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Il linguaggio dei diritti.

Fino a questo momento la ricostruzione dell’American Controversy ha privilegiato la dimensione costituzionale del dibattito transatlantico, gettando luce sul problema di definire in termini di diritto la relazione tra le colonie e la madrepatria e cercando di mostrare le differenti visioni della costituzione britannica che in esso si esprimevano. Tuttavia, è necessario tenere presente che dentro al linguaggio della costituzione adottato dagli americani all’indomani dell’approvazione dello Stamp Act sono presenti elementi di forte innovazione che mettono in discussione alla radice il rapporto imperiale. È bene chiarire che non si tratta di un processo in due tempi, non si può indicare in modo definitivo una trasformazione del discorso costituzionale in discorso rivoluzionario, sebbene sia innegabile che il Boston

Tea Party e conseguente repressione armata dei ribelli rappresentino un

momento di svolta165. Piuttosto, ciò che colpisce è che la rottura si consuma

nel solco della continuità, e si esprime in un movimento che da un’interpretazione dei diritti in senso giusnaturalistico giunge a determinare una concezione radicalmente nuova e moderna della società, della costituzione, del governo. Quella che si delinea sulla sponda nordatlantica dell’Impero britannico è una narrazione dell’esperienza coloniale tesa tra passato e futuro, una narrazione che appellandosi alla tradizione imperiale la reinterpreta, e reinterpretandola la trasforma.

Ciò che colpisce, già nel 1768, è che gli americani non si limitano a giustificare le proprie lagnanze sulla base della Common Law, degli statuti risalenti ai tempi della colonizzazione e delle Royal Charters istitutive delle colonie. Sempre più, infatti, il valore della costituzione britannica è fatto coincidere con la sua corrispondenza ai dettami della legge di natura e di

165 Per attenersi alla periodizzazione proposta nel classico studio di McIlwain, solo dopo il 1774 gli

americani si sarebbero appellati al diritto naturale non più «in quanto parte della costituzione britannica, ma come espressione dei diritti dell’uomo in generale». Secondo McIlwain, «i mutamenti successivamente intervenuti nella dottrina costituzionale americana […] mostrano un continuo sviluppo; e in questo sviluppo i diversi stadi sono chiaramente contrassegnati. Dapprima, le colonie si appellarono alle Carte. […] Questo periodo tramontò definitivamente nel 1765, quando dopo un lungo ed esauriente dibattito il Congresso dello Stamp Act decise di basare le sue pretese sopra i diritti più ampi che avevano i coloni in quanto cittadini inglesi; […] il secondo periodo è contrassegnato dalla comune tesi whig che la costituzione inglese, fondata sul diritto naturale, era una costituzione libera, capace di garantire a tutti i suoi soggetti, dovunque potessero essere, i diritti fondamentali necessariamente connessi a un governo libero. Il terzo e ultimo periodo di questa controversia costituzionale si fondò sull’argomentazione, tratta dalla costituzione dell’Impero, quale venne sostenuta nella dichiarazione del primo Congresso Continentale del 1774. Seguì poi la Rivoluzione e il finale appello – non costituzionale, bensì politico – al diritto naturale, non in quanto parte della costituzione britannica, ma come espressione dei diritti dell’uomo in generale. Un appello che veniva rivolto non più agli inglesi ma al mondo intero» (C.H. McIlwain, La Rivoluzione americana, cit., pp. 120- 121).

Dio. Siamo nel 1768 quando i rappresentanti della provincia di Massachussets’ Bay affermano:

If in all free state, the constitution is fixed, and the supreme legislative power of the nation from thence derives its authority; can that power overlap the bounds of the constitution, without subverting its own foundations? If the remotes subjects are bound by ties of allegiance, which this people and their forefathers have ever acknowledged, are they not by the rules of equity entitled to all the rights of that constitution, which ascertains and limits both sovereignty and allegiance? If it is an essential unalterable right in nature, engrafted into the British constitution as a fundamental law, and never held sacred and irrevocable by the subjects within the realm, that what is a man’s own is absolutely his own, and that no man hat a right to take it from him without his consent; may not the subjects of this province, with a decent firmness, which has always distinguished the happy subjects of Britain, plead and maintain this natural constitutional right?166

Il ricorso al linguaggio giusnaturalistico non esprime ancora il portato rivoluzionario che avrebbe assunto all’indomani degli Intolerable Acts, ma non può neppure essere semplicemente ricondotto nel solco della classica interpretazione whig della costituzione affermatasi all’indomani del 1688167.

Secondo quest’ultima, la rivendicazione dei diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà non poteva in nessun caso sovvertire il rule of law, dal momento che solo la legge poteva difendere gli uomini dal dominio della libertà arbitraria. Inoltre, la continuità tra libertà e rule of law coesiste pienamente, nella lettura whig, con una concezione della sovranità come potere supremo, irresistibile e assoluto, necessario a ogni Stato ordinato e collocato nel legislativo formato da re, lords e commons168. Nel linguaggio dei

coloni questi due assi portanti del discorso whig vengono progressivamente rovesciati: da una parte, i diritti naturali sono considerati il presupposto e non il prodotto della legge; dall’altra, di conseguenza, il potere sovrano perde il suo carattere di assolutezza per essere vincolato da quei diritti che ne costituiscono il principio e il fine. La conseguenza è una sorta di “innovazione discorsiva” che di fatto può essere considerata l’espressione

166A letter to the Right Hon. The Marquis of Rockingham, 22 gennaio, 1768, in True Sentiments, cit., p.

33.

167 Così appunto McIlwain (Ibidem). Sembra essere piuttosto significativa a tal riguardo la

constatazione di Baylin, che mette in luce come pochi dei pamphlettisti del tempo accettassero la Gloriosa rivoluzione come soluzione finale ai problemi politici che si trovavano ad affrontare (B. Baylin, The Ideological Origins, cit., p. 47). Così anche Zuckert: «Despite the fact that the principles of the Glorious Revolution were container in documents whose very names contribute to the idea that the Americans were following in the wake of their English predecessors, the Americans differed from them in their clear commitment to the idea of rights» (M.P. Zuckert, Natural Rights and the New Republicanism, Princeton, Princeton University Press, 1994, p. 5).

della specifica esperienza della costituzione che aveva caratterizzato la vita delle colonie.

Per sottolineare ancora in che modo quell’innovazione si sia prodotta in un quadro di continuità col passato, bisogna considerare che nel 1768 i coloni guardano ancora alla svolta della Gloriosa come momento storico dirimente nella costituzione dei loro diritti di English subjects, affermando che proprio nella carta concessa dopo la rivoluzione fosse contemplato il principio «which your Majesty’s subjects within the realm have ever held a most sacred right, of being taxed only by representatives of their own free election»169. Nello stesso tempo, però, sembra che la dimensione storica della

costituzione non sia più così rilevante di fronte all’affermazione che il diritto di proprietà «have an existence even in the savage state of nature […] and if property is necessary for the support of savage life, it is by no means less so in civil society»170. La “naturalizzazione” dei diritti corrisponde così a una

loro “eternizzazione”, arma importante contro le pretese avanzate dal Parlamento: dal momento che la legge di natura dalla quale quei diritti discendono ha carattere immutabile, infatti, è chiaro che mai gli abitanti delle colonie avrebbero potuto cedere ad alcun potere sovrano il diritto di disporre della loro vita, libertà e proprietà senza il loro consenso171. In questo modo, la

legge di natura e di Dio assume una duplice valenza. Da una parte, essa è assunta come criterio superiore – rispetto alla legge e al potere sovrano – sulla base del quale fissare i diritti degli americani e giudicare della legittimità dell’azione del parlamento britannico. Dall’altra, essa è incorporata (engrafted) nella costituzione, dandosi come parte integrante del “quadro giuridico” al quale i coloni fanno riferimento per giustificare la propria azione172: «the spirit of the law of nature an nations supposes that all the free

subjects of any kingdom are entitled equally to all the rights of the

169 Così l’assemblea di Massachusset’s Bay nella petizione indirizzata al re del 20 gennaio 1768 (in

True Sentiments, cit., p. 7).

170 A Letter to Dennis De Bert, Esq. Agent for the House of Representatives, 12 gennaio 1768, in True

Sentiments, cit., p. 63.

171 Così i delegate riuniti nel primo Congresso continentale che dichiarano i diritti degli abitanti

delle colonie inglesi del nord America, derivati «by the immutable laws of Nature, the principles of English Constitution, and the several charters or compact. […] They are entitled to life, liberty and property, and they have never ceded to any sovereign power whatever, a right to dispose of either without consent» (Extracts, cit., pp. 3-4).

172 È ancora McIlwain a sottolineare che, in una discussione che non vuole andare oltre il campo

costituzionale, l’importanza del ruolo del diritto naturale «si riduce al problema di vedere se non sia “innestato nella costituzione inglese”» (C.H. McIlwain, La Rivoluzione Americana, p. 19). A partire da un simile approccio, sarebbe dunque necessario distinguere «(a) il diritto di natura, inteso come una giustificazione legale e non meramente politica, (b) i principi “fondamentali” del common law d’Inghilterra, e (c) una possibile combinazione di questi due, per cui il diritto di natura sarebbe “incorporato nella costituzione britannica”» (Ivi, p. 120).

constitution»173, la cui gloria «has its foundation in the Law of God and

nature»174.

In questo modo, è evidente, lo stesso concetto di costituzione subisce una decisa trasformazione. Non si tratta più dell’organizzazione costituita – cioè esistente – delle istituzioni di governo, leggi e consuetudini insieme ai principi e agli scopi che le animavano, poiché sempre più l’accento è posto sulle leggi e norme fondamentali, quegli stamina vitae che non potevano in alcun modo essere infranti175. Sempre più ci si muove verso una concezione

moderna della costituzione che, in continuità con la dottrina di Vattel, distingueva tra la costituzione e il potere legislativo, che da essa dipendeva e alla quale era inferiore, e che anticipa le innovazioni introdotte dal costituzionalismo americano del XIX secolo176. La trasformazione del concetto

di costituzione è particolarmente rilevante nell’ambito della presente ricerca. Più avanti si cercherà di mostrare che proprio questa “confusione” tra la costituzione britannica intesa come insieme di leggi statutarie e norme consuetudinarie e la law of nature come “criterio trascendente di giustizia” costituisce la ragione politica della distinzione tra le figure dell’Expositor e del

Censor che apre le pagine del Fragment on Government. Una distinzione che

riposa proprio sulla necessità di separare le due dimensioni, quella dell’essere e quella del dover essere, e sulla quale Bentham avanza la pretesa di fondare scientificamente la giurisprudenza e, con essa, la propria concezione del governo177. La definizione del metodo, come si vedrà, corrisponde

precisamente al tentativo di delegittimare il ricorso alla legge naturale per sottrarre la costituzione a ogni trascendenza e, con essa, a ogni arbitrio interpretativo, e per stabilire al contempo su basi utilitaristiche i criteri della critica alla costituzione stessa.

La modernità introdotta dagli americani nel solco della tradizione attraverso l’adozione del discorso dei diritti naturali, in ogni caso, non investe solo il concetto di costituzione. Quello che muta in modo significativo è il soggetto politico che assume il discorso dei diritti, un individuo moderno capace di scompaginare l’ordine sociale dell’antico regime britannico. In questo passaggio si esprime il carattere rivoluzionario della fondazione giusnaturalistica della costituzione, poiché proprio il movimento dalle

English Liberties ai diritti inalienabili di ogni uomo fa progressivamente dei

diritti naturali il principio identificativo del popolo intero, non più uno degli

173 Petizione indirizzata al re del 20 gennaio 1768, in True Sentiments, cit., p. 13. 174 Ivi, p. 15.

175 B. Bailyn, The Ideological Origins, cit., pp. 67-69. 176 G. Stourzh, Changing Meanings, cit., p. 45 e p. 47. 177 J. Bentham, Fragment, cit., pp. 397-398.

estates del regno ma soggetto titolare della sovranità178. La pamphlettistica

presa in esame mostra con chiarezza che tale radicalizzazione si esprime soprattutto dopo il 1774, quando sempre più decisa è la rivendicazione agli americani degli «inherent rights of human Nature»179, diritti inalienabili

sanciti «by the Law of Nature» sulla base dei quali invocare la sovranità popolare180. Ai «rights of men»181 si richiama il primo Congresso Continentale

riunito a Filadelfia per giustificare la propria resistenza al parlamento britannico, e i diritti «inherent and unalienable from the person of the subject» sono ormai una vera e propria parola d’ordine quando, nel 1776, si assiste al trionfo dell’interpretazione radicale del discorso giusnaturalistico di matrice lockeana condensata nelle Observations di Richard Price182 e la

Unanimous Declaration of the Thirtheen United States of America sancisce la

necessità di dissolvere «the political band which have connected them with another [people], and to assume the powers of the earth, the separate and equal station to which the laws of Nature and Nature’s God entitle them»183.

178 «Il diritto naturale forniva una legittimazione più cogente e più unificante di una storia

mitologica e al tempo stesso apriva la strada alla costruzione del popolo attraverso idee già elaborate dal contrattualismo e dall’universalismo illuminista che, filtrate dall’ideale repubblicano del popolo virtuoso […] consentirono agli americani di sentirsi parte di una comunità che era una, non in quanto negava identità e storia particolari, ma perché le trascendeva attraverso un vincolo razionale, self evident» (T. Bonazzi, Creare un popolo. Le perplessità della modernità politica e la Rivoluzione americana, in Raffaella Gherardi (a cura di), Politica, consenso, legittimazione. Trasformazioni e prospettive, Roma, Carocci, 2002, pp. 123-139, cit., p. 137).

179 [M. Robinson, Baron Rokeby], Considerations on the Measures Carrying on with Respect to the British

Colonies in North America, London, re-printed in Boston, Eddes and Gill, 1774, p. 7.

180 J. Cartwright, American Independence, the Interest and Glory of Great Britain, (London, 1774),

Philadelphia, Robert Bell, 1776, pp. 34-35. Il pamphlet di Cartwright è l’unico tra quelli utilizzati in queste pagine che non compare in nessuno dei pamphlets lindiani. Il suo interesse, tuttavia, riposa sul rapporto che in seguito Bentham avrebbe maturato con il suo autore nell’ambito del movimento per le riforme parlamentari ma anche sulla questione coloniale del New South Wales. Si vedano a riguardo le lettere di J. Cartwright a J. Bentham, 29 agosto 1811; J. Bentham a J. Cartwright, 30 agosto 1811; J. Cartwright a J. Bentham, 6 settembre 1811, in Works, vol. x, cit., pp. 463-466 e J. Cartwright a J. Bentham, 17 gennaio 1821; J. Carwright a J. Bentham, 18 febbraio 1821; J. Bentham a J. Carwright, 18 febbraio 1821; J. Bentham a J. Carwright, 4 aprile 1821, Ivi, pp. 522-523. Su John Cartwright si veda J. E. Bradley, Religion, Revolution and English Radicalism. Nonconformity in Eighteenth Century Politics and Society, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, in particolare pp. 160 e 357.

181Extracts, cit., p. 2.

182 «The principles of which I have argued from the foundation of every state as far as it is free, and

are the same with those taught by Mr. LOCKE and the writers on civil liberty who have been hitherto

most admired in this country». (R. Price, Observations, cit., p. 3).

183The Unanimous Declaration of the Thirteenth United States of America. La molteplicità di riferimenti

ai diritti naturali consente di mettere in luce alcuni dei limiti di uno sguardo esclusivamente costituzionale alla Rivoluzione americana, una chiave di lettura riveste comunque nell’ambito della storiografia un’innegabile importanza. Per McIlwain, ad esempio, «per tutto il tempo in cui l’opposizione americana, nel denunciare le ingiustizie e i torti patiti, rimase sul terreno costituzionale, non fu in alcun modo rivoluzionaria, e nel momento in cui divenne rivoluzionaria, cessò di essere costituzionale» (C. H. McIlwain, La Rivoluzione Americana, cit., p. 9); egli ridimensiona di conseguenza l’importanza del diritto naturale, che si ridurrebbe «al problema di vedere se il diritto di natura non sia innestato nella costituzione britannica» (Ivi, p. 18). Quest’ultima considerazione incontra l’accordo di

L’effetto più immediato di questa “trasformazione” corrisponde a una parallela trasformazione dell’idea di rappresentanza che si afferma nei territori d’oltremare. All’indomani dell’approvazione dello Stamp Act, il principio di matrice lockeana no taxation without representation risuona incessantemente nelle colonie. La sua garanzia si ritrova, in primo luogo, nelle Charters, attraverso le quali tale diritto era stato conferito dal sovrano nella consapevolezza che i sudditi d’oltreoceano non potevano essere rappresentati nel Parlamento britannico a causa della distanza184. Anche in

questo caso, non è possibile trascurare la matrice tradizionale di questo discorso, che affondava le proprie radici nella Gloriosa Rivoluzione e, ancor prima, nella forma di rappresentanza di stampo medievale. Quest’ultima era stata caratterizzata da un legame stretto tra i rappresentanti locali e i loro costituenti, dei quali i primi erano “procuratori”, impegnati a tutelarne gli interessi dei secondi in cambio di contributi alle corti reali del Parlamento. Tra il XV e il XVI secolo, tuttavia, la pratica della rappresentanza era mutata e i rappresentanti erano legati ai commons of the land: il parlamento incorporava simbolicamente lo Stato, esso era la nazione e i suoi membri esprimevano virtualmente, se non effettivamente, l’interesse del reame intero, oltre a quello dei singoli gruppi che li avevano nominati185.

Questa trasformazione, tuttavia, non ebbe in America gli stessi effetti conosciuti nella madrepatria, poiché la grande diffusione della proprietà nelle colonie corrispondeva a una pari diffusione dello statuto di freeman e dunque a un’estensione del diritto alla rappresentanza che – ovviamente tra i J.P. Reid, secondo il quale «Natural Law simply was not as important during the prerevolutionary controversy as many historians have assumed». Reid avanza dieci diversi argomenti orientati a dimostrare che è necessario, piuttosto, guardare al carattere «costituzionale» della disputa basandosi su «government resolutions, petitions and remonstrances», dal momento che «appeals to natural law more often than not were appeals to constitutional law» (J.P. Reid, The Irrelevance of the Declaration, in H. Hartog (ed. by), Law in the American Revolution and the Revolution in the Law. A Collection of Review Essays on American Legal History, New York and London, New York University Press, 1981, pp. 46-89, cit., pp. 48, 50 e 68). La rassegna dei pamphlets portata avanti nell’ambito di questa ricerca, tuttavia, induce ad assumere con maggiore convinzione posizioni quali quella espressa da Bailyn, per il quale è necessario tenere presente che quanto affermato dai coloni «was familiar, in a general way, to reformers and illuminate everywhere in the western world; yet it was different. words and concepts had been reshaped in the colonists’ minds, in the course of a decade of pounding controversy – strangely reshaped, turned in unfamiliar directions, toward conclusions they could not themselves clearly perceived» (B. Bailyn, The Ideological Origins, cit., p. 161). Così, anche Bonazzi, che mette in luce l’inconciliabilità degli argomenti adottati dalle due parti anche al di là della sola differenza in termini di interpretazione costituzionale: se la posizione sostenuta dagli americani «aveva sicure basi nella tradizione costituzionale in quanto difendeva la limitazione del potere politico attraverso principi giuridici fondamentali, […] tuttavia essa forzava i termini dell’interpretazione costituzionale corrente, e quindi del consenso politico nel regno; ma soprattutto, poneva problemi che alla stessa tradizione costituzionale erano estranei» (T. Bonazzi, Un «Costituzionalismo» rivoluzionario. Il Demos Basileus e la nascita degli Stati Uniti, in «Filosofia Politica», n. 2, 1991, pp. 283-302, p. 292).

184 Petizione al re del 20 gennaio 1768, in True Sentiments, p. 20. 185 B. Bailyn, The Ideological Origins, cit., p. 163.

maschi bianchi – era generalizzata fino a rasentare l’universalità186.

L’autonomia storicamente esercitata dalle città coloniali, inoltre, spingeva gli abitanti rifuggire ogni identificazione con il governo centrale legando quanto più possibile i rappresentanti agli interessi locali187.

Questa concreta esperienza della costituzione è in grado di motivare le innovazioni introdotte dai coloni attraverso le loro rivendicazioni, la cui giustificazione riposa sempre meno sulla tradizione e sempre più sul ricorso ai diritti naturali: se è vero che la costituzione britannica è fondata sulle leggi di natura, in virtù delle quali il diritto di proprietà è inalienabile, allora è altrettanto inalienabile il diritto degli americani a tassare se stessi188, a essere

presenti «in person, or by representation» nel corpo che decide della tassazione189. Ciò significa che le tasse devono essere considerate alla stregua

di free o voluntary gift, proprio perché concesse – secondo la formula «give and grant» – attraverso il consenso dei proprietari espresso direttamente o