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2. Geografia: La Terraferma nell’insieme

1.2. Laguna, palude, valle da pesca

Sotto il profilo geomorfologico la laguna non compare come uno specchio d’acqua continuo e uniforme, ma presenta una certa mescolanza tra zone costantemente emerse, zone di barena e zone di acque libere. Tali zone sono però suscettibili di un continuo dinamismo degli elementi, che prevale sulle condizioni statiche. Questo dinamismo è dovuto principalmente a due fattori: fiume e mare. In altri termini si tratta di deflussi fluviali dilavanti e movimenti di marea. Tuttavia, sulla base di una forte discontinuità della presenza dell’acqua, si suole distinguere due principali condizioni fisiche tipiche della realtà lagunare: quelle derivanti dal ciclo del breve periodo di sommersione e quelle invece che soggiacciono al ciclo di più lungo periodo. Al primo caso appartengono quelle superfici lagunari soggette a sommersione solamente durante la fase montante della marea, poiché esse si trovano a quota prossima a quella del medio mare. In questa categorie rientrano le barene, ossia degli isolotti piatti, di forma quanto mai irregolare, di poco emergenti nel medio mare e totalmente sommersi dalle maggiori alte maree. Il loro popolamento vegetale e animale è molto caratteristico, in quanto condizionato dall’elevata salinità del terreno e dalla frequente

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sommersione.225 Nel secondo caso, invece, l’acqua presente è soprattutto di provenienza fluviale. Lì dove l’acqua del fiume non ha più la spinta necessaria per defluire verso la laguna, essa si deposita dando luogo alla formazione di pozze di acqua stagnante che, nel lungo periodo, con l’ulteriore apporto delle precipitazioni fluviali, danno luogo alla formazione delle paludi. Tali formazioni sono normalmente riconoscibili come bacini a forma di catino e vengono alimentate dai ghebi, quest’ultimi si identificano come solchi di erosione dell’acqua o canali interni, caratterizzati da una profondità sufficiente a lasciarli costantemente sommersi226. Tra le due forme appena descritte (terre saltuariamente sommerse e terre costantemente sommerse) vi è naturalmente una rosa di categorie lagunari ibride, presenti soprattutto lungo la fascia interlagunare che separa la laguna viva dalla laguna cosiddetta morta. Qui avviene la netta contrapposizione tra le due aree lagunari caratterizzate l’una dal movimento (laguna viva) e l’altra dalla fissità (laguna morta) di acque e di terre. Fanno parte di questo ambiente intermedio le velme, ossia vasti bassifondi di sedimento molle, privi di vegetazione227. Le terre emerse invece si presentano sotto forma di motte, tumbe ed isole, ossia formazioni sabbiose normalmente raggruppate in due sistemi: isole derivanti da allineamenti dunosi (come nella zona a sud-est di Chioggia) e isole derivanti dall’opera di deposizione fluviale (isole di Venezia, Torcello)228

. Sulla base della loro natura, corrispondente pressappoco alla durata di sommersione nell’acqua salmastra del mare, come è già stato anticipato, tali forme lagunari erano sottoposte in antichità a diverso regime giuridico. Il principio generale che regolava la distinzione tra fondi di pubblica o di privata ragione seguiva sostanzialmente quella norma per la quale si stabiliva che tutto ciò che apparteneva al mare fosse di pubblica ragione e pertanto «i porti, i canali, i bacini

225

G.CANIGLIA,La flora e la vegetazione della laguna, in La laguna di Venezia, a cura di G.

Caniato, e. Turri, M. Zanetti, Verona 1995, pp. 79-111; G.RALLO,M.PANDOLFI, Le zone umide

del Veneto. Guida alle aree di interesse naturalistico ambientale, Venezia 1988, pp. 95-96.

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Ghebo o anche Gaibo viene definito dal Boerio: “Rivoli o rigagnoli. Chiamansi ghebi que’ piccoli canaletti che a guisa di vene minori portano l’acqua per tutta la laguna, G. BOERIO,

Dizionario del dialetto veneziano, Venezia 1856, p. 304.

227

G.RALLO,M.PANDOLFI, Le zone umide del Veneto cit., p. 95.

228

P.PADOAN, La laguna veneta, Padova 1980, pp. 37-40. A. CARILE,G.FEDALTO, Le origini di

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maggiori, gli argini e le difese, nonché le terre emerse sulle quali possono montare le acque salse nei flussi di marea» erano ritenuti di interesse pubblico229. Seguendo tale principio va da sé che le forme ibride di cui sopra e quei particolari luoghi lagunari lambiti dall’acqua salmastra, ma controllati e modificati dall’uomo, come ad esempio le saline e le valli da pesca, assumevano una valenza giuridica complessa.

Le valli da pesca che, come si è potuto anticipare, sono solitamente costituite da specchi acquei poco profondi detti “laghi” e da addensamenti di barene, erano nel periodo medievale, e lo sono tutt’ora, delimitate da strutture a graticcio di canne palustri (le grisiole). Questi “recinti” lagunari permettevano di trattenere il pesce all’interno della valle e allo stesso tempo favorivano il passaggio delle correnti di marea.

Mentre fino a qualche decennio fa le valli da pesca veneziane dei secoli medievali venivano fatte rientrare nelle medesime tipologie utilizzate per quelle attuali – ovvero in base alle diverse forme naturali dei bacini vallivi (aperte, semiarginate e chiuse), che presupponevano anche una diversa attitudine giuridica al pubblico uso della risorsa230 –, più di recente invece la peschiera medievale viene considerata dagli storici lagunari come un ampio spazio costituito al suo interno da aree delimitate artificialmente e aree naturali diversamente sfruttate dall’uomo231

. Essa infatti è studiata non proprio come un’entità chiusa e ben delimitata, bensì come una superficie più o meno ampia di laguna dove, attraverso l’uso di recinti costruiti ad hoc, si delimitava un’area dove praticare la pesca vagantiva; mentre nelle rimanenti porzioni di terre e specchi d’acqua circostanti si praticavano le altre attività promiscue:

229

S.AVANZI, Lo sviluppo del concetto di demanialità lagunare (con considerazioni dal tempo

della Repubblica veneta ai nostri giorni), Conterminazione lagunare: Storia,ingegneria,politica e diritto nella Laguna di Venezia , in Atti del convegno di studio nel bicentenario della conterminazione lagunare,Venezia,14-16 marzo 199, p. 411 (pp. 393-447..

230

H.ZUG-TUCCI,Pesca e caccia in laguna, in Storia di Venezia, I, L’età ducale, a cura di L.

Cracco Ruggini, M. Pavan, G. Cracco, G. Ortalli, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1992, p. 491 (pp. 491-514).

231

G.CANIATO, Laguna e valli da pesca in epoca Veneta: il governo del territorio, in Valli

Veneziane. Natura storia e tradizioni delle valli da pesca a Venezia e Caorle, Venezia 2009, p. 4

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«Con il termine valle, almeno fino al XVI secolo ci si riferiva, più genericamente, sia alle estensioni paludose sviluppate soprattutto ai margini del bacino lagunare propriamente detto, sia a ben limitate porzioni della laguna “viva”, che venivano stagionalmente intercluse con grisiole e consimili sbarramenti, dove la pesca vagantiva, cioè itinerante, era maggiormente diffusa»232.

Tale interpretazione tende a conferire alla valle da pesca “antica” una caratteristica che cambia il significato storico e giuridico del termine: la peschiera non più come elemento o tipologia lagunare, ma come manufatto dal carattere per di più temporaneo (semipermanente).

L’immagine della valle da pesca come parte integrante del frastagliato e complesso bacino lagunare, la cui conformazione è data da una delimitazione di acque che partecipano al più ampio sistema di paludi, specchi d’acqua salmastri e aree semi prative e boscose, fornisce anche una chiara visione di quello che doveva essere il paesaggio medievale di gronda. Oltre alle valli e alle paludi, un ricco manto vegetale dominava l’ambiente lagunare favorendo la pesca, ma anche le attività di caccia e di uccellagione.