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II. La conoscenza del territorio: strumenti e tecniche

II.2. Mappe e disegni

Come è già stato ricordato, i monasteri furono al centro delle dinamiche produttive delle campagne venete condotte attraverso vaste opere di acquisizione fondiaria e di trasformazione e controllo del territorio. Tale attività infatti richiedeva una costante e attenta opera di scrittura, registrazione e descrizione dei beni per certificare il possesso fondiario. La capacità di gestione del patrimonio economico degli enti monastici fu incrementata anche attraverso l’acquisizione di conoscenze che permettevano di organizzare le caratteristiche e la struttura formale delle carte prodotte a garanzia dei propri diritti e privilegi. L’ininterrotta presenza sul territorio si mostra quindi attraverso una copiosa quantità di documentazione cartacea o pergamenacea conservata tra i fondi degli enti religiosi e tra queste tipologie spiccano disegni e mappe dei beni posseduti318

.

Le mappe conservate nei fondi delle corporazioni religiose soppresse veneziane e venete risultano per di più parte integrante nel fascicolo processuale. Nel

comprata e venduta e , di conseguenza, richiede di essere delimitata con esattezza», L. NUTI,

Ritratti di città. Visione e memoria tra Medioevo e Settecento,Venezia 1996, pp. 146-147.

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S.ZAGGIA, Ruoli e competenze dei « periti pubblici » in ambito veneto. Nota su alcune fonti

(secoli XVI-XVIII), in «Architetto sia l’ingegniero che discorre». Ingegneri, architetti e proti nell’età della Repubblica, a cura di G. Mazzi e S. Zaggia, Venezia 2004, p. 327 (pp. 327-346).

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F.CAVAZZANA ROMANELLI, «Distribuire le scritture e metterle a suo nicchio». Studi di storia

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“processo”, come si è già ampiamente approfondito sopra, vengono infatti raccolti tutti i materiali che trattano il medesimo affare o pratica319

. Ecco allora che al suo interno possono essere contenuti fogli rilegati, vacchette, registri, disegni e mappe. Rarissimi sono tuttavia i disegni anteriori al XVI secolo e la loro presenza è da associare, il più delle volte, alla sedimentazione all’interno dei faldoni di scritture private, minute e atti preparatori riguardanti le contese sui beni oggetto della pratica processuale. I casi esaminati fanno pensare che l’esistenza di questi disegni sia il frutto di private scritture, schizzi e appunti di monaci o amministratori dei beni del monastero redatti per certificare con maggiore rapidità l’estensione o le caratteristiche fisiche di alcuni beni e, forse, in occasioni di vertenze giudiziarie queste attestazioni potevano essere aggiunte come prova alle più dettagliate descrizioni dei prattici. Le “private descrizioni” sono per lo più eseguite con tratti veloci e stilizzati, descrivono per esempio la forma di un bosco trasformandolo in un semplice trapezio, sui cui lati si leggono le misure accompagnate da qualche appunto o formula, oggi poco decifrabile. E ancora, si possono ritrovare immagini stilizzate di porzioni di laguna, con indicate le valli da pesca contese, dove i fondamenta320, ovvero lotti di terreno o di barena che costituivanono nuclei principalmente destinati all’attività produttiva o di riparo, sono descritti graficamente con semplici forme geometriche. Ciascun lotto è inoltre indicato con il proprio nome e collocato lungo le vie d’acqua salate che si alternano tra le peschiere [Cfr. appendice cartogr., immagine n. 7]321. Oppure, per allontanarsi dalla gronda, si può ricordare la descrizione di ghiare, isoloni e incolti distribuiti lungo i percorsi dei principali fiumi dell’entroterra. I disegni e gli

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Ibidem, p. 63. «Ogni documento era ricongiunto, per affinità di oggetto, alla pratica di appartenenza, che veniva così a sedimentarsi in un processo al suo interno cronologicamente ordinato, ossia in un fascicolo con una propria cartulazione e un proprio titolo generale. In esso potevano essere inseriti pure altri atti, estratti in copia dalla documentazione a registro. Il processo veniva sovente consolidato nel suo aspetto esterno entro una sorta di cartella, il complesso delle quali conferiva uniformità anche estrinseca all’intero archivio, e che raccoglieva cucite assieme pergamene e carte delle epoche più svariate, ma unificate dalla comune attinenza di materia».

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Entro questi spazi, oltre al casamentum o casone per il ricovero notturno dei lavoratori, vi erano anche altri annessi utili per l’attività di pesca o per la caccia in laguna.

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Un esempio chiaro di questo modo di rappresentazione grafica, stilizzata e veloce di una parte di laguna, con i casoni e i fondamenta indicati lungo le vie endolitoranee è il disegno della valle da pesca di San Marco Nuovo, conservato in ASVe, Mensa Patriarcale, b. 112.

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schizzi di tali conformazioni naturali furono probabilmente realizzati per fissare la memoria del possesso su beni che spesso erano dichiarati comuni e per tale motivo contesi a causa della peculiarità di tale condizione, ma anche per l’ambiguità della loro stessa conformazione e, non ultimo, per il loro carattere anfibio. Un esempio si conserva all’interno del fondo di San Giorgio maggiore e ritrae in modo alquanto veloce e schematico le grave lungo il fiume Piave322. Ma questi esempi sono rari e in quanto tali sono da ritenere preziosi, soprattutto se si considera la loro efficacia nel contenere e tramandare quella visione e percezione personale del paesaggio e della topografia dei luoghi. Inoltre i disegni che qui definiremo “di tipo privato”, per distinguerli dalle mappe dei periti, informano circa la diffusione di saperi tecnici anche tra alcune figure di esperti non del tutto specializzate, tanto da poter appoggiare l’idea di una presenza diffusa di quelle che vengono definite “maestranze intermedie”323. Queste forme “private” di

elaborazione grafica dei luoghi devono dunque far pensare a una sempre più diffusa erudizione delle tecniche topografiche anche tra coloro che poi non erano dei veri e propri professionisti dell’arte dell’agrimensura. Resta ancora difficile capire quanto sia stato vasto il fenomeno del passaggio di informazioni tecniche e scientifiche nel Quattrocento tra gli strati sociali intermedi.

Conclusioni

Per riprende quanto detto fino ad ora, un maggiore dinamismo nella produzione documentaria dei monasteri lagunari si riscontra a partire dagli anni Ottanta del XV secolo, contro una sostanziale immobilità della stessa nei decenni a cavallo tra la fine del XIV secolo e primi del Quattrocento. Come è già stato

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ASVe, CRS, San Giorgio Maggiore, b. 75.

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In questo modo Giuliana Mazzi definisce gli innumerevoli operatori che pur attivi all’interno delle vaste attività produttive, come cantieri, ma anche uffici e fabbriche non hanno ricoperto ruoli eminentemente pubblici, ma hanno apportato e diffuso tecniche e competenze scientifiche, G. MAZZI, «Una cosa ben’aggiustata e che s’accosti alla perfezione», in «Architetto sia l’ingegniero

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rilevato in altri studi, l’analisi dell’andamento della produzione documentale è sintomo della vitalità fondiaria degli attori sociali che intervengono in un ambiente, che sia il monastero o chiunque abbia avuto a che fare con esso. Per esempio i contenziosi sui confini di boschi e valli da pesca sono ampiamente documentati per i decenni qui considerati (ultimo quarto del XV secolo)324. Alla flessione dell’economia monastica trecentesca generalmente corrisponde una produzione delle fonti tradizionale nelle forme e quantitativamente immobile; mentre, alla ripresa economica e al rinnovato investimento fondiario sembra corrispondere una più abbondante ripresa della registrazione della memoria del monastero, che si arricchisce nella forma e nel contenuto. Per i fondi delle comunità qui analizzate, nonostante si riscontri una continuità nella produzione documentale attraverso i secoli, si deve però constatare un netto salto qualitativo e quantitativo della tipologia a partire proprio dalla seconda metà del XV secolo. La qualità, come si è detto, risiede nella natura estrinseca ed intrinseca della documentazione. All’interno dei fondi monastici esaminati si riscontra infatti una presenza di diversificate forme create appositamente per la registrazione dei diversi beni: rimane la pergamena o il fascicolo pergamenaceo, ma ad essi si affiancano disegni, piccoli registri di misurazione, libretti dei conti e le prime mappe dei beni che innovano qualitativamente rispetto alla statica produzione del secolo precedente.

Tra le fonti monastiche analizzate è possibile compiere una selezione anche topografica delle notizie riguardanti alcuni importanti interventi patrimoniali. Inoltre, tale documentazione offre la possibilità di analizzare in senso diacronico le lunghe vicende a cui i monasteri dovettero far fronte per difendere i propri patrimoni costantemente esposti a contese confinarie con altri attori laici o ecclesiastici.

Per concludere, si deve però affermare che, sebbene le fonti monastiche siano rimaste le uniche testimonianze in grado di fornire un panorama medievale abbastanza concreto di ciò che animava i problematici spazi incolti del bordo

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lagunare, rimane la consapevolezza di quanto queste stesse fonti non possano che restituire uno sguardo in parte limitato per ricostruire in modo coerente e consapevole un ecosistema tanto complesso e per comprendere a pieno le relative modalità di intervento economico, politico e sociale sulle sue risorse.

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Parte Terza.

L’area perilagunare e l’uso produttivo dell’acqua e del bosco. Alcune

campionature

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I. Fisionomie anfibie e boschive lungo i bordi lagunari alla fine del