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II. Misurare il bosco e l’acqua nel territorio mestrino

II.1. Le premesse Trecentesche

Sante Bortolami descrisse in modo molto efficace alcune dinamiche già trecentesche di appropriazione e di uso delle terre nell’area di Chirignago, sottoposta all’energica politica fondiaria del monastero di Santa Maria di Mogliano. Nelle sue conclusioni ritroviamo il punto di partenza dal quale verificare eventuali cambiamenti quattrocenteschi relativi all’organizzazione rurale di quest’area geografica. In particolare interessa notare come nel Trecento si fosse verificato un lento attacco alle risorse comunali da parte di privati non

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G. BOERIO, Dizionario cit., Alla voce marezana, p. 335. Il Pellegrini attesta il sostrato

*mara/*marra con il significato di palude. Analoga origine del termine viene attribuita anche

dall’Olivieri, il quale però specifica il significato nel senso di “punta, golena, banco e riva di fiume poco profonda”, G. PELLEGRINI, Ricerche di toponomastica cit., p. 169; D. OLIVIERI,

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locali, più o meno organizzati. Questo fatto si riverberava in un generale sentimento di sofferenza del ceto contadino:

«Da un lato si assiste a un trasferimento significativo, ancorchè non massiccio, di risorse ambientali e di rendita agricola verso un mondo di imprenditori meglio organizzati in notevole misura “esterni” all’orizzonte locale. Dall’altro proliferano pratiche spicciole di usurpi e di appropriazioni di fatto su tutto il fronte delle terre gravate da vecchie ipoteche di uso consortile o comunale: un vero attacco questo, che sembra risposta alla concentrazione in poche mani della ricchezza e segno di un reale malessere di strati crescenti della popolazione contadina»358.

Attraverso l’analisi dell’ambiente geografico e degli uomini che si muovevano attorno agli spazi umidi e boscosi del comune di Chirignago si cercherà di valutare le dinamiche quattrocentesche in termini di continuità o reazione rispetto alle dinamiche Trecentesche.

Nel corso dei secoli le vaste e compatte estensioni di boschi e di terre produttive, attestate fin dai secoli centrali del Medioevo lungo le zone marginali, furono frazionate tra diversi attori laici ed ecclesiastici che avanzavano antichi o recenti diritti di proprietà o di semplice uso su queste terre. Tra questi, il monastero di San Giorgio Maggiore, nella seconda metà del ‘400, mise in atto particolari metodi di misurazione e di descrizione delle proprietà ad esso spettanti. Tali operazioni sono con tutta probabilità da ricondurre alla volontà di recuperare e di rivendicare scampoli di proprietà su boschi e terreni sui quali da tempo si era allentato l’interesse del monastero. Il motivo di questa ripresa è da ricondurre al clima di riforma tardo quattrocentesco che investì anche le comunità lagunari intenzionate a investire nuovi capitali per rendere produttivi quei suoli caratterizzati da boschi acque e paludi. Le stesse motivazioni avevano spinto nel medesimo giro d’anni il rinomato monastero padovano di Santa Giustina ad un risveglio economico, dopo una lunga fase di assopimento trecentesco. Gli studi

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S.BORTOLAMI, Il monastero di Santa Maria di Mogliano e le comunità rurali, in Mogliano e il

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condotti da Giuseppina De Sandre Gasparini hanno infatti evidenziato il ruolo attivo dei monaci della congregazione cassinese nelle operazioni di bonifica tardo quattrocentesca per quei territori della bassa padovana caratterizzati da una costante invasione delle acque e della palude359.

Le attestazioni documentarie in nostro possesso permettono tuttavia di rilevare un atteggiamento economico e fondiario del monastero veneziano di gran lunga più interessato a riconfermare la propria giurisdizione sui beni già posseduti, piuttosto che a realizzare in quest’area vasti acquisti e accorpamenti di terre. Dal punto di vista del paesaggio agrario, si deve constatare che l’impraticabilità di un’azione di accorpamento fondiario, favorì il formarsi a lungo andare di parcelle private che spezzettavano in una miriade di appezzamenti divisi da fosse confinarie l’unità dell’antico lembo forestale e delle aree palustri360

. Non mancano però attestazioni relative a dinamiche di acquisizione di seppur ridotte porzioni di incolto e di bosco contigui alle antiche proprietà del monastero. In particolare, i tentativi di accorpamento sono attestati soprattutto lì dove i beni del monastero si alternavano, fino a confondersi, con i beni di uso comunale o collettivo delle comunità rurali.

In conclusione, le dinamiche trecentesche (perdita di un controllo diretto sulla terra) avevano dato luogo a una generale situazione di disordine del paesaggio agrario della quale approfittarono i diversi attori sociali e utilizzatori delle risorse della terra. Se da una parte la flebile presenza monastica trecentesca aveva favorito pratiche indebite di uso e di usurpazione dei suoli da parte degli abitanti dei villaggi e dei comuni limitrofi; dall’altra gli stessi enti monastici approfittarono del generale clima di ridefinizione patrimoniale per rivendicare scampoli di terre a scapito della proprietà collettiva. Su questi beni il monastero e le comunità si appellavano agli antichi diritti di proprietà che si perdevano nella

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G.DE SANDRE GASPARINI, Contadini, chiesa, confraternita in un paese veneto di bonifica cit., pp. 39-66.

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Michele Fassina riporta che per il medesimo territorio si può appurare un difficile equilibrio tra zone appoderate e zone paludose alla fine del Medioevo e nei primi decenni del Cinquecento: «Per l’area mestrina e in generale per tutta la dorsale lagunare per molto tempo i confini tra i campi strappati alle acque e le valli restarono incerti e sempre indefiniti», M. FASSINA, Le chase

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memoria degli uomini. Entrambe le parti utilizzarono antiche concessioni per avvalorare le proprie pretese e i propri diritti.