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Possibili soluzioni al problema

Nel documento RicercAzione - Volume 2 Numero 2 (pagine 178-183)

Ma nessuno li studia

4. Possibili soluzioni al problema

La fuga dei giovani talenti dall’Italia, finora colpevolmente sottovalutata dalle nostre istitu-zioni, non è ovviamente un fenomeno di sempli-ce soluzione. A provocarla infatti non contribui-sce un solo fattore, ma un intreccio di concause che — in molti casi — sono le stesse alla base dell’attuale declino economico del Paese. Un declino evidente e inconfutabile: i dati storici di anemica crescita PIL, al netto delle crisi eco-nomiche mondiali, parlano chiaro.

Una prima soluzione al problema consistereb-be — paradossalmente — nel cominciare seria-mente a studiarlo. Non si può porre rimedio a qualcosa, se prima non ne si quantifica l’entità.

The figures available now are too approximate to provide a clear picture of the huge extent of Italy’s brain drain. A thorough study should fo-cus on two critical tasks: quantifying the flight of the so-called skilled talents, and assessing the costs of this loss to the Italian state in terms of educational investments and loss of produc-tive capacities. This would at least stimulate an open debate at both a political and economic le-vel on how to remediate the situation. However, the solution cannot obviously lie in prohibiting the migration of our young talented people. On the contrary, in the new world of globalisation this action would be counter-productive, not to mention its dubious practicability. Instead, it is a question of opening Italy up to the world, fo-stering the advancement of our talented people abroad, and then incentivizing their return once they have further developed their professional skills. At the same time, highly qualified fo-reigners should be persuaded to work in Italy, thus creating a «2win situation» whereby the outgoing flow would be balanced by a twofold incoming flow, including Italian professional returnees and highly skilled immigrants.

This is, of course, the ultimate goal. But how can it be achieved? A first step is represented by the previously mentioned «Counter-exodus»

project, supported both by governmental and op-position parties and on the verge of approval by the Italian parliament’s lower house. This bill en-tails a range of straightforward provisions, such as tax relief and incentives for the companies employing the under 40s who have lived abroad for at least two years, or for the youth returning to Italy and oriented to start up a new business here. Interestingly, this law has been named the

«tax shield for the returning young talented».

Here, however, the «shield» does not apply to capitals illegally circulated outside the country.

It is simply understood as an incentive for highly qualified human capital to return. The project also provides special incentives for women and for those returning to Southern Italy.

It goes without saying that these policies can-not be sufficient anyway. This is, nevertheless, a promising step in the right direction. As a second step I would suggest, through the means

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I numeri attuali, finora troppo approssimativi, non danno l’idea di quanto il fenomeno del brain drain italiano sia vasto. Un serio studio, concentrato su due pilastri (la misurazione dei cosiddetti skilled talents in uscita dall’Italia, e i costi esatti che questa uscita comporta per il sistema-Paese nel suo complesso, in termini di formazione e mancata produttività), potrebbe quantomeno aprire un dibattito serio a livello politico, economico e sociale, su cosa fare per ribaltare la situazione. Tuttavia, si badi bene, occorrerà evitare di spostare il focus su un falso problema: non si tratta infatti di proibire l’uscita dei nostri giovani dal Paese. Al contrario: in un’era di globalizzazione, ciò risulterebbe for-temente controproducente. Si tratta piuttosto di aprire l’Italia al mondo, favorendo l’uscita dei nostri professionisti di talento, per poi incenti-varne il rientro una volta incrementato il loro background professionale all’estero. Allo stesso tempo, occorrerà avviare una seria ricerca dei migliori talenti stranieri, per aumentare signi-ficativamente la percentuale di immigrazione qualificata. Una situazione siffatta porterebbe a una 2win situation per l’Italia: un flusso in uscita, equilibrato e annullato da ben due flussi in entrata (i giovani di rientro e gli stranieri di talento in arrivo).

Quello appena esposto è ovviamente l’obiet-tivo finale. Ma come arrivarci? Una prima so-luzione pare rappresentata dal già menzionato progetto «Controesodo», una proposta di legge bipartisan Pd-Pdl (in dirittura finale di appro-vazione alla Camera dei Deputati all’atto di stesura di questo articolo). Il concetto alla base del ddl è semplice: sgravi e incentivi fiscali per chi assume giovani professionisti «under 40»

residenti da almeno due anni all’estero; iden-tico trattamento per chi — tra questi espatria-ti — torna in Italia per avviare un’impresa.

Interessante rilevare come gli estensori del progetto lo definiscano sul loro sito web uno

«scudo fiscale per il rientro dei talenti»: questa volta non si tratta però di denaro illecitamente fatto espatriare negli anni, ma di «patrimonio umano» qualificato di ritorno. Un interessante ribaltamento di prospettiva, rispetto alla ben nota concezione di «scudo fiscale». Vale pure

of a private-public partnership, the setting up of a preferential channel for those willing to return to Italy. This could result in a website or an organisation dedicated to the recruitment of professionals, assisting them in finding a new position in our country. Obviously, such pro-fessionals should rely on the same salary, and benefit from the same transparency in their ca-reer progression and level of responsibility, as enjoyed abroad. Will it work? Not immediately.

But if important multinational companies are willing to cooperate and show interest in em-ploying the «returning talented», other compa-nies would then follow their example, spurred on by the economic advantages deriving from the tax benefits and the high levels of skills ta-ken onboard.

The other changes necessary to achieve a 2win situation will be much more difficult and de-manding. They would entail, to begin with, a clear vision — as far as the Italian government and industrial sector are concerned — of the country’s industrial policy in the next few deca-des. This would involve, in turn, halting the bai-ling out of unproductive companies in order to be able to concentrate all the resources availa-ble on a range of innovative areas within which our returning «skilled talents» could easily find a job. Thus, a transparent leadership is neces-sary in implementing Italian industrial policies.

Future governments should take on this respon-sibility, although the past ones have not done so.

Re-orienting our industrial policy, by promoting innovation and cutting off the so-called «dead branches», will inevitably lead to the closure of several enterprises, with severe consequences in terms of employment. In the long term, howe-ver, this will create new businesses employing qualified and talented personnel. Talented youth could accordingly be absorbed not only by medium-to-large sized companies but also by SMEs, traditionally more resistant to hiring graduates. For the newly emerging SMEs, in-deed, youth talent will be a major asset. This would also extend and strengthen the demand for young graduates, now almost a prerogati-ve of medium and large enterprises. The latter have however a limited weight in our country,

la pena di ricordare come il progetto preveda un incremento degli incentivi per le donne e per chi torna nel Sud dell’Italia.

Basterà, da solo? No, ovviamente. Si tratta piuttosto di un interessante battistrada. Per completarlo suggerisco di istituire, mediante una partnership pubblico-privato, un canale preferenziale per chi sceglie di rientrare in Ita-lia. Un sito web o una società di recruitment specializzata, che lavori con questi professio-nisti che pensano al rientro e con un bacino di aziende interessate ad assumerli. Ovviamente si dovrà garantire a questi giovani condizioni di salario, di trasparenza del percorso professiona-le che li aspetta e di responsabilità, pari almeno a quelle di cui godevano all’estero. Funzionerà?

Non subito, ma se si formasse un iniziale «ba-cino di eccellenza», composto da importanti multinazionali pronte a integrare in organico i talenti fuggiti, altre aziende potrebbero unirsi a stretto giro di posta, una volta intravisto il van-taggio economico del beneficio fiscale, nonché l’alta professionalità offerta.

Ben più difficili e radicali sono gli altri cam-biamenti necessari a ottenere la già esposta 2win situation: in primo luogo il governo e il mondo imprenditoriale dovranno indicare con chiarezza quale sarà la politica industria-le italiana di questa prima metà del secolo. Il che vuol dire — necessariamente — troncare i sussidi alle aziende e ai settori improduttivi o perdenti nella sfida con le potenze emergenti, per concentrare tutte le risorse disponibili su un ventaglio di aree innovative, all’interno delle quali i nostri skilled talents di ritorno potreb-bero facilmente trovare impiego. Serve dunque una leadership chiara nella politica industriale italiana: una responsabilità che i governi che arriveranno dovranno prendersi, a differenza di quelli precedenti. Reindirizzare la nostra po-litica industriale, spostandola sull’innovazione e tagliando i cosiddetti «rami secchi», porterà

— nell’immediato — alla chiusura di imprese e a pesanti conseguenze occupazionali, ma in un’ottica futura aiuterà la creazione di nuove imprese e faciliterà l’occupazione di personale qualificato, superando la tradizionale resistenza delle Pmi ad assumere laureati. Nuove e

inno-where small enterprises, often family-led and reluctant to hiring skilled workers, are still predominant. Whether the State and banking institutions are ready to support these prospects, in terms of a targeted supply of the required financial resources — without falling into the pervasive Italian parochialisms and conflicts of interest —, remains a moot point.

A third and even harder change to effect re-gards the cultural aspect. It will be necessary to overcome the commonsense assumption that under 40s are not ready to take on roles of re-sponsibility. Moreover, it will be an absolute necessity, requiring even special laws, to eli-minate definitively the typical Italian system of «personal recommendation» in the job mar-ket, in addition to rebalancing the tax system, thus relieving the full time employed from the suffocating heavy fiscal burden. Finally, it is indispensable to «educate» firms to provide their employees with stimulating career paths.

Their own historical «allergy» to talent should be overcome once for all. The workers’ char-ter will have to be redrafted as well, afchar-ter an adequate reinforcement of the risible welfare system to society’s most fragile sectors, among which are the young unemployed. The contrast between Italy and Northern European countries is stark, in this respect. Making the job mar-ket more flexible, but at the same time less in-secure, is also a priority, although it requires well-studied policies. The privileges enjoyed by an open-ended contract (basically meaning that almost half of Italy’s work force cannot be made redundant) provides an effective protec-tion against losing their job for those who are in full time employment but, paradoxically, is a barrier to employment for young job-seekers.

A fourth initiative would be to invest pu-blic resources in specifically tailored training courses — study and work experiences abroad

— for young people. Before entering the job market these training periods would be of fun-damental importance in paving the way for the development of our future elites. Spending at least six months outside Italy should become a conditio sine qua non in obtaining a degree, a

«must-do» opportunity to grow both from an

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vative Pmi, giovani o fondate da giovani, pun-teranno subito sul «talento» per crescere. In tal modo, si amplierebbe notevolmente il bacino di assorbimento dei laureati, per ora limitato alle medie e soprattutto grandi imprese. Le quali, per ovvie ragioni, presentano un’offerta di lavo-ro marginale rispetto al mercato complessivo, dove dominano al momento le piccole imprese, spesso padronali, e spesso in difficoltà nell’ac-cogliere skilled talents. Stato e istituti di credito sono pronti a sostenere la sfida di una ristruttu-razione del nostro sistema produttivo, mediante l’erogazione mirata di risorse che superi i mille campanilismi e conflitti di interesse?

Un terzo cambiamento, ancora più difficile, sarà necessariamente di tipo culturale: occorre-rà cancellare l’equazione giovane «under 40» = inadatto a ricoprire ruoli di responsabilità, che ha emarginato le nuove generazioni dai ruoli di comando; occorrerà combattere — se necessario anche con leggi straordinarie — il ricorso alla raccomandazione e alle conoscenze «all’italia-na», per estirpare definitivamente questo cancro dal nostro mercato del lavoro; sarà necessario riequilibrare il fisco, spostando dal lavoro di-pendente l’intero fardello della tassazione, che abbassa gli stipendi; occorrerà infine «educare»

le imprese a fornire percorsi di carriera chiari e trasparenti ai propri dipendenti qualificati, su-perando l’atavica allergia verso il talento. Fatto tutto ciò, si potrà pensare a riformare pure lo Statuto dei Lavoratori, non prima però di aver rafforzato le tutele del welfare nei confronti del-le fasce più deboli della società: per l’appunto i giovani, i quali al momento godono di reti di protezione risibili o inesistenti, quando si trovano senza lavoro. La differenza con i loro coetanei dell’Europa centrosettentrionale risulta stridente.

Rendere più flessibile ma — allo stesso tempo — meno insicuro il lavoro è una necessità, anche se la metodologia va studiata con cura: i privilegi di un contratto a tempo indeterminato (che significa la di fatto illicenziabilità per la metà della nostra forza lavoro) sono a tutt’oggi un’arma a difesa di chi è assunto, in presenza di un mercato quasi totalmente asfittico. Ma, paradossalmente, fini-scono col rendere proibitiva la prospettiva di un contratto stabile per i più giovani.

educational and personal perspective. No doubt the State would have to bear the costs, through grants and bursaries in line with the family’s income, but only by so doing will the future managerial class be ready to face globalisation in all its multifaceted aspects. This is a key step, in fact, on the way of «internationalising» the whole country.

The way ahead is long. In the light of the time wasted so far, it is critical that these initiatives are implemented soon, in order to see positi-ve results as speedily as possible. The rest of the world is not going to wait for Italy. Tens of thousands of young Italians, demoralized by a sclerotic, family-centred, geriatric (in a word, a

«stuck») country, have already decided to wait no longer. They packed up their suitcases and left for good, thus displaying their disagreement with their own country. If significant progress is made along the ways described above, in a few years this article — as I do hope — will be just devoid of its own rationale.

Un quarto cambiamento: investire sui giovani, destinando risorse pubbliche a periodi di studio e lavoro all’estero, specificatamente pensati per loro. È necessario che la nostra futura classe dirigente trascorra, prima di entrare nel mercato professionale, almeno sei mesi fuori dall’Italia.

Un’esperienza irrinunciabile, in grado di arric-chirli a livello cognitivo e formativo. Sei mesi all’estero dovranno divenire condizione sine qua non al fine di ottenere una laurea. Con ogni probabilità, ciò renderà necessario un esborso statale notevole, mediante borse di studio ta-rate sul reddito del giovane o della famiglia.

Ma porrà le basi per una futura classe dirigen-te globalizzata, in grado di «sprovincializzare»

definitivamente l’Italia.

Il percorso indicato è lungo. A complicare le cose aggiungiamo che — considerato il tempo perso — dovremo intraprenderlo immediata-mente, per completarlo in tempi rapidissimi. Il mondo non aspetta l’Italia. Decine di migliaia di giovani, stanchi di un Paese immobile, fami-listico e gerontocratico (in un aggettivo: «bloc-cato») hanno già deciso di non attendere oltre. E hanno espresso tutto il loro scarso gradimento verso il Belpaese, facendo le valigie.

Se questo percorso avrà successo, tra alcuni anni questo articolo non avrà come personal-mente spero più alcun senso.

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