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Lo spazio della sovranità.

UN FRAMMENTO SULL’AMERICAN

2. Lo spazio della sovranità.

Porre la rivoluzione al centro del discorso sul governo significa pensare l’ordine politico a partire dalla sua rottura, ed è certamente questo che rende la riflessione di Bentham una voce fuori dal coro nel seno dell’American

Controversy. La polemica ingaggiata con il contrattualismo non ha l’obiettivo

di condannare l’opposizione dei coloni nei confronti delle politiche britanniche, ma di leggere quell’opposizione attraverso il linguaggio dell’utile, l’unico pienamente intelligibile e soddisfacente dal punto di vista di un «impartial bystander»69. Con la stessa pretesa di occupare una

posizione al di sopra delle parti, Bentham si rivolge poi ai sostenitori del governo britannico, incapaci di vedere il fatto di una rivoluzione ormai compiuta e colpevoli di una rigidità del tutto inadeguata a rispondere alla sfida lanciata dalle colonie, una sfida che come si è detto non riguarda più solo la dimensione imperiale ma eccede i suoi confini, investendo la capacità dell’ordine politico di “governare il futuro”. La critica al contrattualismo, con la sua ambigua tensione a riconciliare «the accidental necessity of resistance with the general duty of submission»70, è anche in questo caso un “pretesto”

di cui Bentham si serve per intervenire nel dibattito transatlantico attaccando

69 «With regard to an impartial by-stander, it is plain that it is not denying the right of the

legislature, their authority, their power, or whatever be the word – it is not denying that they can do what is in question – it is not that, I say, or any discourse verging that way that can tend to give him the smallest satisfaction» (J. Bentham, Fragment, cit., p. 486).

la concezione della sovranità affermata dai legittimisti per rivendicare il diritto del parlamento di legiferare sulle colonie, una concezione che attinge proprio alla definizione del «diritto del potere supremo di fare le leggi» elaborata nei Commentaries da Sir William Blackstone.

Quest’ultimo intende la sovranità come il risultato dell’unione di una moltitudine di individui che, per la loro salvezza e convenienza, intendono agire «as one man». Il presupposto è ancora una volta un ipotetico contratto, unico strumento adeguato a realizzare l’unione politica riducendo a una le volontà e le inclinazioni particolari delle persone naturali che vi prendono parte. Ciascun individuo, così, acconsente a sottomettere la propria volontà privata a quella di un uomo, o un gruppo di uomini, ai quali l’autorità suprema è affidata [entrusted], così che la volontà di quell’uomo o di quel gruppo di uomini corrisponda alla legge71. È questa formula che consente a

Blackstone di giustificare il «natural, inherent right that belongs to sovereignty»72 di fare le leggi, assumendo come massima innegabile quella

secondo cui «there is and there must be in all [the several forms of government] a supreme, irresistible, absolute, uncontrolled authority, in which the jura summa imperii, or the rights of sovereignty, resides»73. Insieme

ad alcune delle parole chiave del discorso contrattualista questa massima risuona nell’ambito dell’American Controversy: nei pamphlets di Macpherson, Johnson o Knox, ad esempio, tanto la stipulazione delle charters quanto il tacito consenso implicito nel sistema di rappresentanza virtuale sono invocati come altrettante conferme se non del diritto almeno del potere del parlamento di tassare le colonie74. Un’argomentazione orientata a ribadire il

carattere assoluto del potere sovrano, secondo il principio per cui «a supreme and uncontrollable power must exist somewhere in every state»75, un potere

71 «For a state is a collective body, composed of a multitude of individuals, united for their safety

and convenience, and intending to act together as one man. If it therefore is to act as one man, it ought to act by one uniform will. But, inasmuch as political communities are made up of many natural persons, each of whom has his particular will and inclination, these several wills cannot by any natural union be joined together or tempered and disposed into a lasting harmony, so as to constitute and produce that one uniform will of the whole. It can be otherwise produced than by political union; by the consent of all persons to submit their own private wills to the will of one man, or of one more assemblies of men, to whom the supreme authority is entrusted: and this will of that one man, or assemblage of men, is in different states, according to their different constitutions, understood to be law» (W. Blackstone, Commentaries, cit., p. 39).

72 Ivi, p. 35. 73 Ivi, cit., p. 36.

74 Cfr. supra, cap. I, pp. 70-74.

75 «No body of men, in any empire, can exercise “an unbounded authority over others”, an opinion

contrary to fact under every form of government”. Mo maxim in policy is more universally admitted, than that a supreme and uncontrollable power must exist somewhere in every state […]. The great difference, between the degrees of freedom in various governments, consists merely in the manner of playing this necessary discretionary power» (J. Macpherson, The Rights of Great Britain Asserted, cit., p. 6).

«from which there is no appeal, which admits no restrictions, which pervades the whole mass of the community»76, un potere, infine, al quale

l’obbedienza è in ogni caso dovuta77. Così, se per gli americani la logica

contrattuale è strumentale alla legittimazione della resistenza attraverso la distinzione tra il governo legittimo e la sua corruzione, per i legittimisti essa si traduce nella pretesa che un consenso passato o tacito giustifichi, una volta per tutte, l’assolutezza del potere sovrano.

Proprio contro questa pretesa si scaglia Bentham, il quale vede nei

Commentaries il tentativo di inculcare la persuasione «that in every state there

must subsist, in some hands or other, a power that is absolute»78.

Quest’intenzione è smascherata denunciando l’imprecisione logica e linguistica che segna il discorso di Blackstone: Bentham mette in luce, in primo luogo, la confusione tra i termini power e authority, utilizzati talvolta per indicare una qualità astratta, altre volte per indicare le persone che si suppone posseggano quella particolare qualità79, e sottolinea poi la

coincidenza tra right e fact, funzionale a sostenere che «whatever persons do actually exercise supreme power (or […] the power of making laws) those persons have the right to exercise it»80. Ma è soprattutto nella formula dell’unione

politica proposta nei Commentaries che Bentham vede l’ennesimo esempio di una colpevole confusione tra essere e dover essere. Affermando che gli uomini intendono agire «or […] ought to intend (a slight difference which our Author seems not to be well aware of)» – come se fossero un solo uomo, come se avessero una sola volontà81 – Blackstone vuole solo giustificare la massima

secondo la quale «the supreme power (that is the person or persons in use to exercise the supreme power in a state) ought, in all points without exception, to be obeyed»82. In questione è, in altre parole, il rapporto comando e

obbedienza, la pretesa di affermare una sovranità assoluta cui corrisponda un’incondizionata subordinazione. Anche in questo caso, l’obiezione di

76 S. Johnson, Taxation no Tyranny, cit., p. 24.

77 «An Englishman conceives due obedience to parliament to mean lawful obedience, or obedience

to an act of Parliament. The Colonies conceive the parliament to have no right to make laws for them; and due obedience to parliament is therefore, in their apprehension, no obedience at all» (W. Knox, The Controversy Reviewed, cit., p. 28).

78 J. Bentham, Fragment, cit., p. 474.

79 «The words ‘power’ and ‘authority’ sometimes seemingly put for the same idea; sometimes

seemingly opposed to each other: both of them sometimes denoting the fictitious being, the abstract quality; sometimes the real being or beings, the person or persons supposed to possess that quality. – Let us disentangle the sense from the ambiguities; let us learn to speak distinctly of the persons and of the quality we attribute to them; and then let us make another effort to find a meaning for this perplexing passage» (Ivi, p. 476).

80 Ivi, p. 477. 81 Ivi, p. 478. 82Ibidem.

Bentham può essere rintracciata, in primo luogo, all’interno di una definizione:

Persons who, with respect to each other, are in a state of political society, may be said also to be in a state of political union or connection. Such of them as are subjects may, accordingly, be said to be in a state of submission, or of

subjection, with respect to governors: such as are governors, in a state of authority

with respect to subjects83.

Si tratta di una definizione che non comunica nulla a proposito dell’origine dell’autorità che i governanti hanno nei confronti dei sudditi né si pone nell’ottica della sua legittimazione, ma si limita a considerare una condizione di fatto. L’attitudine descrittiva di Bentham sembra in primo luogo orientata sciogliere la confusione blackstoneana tra “persona” e “qualità”, affermando che la “qualità”, ovvero la condizione politica di sottomissione o autorità, determina la distinzione tra sudditi e governanti. Rispetto ai governanti, è certo che questa condizione non ha nulla di naturale, non può essere in nessun modo considerata un inherent right: «political power is what they cannot have by the supposition: for that is the very thing that is to be created, and which by the establishment of Government, men are going to confer on them». Se gli individui-governanti posseggono già una qualche forma di potere si tratta piuttosto di un «natural power; the natural strength that a man possess of himself without the help of Government»84. Il potere politico è una qualità integralmente artificiale, è

esso stesso un’istituzione, niente più che un fatto determinato da un habit o da una disposition of obedience: «habit, speaking with respect to past acts;

disposition, with respect to the future»85.

L’introduzione della disposition of obedience può essere considerata la chiave di volta della critica elaborata da Bentham alla pretesa, che egli intravede nel discorso blackstoneano e che attraversa l’area legittimista nell’ambito della controversia, che l’obbedienza al potere sovrano sia dovuta in ogni caso e senza eccezioni. Se l’habit of obedience, un’insieme di atti di obbedienza alla legge già compiuti – riferiti al passato – è ciò che serve a testimoniare l’esistenza di un rapporto di subordinazione e con esso del potere politico, tanto che Bentham giunge a considerare quest’ultimo come una qualità derivata dal «custom»86, la disposition costituisce l’ingranaggio

fondamentale della dinamica di funzionamento e di riproduzione dell’ordine

83 Ivi, p. 430. 84 Ivi, p. 451. 85 Ivi, p. 489. 86 Ivi. 485.

politico87. Si è visto nel capitolo precedente quale enfasi ponga Bentham sulla

capacità del governo di mediare il conflitto tra gli interessi individuali attraverso la legge e, in modo particolare, attraverso la funzione attribuita alla punizione. Delle due parti interessate a ogni atto del potere politico, l’una obbedirà perché dalla legge trae un beneficio, come la sicurezza di una proprietà e la soddisfazione dell’aspettativa di poter godere di quella proprietà senza interferenze indebite; l’altra sarà costretta ad obbedire o in virtù di una effettiva punizione, o perché la minaccia di una sanzione è in grado di incidere sul calcolo delle conseguenze – in termini di dolore e di piacere – derivate dalla possibile trasgressione della legge, inclinando l’azione a favore dell’obbedienza. La legge, in questo modo, contribuisce alla formazione di una original utility, di un’utilità attuale e presente, o di una

utility derived from expectation88, una prefigurazione del futuro capace di

determinare l’azione individuale ponendosi come motivo. Fino a che la legge è in grado di compiere efficacemente questa funzione, la disposizione all’obbedienza, l’attitudine degli individui nei confronti del futuro, sarà garantita. Alla base della disposizione all’obbedienza non c’è niente più, in altri termini, che un calcolo delle probabilità, ed essa continuerà a sussistere fino a che, ad uno sguardo utilitaristico rivolto al futuro, gli individui riterranno che i probabili danni dell’obbedienza sono minori dei probabili danni della resistenza. Passato e presente sono parte integrante di questo calcolo delle probabilità: si tratta di una questione di fatto in merito alla quale ogni decisione dipende dalla testimonianza, l’osservazione e l’esperienza89: i

governanti devono fare in modo che gli uomini «may be enable to predict the legal consequences of an act before they do it: that public expectation may know what course it has to take; that he who has property may trust to have it still: that he who meditates guilt may look for punishment, and in the self- same guilt for the same punishment»90. Solo nella misura in cui il legislatore è

in grado di creare le condizioni affinché il calcolo delle conseguenze dell’azione sia in grado di determinare l’azione stessa, l’obbedienza può essere prodotta. Bentham fa del governo, della legislazione, una vera e propria “fabbrica dell’obbedienza”, la cui catena produttiva è costruita secondo una precisa linea temporale: l’esperienza, ovvero la conoscenza delle

ragioni e degli effetti della legge – agisce sull’aspettativa – il calcolo delle

87 Secondo Guidi, nella disposizione all obbedienza Bentham individua la «variabile chiave per

spiegare la stabilità dei governi» (M.L. Guidi, Il sovrano e l imprenditore, cit., p. 51).

88 Cfr. supra, cap. II, p. 134. Il riferimento è a J. Bentham, Comment, cit., pp. 230-231. In merito a

questa distinzione e al valore che essa riveste nella critica alla Common Law si rimanda a G.J. Postema, Bentham and the Common Law Tradition, cit., p. 151 e sgg.

89 Sulla dinamica dell’aspettativa e la centralità del futuro nella determinazione del comportamento

individuale si rimanda al bellissimo saggio di S.G. Englemann, Imagining Interest, cit.

conseguenze future dell’azione – determinando al presente la condotta

individuale. Nel momento in cui la legge pone se stessa come motivo, elemento del calcolo utilitaristico capace di produrre la coincidenza tra esperienza e aspettativa, allora essa è in grado di appropriarsi del tempo, di garantirsi una durata tramutando l’habit of obedience, l’attitudine dei sudditi con riferimento al passato, in disposition to obedience, la stessa attitudine con riferimento al futuro91. Tuttavia, questa linea temporale può subire

interruzioni, non vi è nessuna ragione di credere che l’obbedienza passata continui per se stessa nel futuro, né che un impegno contratto in passato possa continuare a essere obbligante. Criticando la formula consensuale dell’unione politica elaborata da Blackstone, infatti, Bentham afferma con sarcasmo tagliente:

I ‘intend’? – I ‘consent’? – I ‘submit’ myself? – ‘Who are you, I wonder, that should know what I do better than I do myself? As to “submitting my will” to the wills of the people who made this law you are speaking of, - what I know is, that I never “intended” any such thing: I abominate them, I tell you, and all they ever did, and have always said so: and as to my “consent”, so far I have been from giving it to their law, that from the first to the last, I have protested against it with all my might’92.

Si tratta di un passaggio estremamente significativo, poiché attacca frontalmente la logica contrattualista che presume una rinuncia al giudizio

individuale al momento dell’istituzione del governo. Ciascuno rimane il

miglior giudice di sé stesso93, ed è esattamente questo continuo e mai

definitivo giudizio individuale sull’utilità dell’obbedienza che deve essere tenuto presente nella prospettiva di comprendere e argomentare scientificamente la dinamica interna del rapporto politico, dando ragione della sua costitutiva incompiutezza, di una tensione irriducibile tra il passato e il futuro94. Non solo, ma il riferimento benthamiano alle “proteste”

91 Ancora una volta, è una meccanica del comportamento umano di matrice hobbesiana che

traspare nelle parole di Bentham: «the opinion men have of the Reward and Punishment which are to follow their actions - afferma infatti il filosofo di Malmesbury – are the causes that make and govern the will of those Actions» (T. Hobbes, De Corpore, cit., pp. 49-50).

92 J. Bentham, Fragment, cit., p. 479.

93 «Bentham’s idea of the self is that of a rational self directed individual prudently adjusting his

actions and plans to the realities of his actions and plans to the realities of his environment, but always thinking and judging for himself» (G.J. Postema, Bentham and the Common Law Tradition, cit., p. 167).

94 Riconducendo questo discorso alla dinamica della disposition è possibile sottolineare con Guidi

che «da Bentham il concetto di disposizione a obbedire è programmaticamente utilizzato come confutazione, ma anche ritraduzione positiva, della prospettiva contrattualista: ciò che questa vedeva come una razionale verifica del patto, fondata sul riferimento ai diritti imprescrittibili, diviene nel discorso di Bentham una valutazione di opportunità (non necessariamente razionale) che di fatto, giorno dopo giorno, gli individui esprimono basandosi sulla conformità del governo ai loro bisogni» (M.L. Guidi, Il sovrano, cit., p. 51). Partendo da questa considerazione, risulta difficile condividere

continuamente mosse nei confronti della legge è un chiaro segno della sua attenzione al presente, a quelle reali lagnanze, ripetutamente espresse dai coloni sin dal dibattito intorno allo Stamp Act, che i sostenitori del governo britannico testardamente ignoravano, contrapponendo ad esse un dovere d’obbedienza costruito sulla presunta valenza normativa del riconoscimento del potere sovrano da parte dei primi coloni attraverso le charters o del tacito

consenso implicito nella rappresentanza virtuale. E sembrano esattamente

questi i riferimenti polemici di Bentham quando, considerando ancora l’obbligatorietà delle promesse e dunque un’ipotetica formula patrizia, afferma:

The King, fifty years ago, promised to my Great-Grandfather to govern him according to Law: my Great-Grandfather, fifty years ago, promised the King to obey him according to Law. The King, just now, promised my neighbour to govern him according to Law: my neighbour, just now, promised the King to obey him according to Law. – Be it so – What are these promises, all or any of them to me? To make answer to this question, some other principle, it is manifest, must be resorted to, than that of the intrinsic obligation of promises upon those who make them95.

Pur ammettendo che una promessa sia vincolante propria vi, essa potrebbe impegnare solo coloro che effettivamente la contraggono. Non si può ammettere che un contratto, uno scambio di due reciproche promesse che sia stato stipulato in passato da qualcuno, vincoli il presente di qualcun altro, né che l’ipotetico accordo che al presente coinvolge qualcuno possa implicare l’obbligazione di qualcun altro. Non c’è ragione di credere che una promessa abbia una qualunque forza normativa nei confronti di chi non l’ha mai contratta, poiché questi continua ad esercitare costantemente il suo giudizio, mai definitivo, in merito all’opportunità di mantenerla, un giudizio fondato sempre e costantemente sul principio dell’utile che solo può fornire una ragione sufficiente per giudicare in ogni caso e per qualunque questione pratica96. È chiaro che qui, ancora una volta, si ritrova l’influenza di Hume97,

ma è forse più importante sottolineare che si tratta di un argomento straordinariamente forte nel seno dell’American Controversy: esso è già implicito nell’attitudine radicale dei coloni, che non si limitano a fare del consenso l’origine del governo legittimo ma lo traducono in procedura del quella continuità priva di “interferenze” stabilita da Rosenblum, secondo la quale poiché l’aspettativa è fondata sul passato, non può esserci alcuna rottura radicale tra passato e futuro nella logica benthamiana (Nancy R. Rosenblum, Bentham s Social Psychology for Legislators, in «Political Theory», vol. I, n. 2, 1973, pp. 171-185, p. 184).

95 J. Bentham, Fragment, cit., p. 446. 96 Ivi, p. 448.

governo libero, una costante sanzione della legittimità del suo esercizio attraverso la rappresentanza. Soprattutto, esso diventa tema rivoluzionario nel momento in cui si fa strumento per delegittimare il governo britannico nella prospettiva dell’indipendenza repubblicana, come fa Tom Paine definendo «unwise, unjust, unnatural» qualunque contratto che pretenda di essere obbligante per il futuro, sancendo la successione ereditaria del governo e condannando le generazioni a venire al regime «of a rougue or a fool»98. Il tema della “liberazione” dal passato e quello di un interesse rivolto

al futuro, dirompente in Common Sense, non va però pensato, rispetto a Bentham, come strumento di legittimazione degli eventi americani, poiché