basso titolo di studio è del 10%, mentre in Europa è del 20% (Eurostat, 2007). Inoltre vi è un impressionante numero sempre in crescita di stages lavorativi con però in calo percentuale di assunzione dopo il periodo formativo (dieci anni fa era pari al 46,5%, ora si attesta al 26,5%) e solo uno su quattro avrà un contratto al termine del periodo di stage (Almalaurea, 2009);

– bassi redditi e precarietà del posto di lavoro.

Oggi infatti nove posti di lavoro su dieci di-strutti dalla crisi sono contratti a tempo de-terminato, collaborazioni coordinate e conti-nuative e altri lavori formalmente in proprio ma dietro ai quali si celano posizioni di lavo-ro subordinato. Le cifre sugli atipici sono da bollettino di guerra: andati distrutti 265 mila lavori a termine, 100 mila collaboratori e 385 mila lavoratori autonomi, tra i quali vi sono diverse Partite Iva «parasubordinate» che for-niscono le loro prestazioni a un solo commit-tente. Tra i lavoratori precari che hanno perso il lavoro, uno su dieci ha accesso al sussidio di disoccupazione ordinario o alle indennità di mobilità. Questi giovani sono stati beffati due volte. Hanno avuto un lavoro decisamen-te meno prodecisamen-tetto di quello degli altri e, una volta disoccupati, vengono completamente

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RiceRcaZione dicembre 2010

abbandonati dallo Stato. La disoccupazio-ne giovanile è infatti aumentata, da ottobre 2008 a ottobre 2009, del 4,5%, passando dal 22,4 al 26,9%, mentre nello stesso periodo il tasso di disoccupazione generale è cresciuto dell’1%, passando dal 7 all’8%. Un’indicazio-ne piuttosto evidente del fatto che in Italia la crisi si è abbattuta soprattutto sui più giovani (Boeri, 2009);

– squilibri generazionali, di genere e geogra-fici, i tre «fattori g» dello squilibrio italia-no attuale (Del Boca & Rosina 2009), tanto che, per quel che riguarda ad esempio il ruolo delle donne nel nostro Paese, la classifica in-ternazionale Gender Gap Index (World Eco-nomic Forum, 2009), relega l’Italia al 72°

posto, saldamente dopo il Botswana (39°) e l’Uzbekistan (58°).

Come se non bastasse, emerge anche che il nostro «Non è un Paese di giovani». È infatti in atto un «declino demografico delle giovani generazioni», una vera e propria «scomparsa dei giovani»: oggi compiono vent’anni meno di 600.000 giovani, ma erano 900.000 nel 1990 (Livi Bacci, 2008). In Italia gli under 25 sono il 23,6%, in Francia il 31,2%: una differenza di oltre sei milioni di persone.

L’Italia è stato infatti il primo Paese nella sto-ria dell’umanità nel quale (1993) il numero di persone di 65 e più anni ha superato il numero di minori di 0-14 anni. Siamo il Paese con il più alto tasso di invecchiamento al mondo, e la più bassa fecondità. Risultato: la «piramide demografica della popolazione» si è rovesciata.

All’inizio degli anni Cinquanta la popolazione italiana era di 47,5 milioni di abitanti: il 34,6%

aveva meno di 20 anni (ora il 18%); gli ultra-sessantacinquenni erano l’8,2% della popola-zione (ora il 20%). È un fenomeno rapido e in crescita continua: dal 2002 al 2009 gli over 65 sono incrementati del 13,4%, mentre gli under 14 diminuiti del 4%. La quota di popolazione anziana su quella in età da lavoro è del 30%; tra cinquant’anni, neanche il tempo di due gene-razioni, potrebbe essere del 65%. Questo squi-librio quantitativo comporterà inevitabilmente anche un cambiamento qualitativo nei rapporti tra le generazioni (Galasso, 2010).

La fase attuale presenta difficoltà che dal dopoguerra il mondo giovanile non aveva mai vissuto. Infatti, se la globalizzazione può gene-rare crescita e occupazione, può anche creare difficoltà particolari per i lavoratori vulnerabili, in primis i giovani, come la crisi ha dimostrato.

Infatti le giovani generazioni oggi sono le più esposte agli effetti negativi di questa situazio-ne, con pochissimi ammortizzatori sociali a di-sposizione, tranne, come da sempre, la famiglia d’origine (Tabella 2).

TABELLA 2

La condizione socioeconomica la situazione generale dei giovani, dal punto di vista socioeconomico, è descrivibile con questi dati di sintesi:

– il debito pubblico pesa su ogni giovane dieci volte in più che per le generazioni del ’68;6

– il livello di disoccupazione giovanile cresciuto di quasi tre volte da allora, passando dal 10% al 29,5% (istat, 2010);

– le riforme previdenziali hanno nel complesso addos-sato la maggior parte dei costi dell’invecchiamento sociale sulle nuove generazioni (galasso, 2010);

– nel nostro paese, i giovani stanno pagando questa crisi 4 volte e mezzo in più del resto dei lavoratori (boeri, 2009);

– gli adolescenti sono divenuti nel frattempo minoranza sociale;

– i giovani sono la categoria più povera in assoluto ed a più alto rischio povertà in futuro (sabbadini, 2009);

– per le nuove generazioni, l’ingresso nel mondo del lavoro avviene con molte meno garanzie contrattuali che in passato, tra precariato e pressoché assenza di ammortizzatori sociali;

– nel nostro paese, tra i giovani, comincia a delinearsi l’alternativa della «fuga» all’estero, trasversalmente a tutte le categorie di giovani, non solo tra le «eccel-lenze» (laffi, 2009).

Sintomo principale di questa situazione è il dato della disoccupazione giovanile al 29,5%, mai così alta nella storia del nostro Paese, si-tuazione che conferma ancora una volta l’alto rischio di esclusione dei giovani dal mondo del lavoro. Così, se è pur vero che in Italia gli «un-der 25» spesso sono ancora all’università, la ben diversa situazione degli altri Paesi europei dice,

6 La quota di debito pubblico «under 30», stimata nel 2009, è di 97.000 Euro pro capite (+ 17.000 dal 2006, il 21%) e, sempre indicizzata al 2006, era di 10.373 Euro nel 1968 (+700%) [NdA].

sociali» — che sono lo strumento che permet-te a una società nel suo complesso di evolversi, migliorare e svilupparsi, a partire dalle capacità, attitudini, motivazioni, aspirazioni e sogni dei propri membri (Barbagli & Schizzerotto, 1997).

Alcuni dati descrivono bene questa situazione:

in media il 20,2% dei figli di imprenditori e di liberi professionisti rimane nella stessa posizione dei propri padri, mentre soltanto il 3% dei figli di operai riesce a diventare imprenditore, dirigen-te o libero professionista. Solo il 18,9% dei figli di imprenditori, liberi professionisti e dirigen-ti scende verso quella che una volta si sarebbe chiamato il «proletariato». Questa categoria ri-mane nelle posizioni dei padri quasi cinque volte più spesso di quello che si dovrebbe verificare qualora la società italiana garantisse un’effettiva uguaglianza delle opportunità. Invece ben 7 figli di operai su 10 sono destinati a fare gli operai e quelli che riescono a diventare liberi professioni-sti sono tre volte meno di quanto accadrebbe in una società meritocratica, mentre quelli destinati a ereditare il lavoro del padre sono circa sei volte di più di quello che sarebbe lecito attendersi se il destino di ognuno di noi dipendesse dalle proprie capacità (Schizzerotto, 2002).

Le cause di questa situazione sono dovute al fatto che la nostra società vede oggi al potere un ancien régime che governa, ben saldo, in tutti i principali ambiti della vita economica, politica, imprenditoriale del Paese, tanto che in Italia, dal 1989 al 2006 l’età media della classe dirigente del nostro Paese è passata dai 50 ai 60 anni. Ciò significa che le leve del potere sono sempre nelle mani delle stesse persone (Floris, 2008).

Vige quindi una classe dirigente generalmente più preoccupata a conservarsi che a rinnovarsi, più impegnata al mantenimento di questo «sta-tus quo», che non a occuparsi dei temi dello sviluppo futuro del Paese, promovendo quindi politiche di lungo periodo. E funzionale a ciò vi è la quotidiana sotto-rappresentazione (quanti e qualitativa) che i media (in particolare le TV generaliste) offrono dei giovani (Osservatorio Media Research di Pavia, 2008).

Questa situazione non si trasforma però in un conflitto, in una crisi: avviene all’interno di una in generale, di percorsi universitari più rapidi

e, in molti casi, anche occupazione immediata dopo la laurea, oltre che una uscita più cele-re dalla famiglia di origine. In sintesi, sistemi nel complesso più efficaci del nostro. Nel re-sto d’Europa infatti, a parte la Spagna, con un tasso di disoccupazione che va oltre il doppio della media europea (42,9%), le cose sono ben diverse. In Germania il tasso di disoccupazione giovanile è al 10,3%, in Danimarca al 12%, in Olanda al 7,2%, in Austria al 10,2%. Anche nei Paesi di ingresso recente nell’Unione Europea, il tasso di disoccupazione giovanile è molto meno alto che in Italia: a Malta è al 14,1%, in Polonia al 21,2%, nella Repubblica Ceca al 17,5%, in Bulgaria al 17,4%. Pochi quindi i Pa-esi che mostrano un dato peggiore da quello italiano (Eurostat, ottobre 2009).

4. L’ancien régime

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e l’immobilismo

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