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Per un diretto protagonista degli eventi di Boston come il governatore Francis Bernard, nel 1768 è già chiaro che la controversia non riguarda più semplicemente lo Stamp Act, ma «whether America shall or shall not be subject to the legislature of Great Britain»267. Una posizione condivisa da

William Knox, per il quale la distinzione tra tassazione interna ed esterna non è altro che un pretesto per negare nel suo complesso la giurisdizione del Parlamento sulle colonie268. Guardando alla reazione dei sostenitori del

governo britannico di fronte alle rivendicazioni degli americani non emerge solo, come si è già visto, una differente lettura della costituzione imperiale. La loro risposta, infatti, si impone di attaccare al cuore le “innovazioni discorsive” e, soprattutto, politiche, introdotte dai coloni attraverso il ricorso al linguaggio dei diritti. Sebbene parte della storiografia abbia inteso ridimensionare il ruolo del giusnaturalismo nell’ambito del processo rivoluzionario, spingendosi persino a dichiararne l’irrilevanza269, dall’analisi

267 F. Bernard, Letter ix, 23 novembre 1765, in Bernard s Letters, cit., p. 32.

268 Knox infatti nega chiaramente che la distinzione tra tassazione interna e regolazione del

commercio abbia alcun fondamento, e sostiene che essa «will in no sort serve to protect the Colonies from parliamentary internal and external taxation, however it may serve for a pretence, under which to strip parliament of all jurisdiction over the colonies» (W. Knox, The Controversy Reviewed, cit., p. 43).

269 Tra i primi, come si è visto, proprio McIlwain, impegnato a considerare il giusnaturalismo solo

nei limiti di una sua compatibilità con un approccio di carattere strettamente costituzionale (C.H. McIlwain, La Rivoluzione Americana, cit., in particolare p. 120 e sgg.). A dichiarare l’irrilevanza del giusnaturalismo è invece Reid, secondo il quale «Natural law simply was not as important during the pre-Revolutionary controversy as many historians have assumed» (J.P. Reid, The irrelevance of the Declaration, cit., p. 48). Secondo l’autore, l’appello alla legge di natura comparirebbe solo molto raramente nei documenti ufficiali per difendere i diritti degli americani contro il parlamento; essa, inoltre, sarebbe stata invocata piuttosto da ufficiali imperiali, giuristi britannici e Tories americani per neutralizzare argomenti ai quali non sarebbe stato altrimenti possibile dare una risposta costituzionale. L’appello al diritto naturale sarebbe poi stato accompagnato sempre dal richiamo a un’altra fonte

dei testi appare piuttosto evidente che tanto la law of nature quanto i diritti naturali costituiscano un bersaglio obbligato per i sostenitori del governo britannico. D’altra parte, quel discorso che William Knox giudica una «baseless fabric of a vision»270 e Israel Maduit relega al campo delle opinioni

assurde271 conoscevano una vasta diffusione se un personaggio come Thomas

Hutchinson, calato nel cuore delle agitazioni di Boston, è costretto a prendere amaramente atto della realtà: «principles of government absurd enough spread thro’ all the colonies»272.

È proprio la critica ai diritti naturali il primo nodo che i sostenitori del governo britannico sono costretti a sciogliere. La loro risposta è orientata a ricondurre diritti e privilegi alla loro matrice positiva o alla loro storicità, allo scopo di reintrodurre un preciso elemento di temporalità a fronte della pretesa “eternizzante” del discorso giusnaturalistico: come potevano le

charters istitutive delle colonie garantire diritti statuiti dall’Habeas Corpus Act

e dal Bill of Rights, e dunque vigenti solo dal regno di Charles II e da quello di William e Mary273? William Knox, che pone questo problema, è tuttavia

pienamente consapevole che si tratta di una risposta insufficiente di fronte alla tensione dei coloni ad abbandonare il riferimento alle Charters per legare alla legge naturale il godimento dei diritti e delle English Liberties274. Di

conseguenza, egli cerca di fare emergere il carattere paradossale si quei principi, sconosciuti a ogni civilian, che i coloni pretendono di affermare. Se fossero ammessi, allora i benefici dei quali i sudditi britannici godono grazie alla loro eccellente costituzione dovrebbero essere considerati «universal to all people, at least to all those who live under any constitution of government which is founded upon the natural rights of mankind»275. Se fossero la legge

di Dio e della natura a conferire a un abitante del Massachussets quei particolari diritti, allora potrebbero rivendicarli allo stesso modo tedeschi, francesi, italiani e ogni altro popolo cristiano276. La verità, per Knox, è che i

«noble principles of English liberty», non si possono trovare in altro luogo d’autorità, la Costituzione britannica. Per giustificare il diritto di resistenza, ancora, non sarebbe stato necessario ricorrere al diritto naturale, poiché erano sufficienti il diritto costituzionale alla ribellione e quello privato all’autodifesa. Reid aggiunge inoltre che sarebbe errato attribuire al concetto di Law – nel sintagma natural law – il suo significato contemporaneo: «for people to whom law is as much custom and community consensus as sovereign command, natural law, even if God’s directive, may be less compelling than as been thought» (Ivi, p. 60).

270 W. Knox, The Controversy, cit., p. 31. 271 I. Maduit, A Short View, cit., p. 35.

272 T. Hutchinson, ottobre 1768, in [Hutchinson T., Oliver A.], Letters, cit., p. 9. Sulla controversa

figura di Thomas Hutchinson si veda J. P. Reid, The Ordeal by Law of Thomas Hutchinson, in H. Hartog (ed. by), Law in the American Revolution, cit., pp. 20-45.

273 W. Knox, The Controversy Review, cit., p. 10. 274 Ivi, p. 11.

275 Ivi, p. 10. 276 Ivi, p. 18.

che non sia «the law of the land»277: alla pretesa universalistica del linguaggio

dei diritti dell’uomo è contrapposta la contingenza storica della costituzione e la sua eccellenza, per cui gli unici diritti concepibili sono quelli di cui è portatore un «natural born subject of the British society» e di cui, per lo stesso motivo, non può essere considerato titolare uno straniero o chiunque non sia membro di quella particolare società.

Un discorso analogo è quello del Dr. Johnson che, riportando i diritti e i privilegi degli americani alla loro matrice positiva, afferma che proprio per questo essi vanno considerati al pari di ogni altro suddito «chargeable by the English taxation»278. La loro pretesa di essere titolari di vita, libertà e

proprietà e di non aver mai ceduto ad alcun potere sovrano il diritto di disporne senza il loro consenso, non è altro che il sogno delirante del fanatismo repubblicano. I coloni si esprimono come «naked sons of Nature», ma è evidente che essi non sono più in uno stato di natura, e sono proprio le carte il segno che i loro antenati hanno riconosciuto il sovrano inglese, cedendo a re e parlamento «whether the right or not, at least the power of disposing without their consent of their lives, their liberties and properties»279.

Si tratta di un rovesciamento di prospettiva che riprende la lettura contrattualista delle Charters per piegarla all’imperativo dell’obbligazione e che, soprattutto, troverà nel Fragment on Government una risposta importante laddove Bentham rifiuta, nel solco di Hume ma anche degli argomenti di Tom Paine, la possibilità di considerare attualmente vigente una promessa contratta nel passato. Ma il discorso di Johnson ha una valenza ulteriore poiché mostra come la critica al discorso giusnaturalistico ricade sui due nodi cruciali delle rivendicazioni dei coloni. Da una parte, il principio no taxation

without representation e la sua specifica declinazione nel contesto coloniale;

dall’altra, la concezione della sovranità e dei suoi limiti e con essa, come si vedrà, della dimensione imperiale.

Per quanto riguarda il problema della rappresentanza, la risposta uniforme da parte dei sostenitori del governo metropolitano è quella di opporre alle pretese dei coloni la tradizione britannica della rappresentanza

virtuale. La posizione di William Knox a riguardo è forse una delle più

significative perché tutta costruita attraverso il ricorso alla dottrina lockeana riletta in chiave conservatrice. Secondo Knox, gli americani avrebbero fatto parlare a Locke un linguaggio «directly contraddictory to the whole tenor of his work»280. L’intento dell’autore del Second Treatise, infatti, sarebbe stato

277 Ivi, p. 10.

278 S. Johnson, Taxation no Tyranny, cit., p. 29. 279 Ivi, pp. 35-37.

quello di negare il diritto di Re, Lord e Comuni di pretendere la proprietà di un individuo o della comunità senza il consenso del proprietario per il loro

uso privato. Questo, secondo Knox, lo scopo della nota affermazione per cui

un sergente, pur avendo il potere di ordinare a un soldato di marciare verso la bocca di un cannone, non potrebbe mai ordinare a quello stesso soldato di dargli un soldo del suo denaro281. Di conseguenza, Locke non avrebbe mai

negato il diritto del legislativo di disporre della proprietà dei sudditi per la salvezza o il vantaggio del pubblico, che costituiscono precisamente le finalità del trust282. Al contrario, il principio della maggioranza sancito nel

Second Treatise consente a Knox giustificare una concezione puramente virtuale della rappresentanza e, con essa, il diritto del legislativo britannico di

tassare le colonie senza il loro consenso283. In questo modo, egli intende

espressamente contrastare quella concezione della rappresentanza che con sempre più vigore si afferma dall’altra parte dell’oceano che, come si è visto, ha come soggetto gli individui e pretende di affermare un rapporto di mandato tra gli elettori e i loro rappresentanti. È guardando a questo problema che Knox ricorda che questi non sono mai stati definiti «representatives of the people» ma, secondo la tradizione, «commons in parliament»284.

Un uso “conservatore” del discorso lockeano si ritrova anche nelle pagine del pamphlet di Samuel Johnson, secondo il quale gli americani sono rappresentati virtualmente come la maggior parte dei sudditi britannici285 e

questo costituisce una sufficiente garanzia dal momento che «in the most favourite residence of liberty, the consent of individual is merely passive, a tacit admission in every community of the terms in which every community grants and requires»286. Il tacito consenso lockeano è dunque invocato contro la

pretesa di fare della rappresentanza il fondamento della legittimità della tassazione, e con esso il concetto di trust. Per Johnson, infatti, «a tax is a

281 «For the Preservation of the Army, and in it of the whole Commonwealth, requires an absolute

Obedience to the Command of every Superior Officer, and it is justly Death to disobey or dispute the most dangerous or unreasonable of them: but yet we see, that neither the Serjeant, that could command a Souldier to march up to the mouth of a Cannon, or stand in a Breach, were he is almost sure to perish, can command that Soldier to give him one penny of his Money» (J. Locke, Second Treatise, xi, 139, p. 362).

282 W. Knox, The Controversy Reviewed, cit., p. 83.

283 Ivi, pp. 84-89. La posizione di rifiuto di una tassazione autonoma delle colonie che Knox esprime

nella Controversy Reviewed è decisamente diversa e contraddittoria rispetto al pamphlet che lo stesso Knox aveva pubblicato nel 1768, The Present State of Nation. Qui, infatti, egli suggeriva la possibilità che le colonie potessero esigere le imposte per il national treasury attraverso le assemblee provinciali. E.S. Morgan suggerisce che un simile cambio di prospettiva possa essere stato determinato dalla nomina di Knox a sottosegretario del Colonial Office (E.S. Morgan, The Repeal of the Stamp Act, cit., p. 378).

284 W. Knox, The controversy Reviewed, cit., pp. 69-70.

285 «They are represented by the same virtual representation as the greater part of Englishmen» S.

Johnson, Taxation no Tyranny, cit., pp. 46-51.

payment extracted by authority from part of the community for the benefit of the whole», e sono coloro «to whom Government is entrusted», gli «states assembled in parliament», a dover giudicare da chi e in che proporzione questo pagamento debba essere preteso287. Collocandosi in continuità con

Locke, dunque, Johnson non solo nega che nella tradizione costituzionale inglese vi sia alcun esempio di una rappresentanza generalizzata degli individui, ma anche che le tasse possano essere considerate free gift, dal momento che esse non sono altro che il contributo dovuto in cambio dei benefici del governo288.

Non si tratta, chiaramente, di giudicare quale sia la lettura più adeguata della dottrina lockeana. Rilevante è piuttosto che contro il radicalismo espresso dagli americani attraverso Locke, Knox e Johnson facciano leva piuttosto sulla continuità con la tradizione esibita dal Second Treatise, ed è proprio questa continuità – che si fa forte di un appello alla realtà dell’esperienza rappresentativa inglese – che accomuna i sostenitori del governo britannico.

Così è anche nei Remarks di John Lind, dove tuttavia si può riscontrare una importante specificità. Anche qui la rappresentanza virtuale è rivendicata come una garanzia sufficiente nei confronti dei sudditi. Il fatto che coloro che approvano la tassazione siano contemporaneamente soggetti a essa è la più alta garanzia della coincidenza tra gli interessi di rappresentanti e sudditi e, di conseguenza della libertà del governo289. Coerentemente con la tradizione,

i rappresentanti sono considerati espressione non dell’interesse dei loro costituenti ma di quello della comunità290, ed è per questa ragione che le

rivendicazioni degli americani sono giudicate prive di fondamento. Le logiche affermate dai coloni per giustificarsi, inoltre, vengono portate alle loro estreme conseguenze: se fosse vero ciò che essi affermano – in continuità con Blackstone e Locke – che il diritto a essere tassati attraverso l’espressione del loro consenso discende dalla legge naturale incorporata nella costituzione britannica, allora la costituzione avrebbe dovuto garantire il diritto di voto a tutti quelli che pagano le tasse. I fatti, però, mostrano che non è così291 e che a

essere esclusa non è solo la maggior parte della popolazione ma anche, afferma ironicamente Lind, quelli che sono ricchi abbastanza da avere una propria volontà292. D’altra parte, se quello che gli americani affermano fosse

287 Ivi, p. 14.

288Ivi, p. 33, pp. 2, 6, 14; Si vedano anche W. Knox, The Controversy Reviewed, cit., pp. 83-90 e p. 99; e

J. Macpherson, The Rights of Great Britain Asserted Against the Claims of America: being an Answer to the Declaration of the General Congress, London, Cadell, 1775.p. 23.

289 J. Lind, Remarks, p. 84. 290 Ivi, pp. 70-71 e 74.

291 Ivi, p. 59-65. Un analogo “appello ai fatti” si trova in J. Macpherson, The Rights of Great Britain,

cit., p. 8.

vero, nessuna legge potrebbe essere approvata senza unanimità293. Lind

coglie ed esplicita, più di quanto non facciano Knox e Johnson, gli elementi problematici del discorso di Locke, e si mostra consapevole del rapporto stabilito nel Second Treatise tra libertà, esercizio delle «facoltà umane», in particolare una volontà svincolata dalle passioni, e proprietà illustrato nelle pagine precedenti, mostrandone i tratti paradossali. Si tratta, anche in questo caso, di un discorso che trova espressione nelle pagine del Fragment on

Government, dove la diversa antropologia politica proposta da Bentham si fa

valere all’interno di una declinazione del rapporto tra governanti e governati – e in particolare della sua organizzazione costituzionale – che sottrae il problema della rappresentanza al discorso dei diritti. Piuttosto, la rappresentanza diventa strumento attraverso il quale connettere gli interessi delle due parti, mentre più in generale il carattere costitutivamente parziale ed escludente dell’universalismo giusnaturalistico è criticato e superato da una concezione dell’ordine politico capace di comprendere nella propria dinamica tutti gli individui senza distinzione.

Non meno escludente, comunque incapace di tenere conto delle istanze affermate dei coloni, si rivela la posizione dei sostenitori del governo britannico. Affermando una concezione virtuale della rappresentanza, e con essa il diritto del legislativo a tassare le colonie senza il loro consenso, ad esempio, William Knox rifiuta espressamente ogni ipotesi di autonomia delle colonie in materia di tassazione interna: «if the authority of the legislative be not in one instance equally supreme over the colonies as it is over the people of England, then are not the Colonies of the same community of the people of England. All distinctions destroy this union, and if it can be shown in any particular to be dissolved, it must be so in all instances whatever»294. Solo

l’uniformità del potere supremo è per Knox garanzia dell’unione imperiale: se le colonie non si considerano parte della stessa comunità politica della Gran Bretagna, allora è chiaro che esse pretendono di essere in uno stato di natura rispetto a essa295. L’affermazione dei diritti naturali di tutti gli uomini

dalla quale gli americani fanno discendere che la costituzione «is, or ought to be, perfectly free», è già il segno di questa pretesa: «when applied to states, is the most complete definition of equality and independency that can be given». Così, mentre un inglese considera legittima l’obbedienza dovuta al parlamento, le colonie negano ogni diritto del Parlamento di fare leggi per

293 Ivi, p. 66.

294 W. Knox, The Controversy Reviewed, cit., pp. 50-51. 295Ibidem..

loro, e in questo modo il dovere di obbedire si riduce a non obbedire affatto296.

La «massima universalmente riconosciuta» per la quale «a supreme and uncontrollable power must exist somewhere in every state»297 è la principale

arma dei sostenitori del governo contro le pretese di autonomia avanzate dagli americani che portano con sé, come si è visto, una radicale ridefinizione dell’idea di sovranità. L’opinione che «no body of men, in any empire, can exercise “an unbounded authority over others”» è totalmente contraria ai fatti, qualunque sia la forma di governo presa in considerazione. In continuità con la matrice hobbesiana di una simile concezione del potere sovrano, la stessa forma di governo diventa indifferente poiché l’unico elemento dirimente rispetto al grado di libertà di cui è possibile godere risiede nel modo in cui è esercitato il necessario potere discrezionale298.

Della stessa idea è anche il Dr. Johnson, per il quale il diritto del potere supremo di richiedere a tutti i suoi sudditi i contributi necessari alla sicurezza e alla prosperità pubbliche è una condizione essenziale di ogni comunità politica, un principio fondamentale e addirittura un assioma, e coloro che lo negano possono essere considerati solo «zealots of anarchy»299.

Per Johnson, «there may be limited royalty, there may be limited consulship; but there can be no limited government. There must in every society be some power or other from which there is no appeal, which admits no restrictions, which pervades the whole mass of the community»300. Da questo potere

emanano tutti i diritti legali. Questo significa anche, per Johnson, che se le corporazioni avevano esercitato un potere di legislazione interna in virtù delle Royal Charters, ciò era stato possibile solo grazie alla concessione di una superiore autorità alla quale esse restavano in ogni caso soggette301. Una certa

autonomia era stata garantita loro a causa della distanza, ma la loro esistenza politica ha il suo fondamento nelle Charters, un insieme di privilegi e doveri

296 «An Englishman conceives due obedience to parliament to mean lawful obedience, or obedience

to an act of Parliament. The Colonies conceive the parliament to have no right to make laws for them; and due obedience to parliament is therefore, in their apprehension, no obedience at all» (Ivi, p. 28).

297 «No body of men, in any empire, can exercise “an unbounded authority over others”, an opinion

contrary to fact under every form of government”. Mo maxim in policy is more universally admitted, than that a supreme and uncontrollable power must exist somewhere in every state […]. The great difference, between the degrees of freedom in various governments, consists merely in the manner of playing this necessary discretionary power» (J. Macpherson, The Rights of Great Britain Asserted, cit., p. 6).

298 «No body of men, in any empire, can exercise “an unbounded authority over others”, an opinion

contrary to fact under every form of government”. Mo maxim in policy is more universally admitted, than that a supreme and uncontrollable power must exist somewhere in every state […]. The great difference, between the degrees of freedom in various governments, consists merely in the manner of playing this necessary discretionary power» (Ibidem).

299 S. Johnson, Taxation no Tyranny, cit., pp. 1-2. 300 Ivi, p. 24.

«given to a part of the community for the advantage of the whole, and […] therefore liable by its nature to change or to revocation»302. A partire da

questa concezione assoluta del potere sovrano, allora, si comprende perchè la possibilità di un’autonomia delle colonie in materia fiscale è considerata