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1.2. IL VALORE ECONOMICO

1.2.6. LA TEORIA DI KEYNES

La teoria keynesiana assume una certa rilevanza per la questione del valore grazie al concetto di interesse compreso nella medesima. Mentre nelle teorie neoclassiche si concepisce l’interesse come il prezzo del risparmio che contribuisce alla formazione del capitale e alla crescita del sistema, costituendo il prezzo di un fattore produttivo, secondo Keynes, invece, l’offerta di risparmio dipende dal reddito e non dal saggio d’interesse. Ne deriva la perdita della funzione equilibratrice del saggio d’interesse tra risparmio e investimento. Nel caso di un reddito molto alto e di considerevoli risparmi, gli investimenti sono insufficienti ad assorbire il risparmio formatosi.

Il reddito d’equilibrio, senza l’intervento della spesa pubblica è generalmente minore rispetto alla capacità produttiva e alla disponibilità lavorativa. Si evince la dannosità del risparmio in caso di sviluppo ordinato del sistema con piena occupazione che, invece, richiede un maggior consumo e l’interesse viene ora considerato come una rendita. Per contrastare le difficoltà neoclassiche, si sono riformulati i modelli di equilibrio economico generale aggiudicando posti e ruoli differenti al capitale, quando il processo economico viene rappresentato limitatamente alla formazione del capitale quale punto di partenza e d’arrivo del processo. Nella teoria neoclassica i punti di partenza e di arrivo sono rispettivamente i mezzi e gli scopi, tra loro eterogenei essendo i primi costituiti da risorse produttive e i secondi da consumi o capitali che non sono risorse produttive mentre nelle teorie moderne sia i mezzi che gli scopi tra loro omogenei sono rappresentati dal capitale e la teoria diventa uno studio dell’espansione del capitale nel tempo.

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Compare nuovamente l’idea, tipica dell’epoca ricardiana, della circolarità del processo produttivo considerando una molteplicità di beni e assumendo che il prodotto sia formato dagli stessi beni che compongono l’insieme dei mezzi di produzione. Ciascuna categoria economica è riportata al capitale e il concetto di capitale, cui si fa riferimento nelle nuove teorie, non è considerato né come il rapporto sociale di produzione né come un fattore particolare. Il capitale assume due diverse funzioni in due differenti momenti: da un lato, è indice della ricchezza ereditata dal passato e, dall’altro, è l’esito della produzione corrente. Si introduce una teoria dei prezzi con cui poter analizzare anche la teoria del valore nei modelli di accumulazione come quello formulato da J. von Neuman, alla fine degli anni Trenta, secondo il quale il capitale viene considerato come un insieme di beni, senza dover ipotizzare che i beni capitali siano dati in quantità determinate. La composizione del capitale non viene assunta come data bensì è un’incognita con la configurazione che assicura un saggio generale del profitto, in condizioni di equilibrio.

Tra le condizioni di equilibrio vi è la necessità di esercitare i processi produttivi a livelli tali che la quantità di un bene impiegata nei processi della produzione non sia maggiore della quantità resa disponibile da tutti i processi nel periodo precedente. Occorre, però, che per ogni bene vi sia un processo con un output maggiore dell’input. Inoltre, i rapporti tra i livelli dei processi sono costanti nel tempo, ossia sono tutti moltiplicati per uno stesso numero, denominato saggio d’espansione del sistema. Un’altra condizione di equilibrio è costituita dai prezzi. In ogni processo, infatti, in base ai prezzi si può individuare sia il valore degli inputs che degli outputs: il ricavo (valore degli outputs) comprensivo del saggio generale di profitto non è maggiore del costo (valore degli inputs) poiché in un contesto di concorrenza ogni processo deve realizzare un profitto non maggiore del saggio generale del profitto. Per l’equilibrio, inoltre, è necessario un legame tra il vincolo materiale imposto ai livelli dei processi e il vincolo concorrenziale imposto ai prezzi.

Molti studiosi, tra i quali von Neuman, hanno dimostrato che tutte queste condizioni possono essere soddisfatte contemporaneamente raggiungendo una situazione di equilibrio, in cui sono determinati i livelli dei processi produttivi, i prezzi, il saggio d’espansione e il saggio del profitto. Questi ultimi sono equivalenti poiché il saggio di espansione può assumere infiniti valori tra cui è individuabile un massimo, mentre il saggio del profitto può assumere infiniti valori tra cui si può individuare un minimo ed, essendo maggiore il valore massimo del saggio di espansione rispetto al valore minimo del saggio del profitto, emerge un insieme di valori comuni con un minimo e un massimo. Se si rendono nulli i prezzi dei beni liberi e i livelli dei processi senza profitto, entrambi i saggi fanno parte dei

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valori comuni e corrispondono. Per quanto concerne il valore del saggio di espansione, diventa importante permettere che sia la società nel suo complesso e non l’individuo singolarmente, a confrontare e valutare la ricchezza presente e futura. Da questo valore, infatti, dipende il sistema dei valori economici dei beni prodotti. Associando un sistema di prezzi con un saggio del profitto minimo, alla struttura di livelli produttivi massimizzanti il saggio di espansione, si parla di “dualità” ossia di contrasto di due principi: la soluzione connessa ai prezzi è “duale” di quella legata ai livelli produttivi e viceversa.

Nel modello di von Newman il processo economico è produttivo, il consumo è considerato un momento della produzione e la struttura della tecnologia prevede un prodotto netto che viene reinvestito nella produzione, realizzando una crescita bilanciata. Le proposizioni tra tutte le parti del sistema sono collegate alla condizione concorrenziale al fine di far coincidere il saggio di espansione con il saggio del profitto. Tuttavia, in questo modello non si considera l’innovazione tecnologica. Il sistema dei prezzi d’equilibrio di von Newman funge da supporto allo sviluppo massimo tanto che i prezzi devono riflettere la scarsità dei beni e, una volta definito il bilancio del processo basandosi sui prezzi, devono essere esclusi i processi che hanno un realizzo minore del saggio generale del profitto. I prezzi sono rappresentativi del rapporto di scambio tra le merci ma, in realtà, sono importanti per la natura di valori d’efficienza, ossia di massimo sviluppo.

Per la teoria neoclassica il capitale è considerato come uno strumento nei confronti del consumo. Infatti, il concetto di valore è connesso alla natura effettiva del capitale che è considerato come una “cosa” piuttosto che come un rapporto di produzione. Il capitale si presenta come fine a se stesso, cioè come inizio e termine del processo economico e il carattere strumentale del capitale viene individuato nella funzione storica della produzione capitalistica, secondo cui il capitale diviene strumento dello sviluppo della ricchezza materiale, vincolato internamente, che accumula le condizioni oggettive per l’uscita dall’alienazione. Sebbene ci si riferisca al processo accumulativo, il concetto di valore come indice di efficienza capitalistica non viene meno. Nonostante ciò, è stato un concetto di valore legato alla dualità dei processi di determinazione delle scelte ottimali. Il salario, nel modello di von Neuman, viene tradotto in valore dei mezzi di sussistenza ed è determinabile in base a quello dei mezzi produttivi nei molteplici processi produttivi. Inoltre, si fa riferimento all’espansione che potrebbe essere indefinita ma ci sono due principali ostacoli quali l’illimitata disponibilità di risorse naturali e l’aumento della popolazione attiva. La prima condizione è in contrasto con l’ipotesi della tecnologia costante tipica del modello, infatti, nel caso dell’impresa capitalistica che è innovativa e

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cerca di aumentare il profitto, le innovazioni permettono alle aziende di realizzare differenti guadagni rispetto alle altre, grazie alla rottura del sistema di valori di equilibrio. D’altro canto, però, le innovazioni originano un processo di sviluppo e si può arrivare ad una nuova condizione di equilibrio, come conseguenza delle modifiche avvenute e alla formazione di un sovrappiù.

Un ruolo di rilievo è svolto dalla concorrenza poiché, in una situazione di equilibrio, consente la distribuzione dei capitali tra le attività al fine di eguagliare il saggio del profitto. Oltretutto, nel processo di sviluppo emerge un altro tipo di concorrenza da parte delle imprese innovatrici nei confronti di quelle tradizionali: si distinguono, infatti, la concorrenza statica, operante all’interno di un equilibrio e la concorrenza dinamica, che conduce il sistema fuori dall’equilibrio preesistente al fine di realizzare un nuovo equilibrio. Le innovazioni, generando la concorrenza dinamica, cambiano la condizione di equilibrio della concorrenza statica, travolgendo il sistema di valori corrispondente e differenziando i saggi di profitto, ottenendo alla fine una condizione di concorrenza statica con nuovi sistemi di valore. Secondo Schumpeter, questo schema dello sviluppo è caratteristico di un’economia di mercato mentre non funziona ugualmente nell’economia pianificata.