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La vicenda di un mito.

UN FRAMMENTO SULL’AMERICAN

3. La vicenda di un mito.

Le premesse di Bentham al Fragment on Government, la sua volontà di muovere guerra a quella «anthipaty to reformation» che caratterizza l’opera di Blackstone, acquistano un decisivo spessore politico quando vengono lette alla luce della tensione tra ordine sovrano e rivoluzione, tra spazio del potere politico e tempo del mutamento sociale, prodotta dall’American Controversy. Introducendo l’ipotesi della convenzione e indicando la possibilità della riforma, Bentham fa emergere la necessità di pensare le istituzioni politiche nell’ottica della trasformazione, poiché ciò è necessario alla sussistenza stessa del governo, alla sua capacità di riprodursi appropriandosi del futuro. L’innovazione della forma politica, come possibilità e come urgenza, occupa una posizione centrale nel suo discorso costituzionale, ma si scontra con le retoriche dominanti nel quadro del dibattito transatlantico, nel quale l’apologia della costituzione britannica è piegata di volta in volta alla giustificazione della resistenza o delle politiche di accentramento imperiale. Il compito di Bentham è quello di abbattere il mito del “governo perfetto”, niente più che una «stravagante supposizione», e in questo senso la critica a Blackstone è in qualche modo un percorso scontato, soprattutto tenendo presente la straordinaria diffusione dei Commentaries e la loro influenza non solo in Inghilterra ma anche nelle colonie nordamericane121. Sotto questa luce

121 «His Commentaries where the contribution (unintended, indeed, but none the less actual and real)

vanno analizzati i due capitoli centrali del Fragment, intitolati rispettivamente

Forms of Government e The British Constitution. Si tratta di «temi ricorrenti»

nella storia del pensiero politico122; affrontandoli, Bentham si inserisce,

polemicamente, nel solco di una tradizione tesa a stabilire quale sia il governo migliore, sintetizzata dai Commentaries nell’esplicita prospettiva di sancire l’eccellenza del “governo misto” inglese come forma capace di garantire la stabilità e la continuità dell’ordine politico meglio di qualunque altra. A questa conclusione Blackstone perviene intrecciando i diversi momenti di una riflessione secolare, riferendosi alla politica antica di Cicerone e Tacito come a Locke e Montesquieu, primo “esportatore” del mito della Constitution d Anglaterre. Si tratta di riferimenti teorici dei quali Bentham prende implicitamente atto, nel momento in cui nega al discorso di Blackstone ogni originalità: «our Author has copied»123, commenta infatti

dopo aver analizzato le pagine dell’introduzione dei Commentaries dedicate alla costituzione britannica. Queste pagine vanno dunque ripercorse prima di addentarsi nella critica benthamiana, chiarendo che non si pretende in questo modo di esaurire la complessità del discorso costituzionale di Blackstone124. È

anzi necessario registrare che l’Introduzione dei Commentaries è talvolta contraddittoria rispetto all’analisi condotta nel corpo dell’opera125 che però

Bentham trascura, teso com’è a sottolineare la sua funzione celebrativa e “ideologica”. In queste pagine, si cercherà di mettere in luce il ruolo del discorso blackstoneano sulla costituzione nel seno della controversia americana, sottolineando in modo particolare quella alternativa tra governo American colonists». È importante considerare che figure come James Otis, Samuel Adams e John Adams conoscevano l’opera di Blackstone ed erano i principali animatori delle assemblee coloniali (E. Barker, Blackstone on British Constitution, in Id., Essays on Government, Oxford, Clarendon Press, 1956, pp.120-153, cit., p. 128) e che il discorso di Blackstone di fatto condensava posizioni diametralmente opposte: «the reader may, at his choice, take either the doctrine of sovereignty which was pressed by George III and the British Parliament against the cause of American colonists, or the doctrine of Natural Law and of Natural rights to life, liberty and happiness, which was pressed by Jefferson against Britain in the Declaration of Independence» (Ivi, p. 136).

122 Così N. Bobbio, La teoria delle forme di governo nella storia del pensiero politico, Torino, Giappichelli,

1976, p. 1.

123 J. Bentham, Fragment, cit., p. 473.

124 A tal riguardo si rimanda a E. Barker, Blackstone, cit., in particolare pp. 141-142. Analizzando i

Commentaries di Blackstone, Carrese polemizza con Bentham e i benthamiti per non aver compreso né preso sul serio lo spirito di Blackstone. In particolare, l’Autore afferma che in realtà è presente nei Commentaries un’attitudine riformista che però, dal punto di vista di Bentham e della sua aspirazione a un maggior progresso, non poteva che risultare “moderata” (P.O. Carrese, The Cloaking of Power. Montesquieu, Blackstone and the Rise of Judicial Activism, Chicago and London, The University of Chicago Press, 2003, p. 120). Con queste considerazioni Carrese consente di ricordare ancora una volta che in queste pagine non si tratta di fare emergere il “vero” Blackstone dietro alla critica di Bentham. Il punto è registrare il carattere politico di questa critica, e perciò politicamente vanno intese le forzature eventualmente compiute nel Fragment.

125 In particolare, sul rapporto tra sovranità parlamentare e prerogativa regia si veda ancora Barker,

regolare e corrotto, da una parte, e concezione assoluta del potere sovrano, dall’altra, che lo rendevano “fruibile” per entrambe le parti coinvolte nel conflitto.

Proprio una concezione assoluta della sovranità muove l’intera riflessione di Blackstone sulle forme di governo, la cui differenziazione è determinata dalla particolare collocazione del diritto di fare le leggi. Rifacendosi espressamente agli «scrittori politici dell’antichità», egli propone la tripartizione classica, costruita alla luce del criterio di «chi governa»126:

democrazia, aristocrazia, monarchia. Tutte le altre forme «are either corruption

of, or reducible to, these three»127. Rispetto alla tradizione antica, tuttavia,

Blackstone introduce un particolare criterio qualitativo che non serve tanto a stabilire in che modo le tre forme regolari possano corrompersi ma risponde piuttosto all’esigenza di chiarire perché il governo sia collocato nelle mani di uno, di pochi, o di molti. A questo riguardo, egli ritiene che il genere umano concordi sulla necessità di affidare il potere supremo a coloro che siano detentori di quelle qualità la cui perfezione rispecchia gli attributi di Dio, ovvero saggezza, bontà e potere:

wisdom, to discern the real interest of the community; goodness, to endeavour always to pursue that real interest; and strength, or power, to carry this knowledge and intention into action. These are the natural foundations of sovereignty, and these are the requisites that ought to be found in every well constituted frame of government128.

Il potere sovrano, dunque, deve essere riposto nelle mani di coloro che, secondo l’opinione dei fondatori data espressamente o desunta dalla loro tacita approvazione, detengono le tre qualità “divine”. Questo criterio qualitativo, tuttavia, se da una parte può giustificare l’istituzione delle diverse forme di governo a partire dai particolari vantaggi che ciascuna di esse offre, dall’altra non esaurisce i requisiti necessari a garantire una forma di governo “ben costituita”. Blackstone introduce così quel principio della

126 A proposito della riflessione tradizionale sulle forme di governo si rimanda al classico di N.

Matteucci, Le forme di governo, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2004. Nelle premesse, vengono illustrati i fundamenta divisionis sulla base dei quali sono comunemente costruite le diverse tipologie, «innanzitutto ‘chi governa’ e, in secondo luogo, ‘come governa’», e presi in considerazione quei pensatori che, passando dalla scienza alla sociologia politica «indicano anche il ruolo delle forze sociali nei diversi generi (e anche specie) di governo» (Ivi, pp. 11-12).

127 «The political writers of antiquity will not allow more than three regular forms of government;

the first, when the sovereign power is lodged in an aggregate assembly consisting of all the free member of a community, which is called a democracy; the second, when it is lodged n a council, composed of select members, and then it is styled an aristocracy; the last, when it is entrusted in the hands of a single person, and then it takes the name of a monarchy» (W. Blackstone, Commentaries, cit., p. 36).

“separazione dei poteri” formalmente decisivo, a partire da Locke e attraverso Montesquieu129, a distinguere un governo regolare da uno

tirannico o dispotico, nei quali la congiunzione di volontà sovrana e potere di esecuzione si traduce in arbitrio: «all the other powers of the state must obey the legislative power in the execution of their several functions, or else the constitution is at an end»130. Muovendo dalla tripartizione classica delle

forme di governo come espressioni particolari delle qualità divine e dalla dottrina della separazione dei poteri, dunque, Blackstone analizza i particolari vantaggi e svantaggi di ciascuna forma regolare: la democrazia è così caratterizzata dalla public virtue o bontà delle intenzioni, un certo patriottismo o spirito pubblico capaci di inclinare l’azione del governo verso ciò che è «right and just», sebbene d’altra parte le assemblee popolari siano spesso «foolish in their contrievance and weak in their execution». L’aristocrazia si distingue invece dalle altre forme di governo per la sua saggezza, poiché è composta dai cittadini più esperti, ma è al contempo meno onesta di quanto non sia una repubblica e meno forte di una monarchia. Quest’ultima, infine, è la forma più potente, dal momento che l’unione del potere legislativo e di quello esecutivo rafforza il nerbo del governo, ma questa forza può costituire un pericolo quando sia utilizzata con propositi oppressivi131. In breve, ciascuna forma di governo può soddisfare

meglio delle altre una specifica esigenza: la democrazia è la più adatta a

129 Sullo sviluppo della dottrina lockeana da parte di Montesquieu si rimanda a S. Cotta,

Montesquieu e la libertà politica, in D. Felice, Leggere l Esprit des Lois. Stato società e storia nel pensiero di Montesquieu, Napoli, Liguori, 1998, pp. 103-136, in particolare 114 e sgg. Secondo Cotta, Montesquieu assume la teoria della divisione funzionale dei poteri esposta da Locke rielaborandola in una teoria della separazione dei poteri «del tutto innovativa», nel senso che la libertà politica è considerata nello Spirito delle leggi una conseguenza della «condizione paritetica di poteri diversi e non della loro gerarchia, delineata da Locke» (Ivi, p. 120). Si veda anche a tal riguardo A. Postigliola, Montesquieu. La ragione, la natura, i governi, in Id., La città della ragione, Roma, Bulzoni, 1992, pp. 45-108, p. 95, dove nell’analisi della dottrina montesquieuviana della separazione dei poteri è sottolineato anche l’influsso di una concezione aristotelica degli elementi che formano una «buona Costituzione». Infine, si rimanda a Tortarolo, il quale sottolinea che la riflessione costituzionale di Montesquieu prende le mosse dalla convinzione che «esiste nell’uomo e nelle istituzioni un’insopprimibile tendenza a prevaricare gli altri, ad abusare del proprio potere finché non incontra limiti», e per questo si ha libertà solo laddove il potere «è controbilanciato e frenato nel suo moto espansivo» (E. Tortarolo, illuminismo. Ragioni e dubbi della modernità, Roma, Carocci, 1999, p. 126).

130 W. Blackstone, Commentaries, cit., p. 37.

131 «In a democracy, where the right of making laws resides in the people at large, public virtue, or

goodness of intention, is more likely to be found, than either of the other qualities of government. Popular assemblies are frequently foolish in their contrivance, and weak in their execution; but generally mean to do the thing that is right and just, and have always a degree of patriotism or public spirit. In aristocracies there is more wisdom to be found, than in the other frames of government; being composed, or intended to be composed, of the most experienced citizens; but there is less honesty than in a republic, and less strength than in a monarchy. A monarchy is indeed the most powerful of any, all the sinews of government being knit together, and united in the hand of the prince; but then there is imminent danger of his employing that strength to improvident or oppressive purposes» (Ibidem).

definire il fine della legge, l’aristocrazia a individuare i mezzi più adeguati al perseguimento di quel fine, la monarchia a mettere in azione quei mezzi.

Queste conclusioni, costruite attraverso una particolare declinazione della riflessione di Montesquieu sulla natura del governo repubblicano e i vantaggi legati alla componente monarchica della costituzione inglese132, sono solo

propedeutiche rispetto all’analisi della costituzione britannica fornita da Blackstone, introdotta in modo decisamente singolare:

Thus these three species of government have, all of them, their several perfections and imperfections. […] And the ancients, as was observed, had in general no idea of any other permanent form of government but these three: for though Cicero declares himself of opinion, ‘esse optime constitutam

rempublicam, quae ex tribus generibus illis, rege, optimo, et populari, sit modice confusa’; yet Tacitus treats this notion of a mixed government, formed out of

them all, and partaking of the advantages of each, as a visionary whim, and one that, if effected, could never be lasting secure. But, happily for us of this island, the British constitution has long remained, and I trust will long continue, a standing exception to the truth of this observation133.

Blackstone non pone l’accento sull’opinione di Cicerone e neppure – come ci si sarebbe potuti attendere – cita Polibio, uno dei principali sostenitori, nell’antichità, dell’eccellenza del governo misto. Paradossalmente è la posizione critica di Tacito che l’autore dei Commentaries assume come “vera”, forse nella prospettiva di esaltare ulteriormente il carattere eccezionale della costituzione mista inglese, il cui successo è testimoniato dalla sua lunga durata e prodotto da una conformazione del tutto peculiare:

For, as with us the executive power of the laws is lodged in a single person, they have all the advantages of strength and dispatch, that are to be found in the most absolute monarchy: and as the legislature of the kingdom is

132 Così, il popolo «è ammirevole nello scegliere coloro ai quali deve affidare qualche parte della

propria autorità» e mostra una «capacità naturale di discernere nel merito», sebbene non sia adatto ad amministrare da sé, e spesso è troppo o troppo poco attivo per portare avanti gli affari (Montesquieu, Spirito delle leggi, Milano, Rizzoli, 1999, 2 voll., cit., vol. I, II, ii, pp. 156-157). Per quanto riguarda il potere esecutivo, esso deve essere nelle mani di un monarca «perché questa parte del governo, che ha quasi sempre bisogno di un’azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi; mentre ciò che dipende dal potere legislativo è spesso ordinato meglio da parecchi anziché da uno solo» (Ivi, XI, vi, p. 314).

133 W. Blackstone, Commentaries, cit., p. 37. Sulla celebrazione della costituzione mista in Inghilterra

si veda anche J.G.A. Pocock, Il momento machiavelliano. Il pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone. Vol. II. La «repubblica» nel pensiero politico anglosassone, Bologna, il Mulino, 1980, pp. 625 e sgg., in particolare p. 627). Pocock sottolinea che il governo misto non è presentato come «un’emanazione diretta di un’autorità imposta per virtù divina o per naturale forza di ragione» ma come «il prodotto della prudenza umana» nel quale «si mescolano tre tipi di governo (gli unici tre di cui si pensa possibile l’esistenza), ognuno dei quali possiede le sue virtù e i suoi difetti peculiari» (Ibidem).