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I lavori dell’Assemblea Costituente

1.2. Il periodo transitorio e la Consulta Nazionale

1.2.1. I lavori dell’Assemblea Costituente

In data 2 giugno 1946 ( il giorno successivo alle fine della Consulta Nazionale ), si svolse il più importante referendum al quale i cittadini italiani siano mai stati chiamati a partecipare. Si trattava infatti di scegliere in maniera definitiva tra la monarchia, fino ad allora vigente con alterne fortune, e la forma di stato repubblicana.

La vittoria di chi scelse la Repubblica fu attestata da 12.717.923 di voti, contro i 10.719.284 dei monarchici; quindi, con una forbice di quasi due milioni di voti, i repubblicani si aggiudicarono questo storico e fondamentale confronto.

Scelta la forma di stato, adesso bisognava regolarla in tutti i suoi aspetti. Questo difficile compito spettò all’Assemblea Costituente che, a differenza della Consulta, dovette affrontare sia il problema dei regolamenti nelle due frazioni del Parlamento, sia quello della nuova norma di rango costituzionale destinata a diventare il fondamento del nuovo ordinamento parlamentare.

L’Assemblea Costituente, riunitasi per la prima volta il 25 giugno 1946, provvide, tra i primi atti, ad eleggere il Capo provvisorio dello Stato nella persona di Enrico De Nicola. Essa svolse i suoi lavori fino al 31 gennaio 1948, prorogando a più riprese la sua durata, inizialmente prevista in otto mesi 15.

Riguardo i regolamenti, però, l’Assemblea non decise nulla in quanto, con una prassi già conosciuta da oltre un secolo, si scelse di adottare

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Il disegno di legge del 14 giugno 1947 ne prorogava all'8 settembre 1947 il termine, ma, l'Assemblea Costituente, approvò a scrutinio segreto l'emendamento del demolaburista Gasparotto, che fissava il termine al 31 dicembre 1947.

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testi già esistenti invece di elaborarne di nuovi. Infatti, già nel 1946, un decreto luogotenenziale così dispose: “ Finché non avrà deliberato il proprio Regolamento interno, l’Assemblea Costituente applicherà il Regolamento interno della Camera dei Deputati in data 1° luglio 1900 e successive modificazioni fino al 1922 ”.

Quindi, in attesa di formarne uno proprio, venne scelto il Regolamento prefascista in vigore fino al 22 ottobre 1922, sennonché la Costituente non si decise mai a modificare tale testo al contrario di quanto aveva fatto invece la Consulta qualche mese prima.

Riguardo la questione delle votazioni, scegliendo il Regolamento del 1900 e successiva modifica del 1922, venne sancita la prevalenza dello scrutinio segreto su ogni altra modalità di voto, in contrapposizione alle scelte operate dalla dittatura fascista.

Siamo a metà della storia della Costituente quando, nella seduta del 23 aprile 1947, il Presidente Terracini comunicò all’Assemblea che era stata presentata una richiesta di votazione a scrutinio segreto, oltre a quella per l’appello nominale, su un emendamento al primo comma dell’articolo 23 ( progetto di Costituzione riguardante il matrimonio ) . Il Presidente, dopo aver elencato i casi in cui il vecchio Regolamento della Camera dei Deputati, in vigore sin dal 1922 ed applicato dall’Assemblea Costituente, prescriveva tassativamente l’uso dello scrutinio segreto, precisò che, sempre secondo tale Regolamento, esso era possibile su altre materie quando fosse stato richiesto da venti deputati ( purché non fossero previste espressamente altre forme di votazione ) e dichiarò che, nel concorso di diverse domande, quella a scrutinio segreto sarebbe dovuta prevalere su tutte le altre.

L’assoluta novità della richiesta di votazione a scrutinio segreto portò il Presidente Terracini ad affermare: “ Tuttavia, ci dice la storia

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parlamentare italiana che una votazione segreta su una parte di un disegno di legge, dal 1881 non è mai stata effettuata. Ciò non vuole dire che non si possa modificare questa antica tradizione. Penso, per altro, che sia da tener presente che si tratta di una votazione alla quale si ricorre veramente soltanto in casi di straordinaria importanza, e ciò dico senza contestare l’importanza del voto che stiamo per dare ”. Data l’inusualità della richiesta, i costituenti non nascosero stupore e perplessità, tanto che il funzionario stenografo dell’epoca registrò sul resoconto: “ Commenti ”.

Era passato più di mezzo secolo dall’ultima volta in cui era stato richiesto lo scrutinio segreto e, proprio per questo carattere di straordinarietà, il Presidente ritenne opportuno invitare l’Assemblea a decidere quale delle due forme di votazione si sarebbe dovuta usare. Secondo l’onorevole comunista Velio Spano bisognava soltanto applicare il Regolamento.

Terracini rispose che, “ nel passato, nei casi di richiesta di diversi modi di votazione è sempre avvenuto - come nel famoso caso del 1881 - che la Camera ha discusso il sistema da adottare ”.

Spano replicò che “ allora non si trattava di fare la Costituzione ” e che anche all’epoca “ esisteva il Regolamento della Camera che noi abbiamo adottato ”.

Il dibattito divenne sempre più infuocato ed allora il Presidente ritenne opportuno domandare, ai presentatori della richiesta del voto segreto, se avessero intenzione di mantenerla. Probabilmente in questo interpello si celava, anche se in maniera velata, un invito a ritirare la richiesta stessa.

Dopo la dichiarazione di uno dei firmatari di mantenere la richiesta di votazione segreta, data “ l’importanza della materia in questione ”, si

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aprì un lungo e vivace dibattito, che costituì un emblematico precedente.

Intervenne allora l’onorevole Gronchi, Presidente del gruppo della Democrazia cristiana che, dopo aver manifestato le sue perplessità sulle ragioni per cui su di una questione del genere ( quella appunto dell’indissolubilità del matrimonio ) fosse stato richiesto lo scrutinio segreto, aggiunse: “ Quando si discusse il Regolamento della Consulta, che rappresenta in un certo senso un adeguamento più vicino alla sensibilità moderna di un’Assemblea democratica, si invertì il grado procedurale dei due sistemi di votazione ”, dunque nel concorso tra più domande, si sarebbe concessa priorità all’appello nominale, che prevaleva quindi su tutte le altre.

Gronchi diede una sua versione, molto interessante, sul perché fosse stato richiesto lo scrutinio segreto, e la individuò in “ speranza di guadagnare pavidi proseliti alla propria causa … o il calcolo di convenienza … che equivale al non avere il coraggio politico di assumere una posizione ”. Concluse che, secondo lui ed il suo gruppo d’appartenenza, la questione aveva una grandissima importanza e che ciascuno dei colleghi costituenti avrebbe dovuto assumersi le proprie responsabilità a viso aperto.

Rispose allora l’onorevole socialista Rocco Gullo, uno dei firmatari della richiesta di scrutinio segreto, asserendo innanzitutto che, se l’articolo 97 del Regolamento prevedeva lo scrutinio segreto, voleva dire che in alcuni casi ciò era possibile, senza che questo comportasse a chi l’ha richiesto l’etichetta di pavido e privo di senso civico.

Sul piano regolamentare, continuò Gullo, l’articolo 97 non stabiliva affatto che la richiesta di scrutinio segreto dovesse essere motivata o discussa, occorreva solo che fosse presentata da almeno venti deputati

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e che prevalesse su tutte le altre. Quindi l’Assemblea non aveva niente da discutere perché il quorum necessario era stato raggiunto e, da Regolamento, non si poteva certo soffocare il diritto di quei venti deputati.

Anche l’onorevole Togliatti, comunista, era sulla stessa lunghezza d’onda e affermò che, poiché il Regolamento della Camera era il presidio della libertà dei deputati, essendo stata richiesta la votazione segreta, la votazione segreta si doveva fare.

Concludendo allora, il Presidente Terracini, dopo aver precisato che il suo atteggiamento di fronte alla domanda di scrutinio segreto era dettato solo dall’opportunità “ che è sempre in relazione al tempo ” e che aveva assunto già atteggiamenti simili anche in occasione di richieste di appello nominale, affermò di non capire perché si fosse voluta trasferire la questione sul piano drammatico della tutela dei diritti delle minoranze.

Detto questo, diede dunque corso alla votazione a scrutinio segreto, dove i voti favorevoli alla soppressione della parola “ indissolubile ” furono 194, quelli contrari 191. Quindi, il primo comma dell’articolo 23 del progetto di Costituzione ( divenuto poi l’articolo 29 nel testo definitivo ), risultò così formulato: “ La Repubblica riconosce il diritto della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio ”.

Dopo questa prima votazione a scrutinio segreto su richiesta, nella stessa seduta, fu presentata un’analoga domanda concernente la famiglia, che poi però fu ritirata e trasformata in richiesta di appello nominale.

Da quel momento in poi, il ricorso a votazioni a scrutinio segreto sarà sempre più frequente, tanto da arrivare a superare nel numero quelle per appello nominale. Bisogna comunque sottolineare che, la maggior

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parte delle volte, la richiesta di voto segreto non fu di natura politica in senso stretto, ma più che altro venne posta in essere per ragioni strumentali ed organizzative, anche perché questa modalità di votazione richiedeva minor tempo rispetto a quella per appello nominale. Dunque fu spesso utilizzata, con lo scopo di render più spediti o meno lenti, i lavori parlamentari 16.

Merita attenzione, inoltre, il dibattito svoltosi sulla procedura da seguire nell’organizzazione dei lavori parlamentari per giungere all’approvazione della Carta Costituzionale.

Per restringere i tempi della discussione e dell’approvazione dei vari articoli del progetto costituzionale, venne proposto di elevare il numero delle firme necessarie per richiedere la votazione per appello nominale o per scrutinio segreto: da quindici e venti firme, come previsto dal Regolamento in vigore, a trenta.

Il Presidente della Giunta del Regolamento presentò questa proposta spiegando che, quando l’Assemblea era composta da 508 membri, venti firme andavano più che bene. Ma dato che il numero era salito a 556 componenti, l’aumento a trenta firme era più che naturale.

Questa proposta fu però aspramente osteggiata dai gruppi minori, che videro nell’aumento del numero delle firme necessarie per chiedere le votazioni qualificate, una lesione dei loro diritti.

I demolaburisti criticarono questa scelta di portare il numero delle firme necessarie da venti a trenta spiegando che, così, il sacrificio dei piccoli gruppi era consumato e, nell’Assemblea, erano presenti gruppi

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Indicativa, in questo senso, la dichiarazione effettuata dall'onorevole Gronchi nella seduta del 28 aprile 1947: “Stavamo per proporre la votazione a scrutinio segreto, perché essa è più rapida e

servirebbe a contrastare un tentativo che per noi traspare abbastanza chiaro - chiediamo scusa ai colleghi se ciò sembra un processo alle loro intenzioni - quello cioè di mandare per le lunghe la discussione e la votazione su questo articolo”.

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che neppure in due, uniti, potevano esercitare più alcuni diritti. Proseguivano dicendo che il Regolamento doveva garantire sì i diritti delle maggioranze, ma anche quelli dei gruppi minori e che, così facendo, si sarebbe limitata la libertà del loro mandato visto che ognuno dovrebbe avere il diritto di esprimere la propria opinione. Altre protese giunsero dai gruppi misti; per loro, esigere trenta firme, voleva dire togliere a molti gruppi dell’Assemblea la possibilità di chiedere un appello nominale o una votazione per scrutinio segreto. Inoltre significava concedere palesemente solo ai grandi partiti, la possibilità di esercitare tali facoltà.

Al termine di questa ampia discussione, si votò a scrutinio segreto un ordine del giorno presentato dai gruppi minori per il non passaggio all’esame degli articoli. Su 380 presenti e votanti i voti favorevoli furono 194, mentre quelli contrari 186. Dunque, il numero di firme necessario alla richiesta di votazione per appello nominale o a scrutinio segreto, rimase a venti invece delle trenta proposte durante la riforma.

Occorre inoltre sottolineare che, da quando venne approvata la legge che prorogò la durata dell’Assemblea Costituente al gennaio 1948, i lavori per l’esame dei rimanenti articoli del progetto di Costituzione furono più distesi e meno convulsi.

Tra l’altro il ricorso allo scrutinio segreto, pur senza raggiungere numeri elevatissimi, fu comunque frequente e superò ampiamente le richieste di appello nominale. Ciò avvenne per due motivi: in primis la prevalenza, accordata dal Regolamento, del primo sul secondo e, soprattutto, il minor tempo necessario per lo svolgimento delle operazioni di voto.

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Infatti le votazioni a scrutinio segreto su emendamenti od ordini del giorno, effettuate dall’Assemblea Costituente dalla seduta del 23 aprile 1947, furono complessivamente 43, mentre le votazioni per appello nominale solo 23 ( la prima di queste fu chiesta sull’emendamento Amendola ) .

Per la redazione della Costituzione, l’Assemblea, scelse di affidare la stesura del progetto ad una sua articolazione interna denominata “ Commissione dei Settantacinque ”, presieduta dall’onorevole Ruini e divisa a sua volta in tre Sottocommissioni.

I costituenti in seguito, furono protagonisti di una lunga ed accesa discussione sul problema di una eventuale consacrazione costituzionale della modalità di voto, segreta o palese, dei disegni di legge nel loro complesso. Alla fine essi, furono concordi nel non riproporre nel testo definitivo una norma analoga all’articolo 63 dello Statuto Albertino, così come invece era stato inizialmente proposto. Si decise, dunque, di rimettere all’autonomia regolamentare di ciascuna Camera la questione riguardante le modalità di votazione.

L’articolo 72 della Carta Costituzionale ( che riprese l’art. 69 del progetto della Costituente ), avrebbe dovuto sancire che ogni progetto di legge fosse esaminato in primis da una Commissione di ciascuna Camera, secondo le norme del relativo Regolamento, e poi approvato dalla Camera, articolo per articolo, con votazione finale a scrutinio segreto.

La decisione, dunque, di lasciare all’autonomia regolamentare delle Camere la disciplina della votazione finale sui progetti di legge, più che voler rispettare indipendenza e competenza di ciascun ramo del Parlamento, era funzionale soprattutto alla volontà dei costituenti di non prender posizione su un tema così spinoso, sul quale le maggiori

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forze politiche avevano già avuto modo di dividersi, tra l’altro in alcuni casi, invertendo le posizioni che avevano assunto in seno alla Consulta Nazionale.

Democristiani e liberali, ma anche alcuni socialisti, che alla Consulta si erano espressi a favore dello scrutinio segreto, ispirandosi alla positiva esperienza precedente e temendo altrimenti forme di coercizione ed intimidazione da parte delle sinistre, in sede costituente si schierarono invece contro, consapevoli che il voto segreto aveva potenzialità dispersive e “ spacca maggioranza ”, e che infine garantiva solo formalmente una posizione di potere, come era accaduto all’epoca del fascismo. Essi dunque, a differenza dell’anno precedente, si schierarono per il mantenimento del voto palese, potendo così controllare i propri parlamentari e ricondurli agli indirizzi del partito 17.

Le sinistre invece, composte da comunisti, socialisti, azionisti e demolaburisti, si schierarono inizialmente a favore del voto palese, sia per sottolineare il diverso regime rispetto all’esperienza parlamentare liberale, sia per far si che l’opinione pubblica potesse verificare l’attività degli eletti ( gli esponenti di sinistra, volevano così far capire, che non avevano nulla da nascondere e potevano benissimo operare alla luce del sole ) .

In ogni caso non era secondaria l’allettante possibilità di controllare, tramite il voto segreto, la maggioranza parlamentare alla quale essi

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A questo proposito, è molto interessante notare il confronto fra le posizioni espresse dalla II Sottocommissione dell'Assemblea Costituente del 1946, e le decisioni finali dell'Assemblea nell'anno successivo. In sede di Sottocommissione, ci fu la proposta del relatore Mortati di costituzionalizzare lo scrutinio segreto e sulla base di questa proposta, venne redatto l'art. 69 del Progetto di Costituzione. Però fu lo stesso Mortati, un anno dopo, a presentare un emendamento che demandava invece ai regolamenti parlamentari, la scelta delle modalità di votazione all'interno della Camera.

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ambivano ( si può notare, ancora una volta, quanto stretta sia la correlazione tra indirizzo politico e modalità di votazione ) .

Cambiato però lo scenario internazionale, e passate dunque all’opposizione, le sinistre certo non si peritarono a cambiar l’opinione espressa solo un anno prima in seno alla Consulta. Consapevoli di esser coesi al proprio interno, speravano attraverso il voto segreto di far esplodere delle contraddizioni in seno alla maggioranza, già manifestatesi durante i lavori costituenti, sfruttandole così a proprio vantaggio.

Nonostante queste schermaglie provenienti dai partiti, l’idea della Costituente era quella di prevedere l’approvazione, articolo per articolo, sui progetti di legge con votazione finale a scrutinio segreto ( lasciando previamente l’esame del disegno di legge alla Commissione di ciascuna Camera, secondo il proprio Regolamento ) . Bisogna registrare che, già sin dalle prime battute della discussione, l’onorevole Aldo Moro propose un emendamento volto a sopprimere l’ultima parte del primo comma, cioè le parole “ a scrutinio segreto ”. Moro non si opponeva tanto all’obbligo dello scrutinio segreto per la votazione finale dei progetti di legge, questione che comunque doveva esser lasciata impregiudicata all’autonomia regolamentare delle due Camere, quanto piuttosto alla possibile costituzionalizzazione di un principio che, già nel passato, aveva dato luogo a vari inconvenienti. Tra l’altro l’onorevole, colse anche l’occasione di questo intervento per esprimere la sua valutazione, che poi era anche quella prevalente all’interno della Democrazia cristiana, sulla tematica del voto segreto affermando testualmente: “ Il problema della votazione per scrutinio segreto fu sollevato in questa Assemblea già in sede di Giunta del Regolamento perché, in effetti, nel corso di questi nostri lavori, l’uso e

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forse l’abuso che si è fatto di questo mezzo di votazione hanno dimostrato l’opportunità di rivedere per lo meno le modalità che lo regolano. Io non voglio entrare nel merito dell’ammissibilità o meno di questo mezzo di votazione alla Camera. Però mi ripugna che si faccia richiamo, nientemeno che nel testo costituzionale, a questo sistema particolare di votazione del quale si possono dire due cose: da un lato tende ad incoraggiare i deputati meno vigorosi nell’affermazione delle loro idee e dall’altro tende a sottrarre i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale, per quanto hanno sostenuto e deciso nell’esercizio del loro mandato ”.

Altri emendamenti dello stesso tenore furono presentati da altri democristiani. Alcuni socialisti proposero che allo scrutinio segreto venisse sostituito, nel teso dell’articolo 69, l’appello nominale poiché il voto segreto impedisce il controllo dell’opinione pubblica e dei partiti sui propri deputati.

Lo scrutinio palese, invece, serve come strumento di educazione civica, di sincerità nei rapporti politici e nella vita pubblica. Dopo questa bella disamina però, ritirarono i propri emendamenti, per lasciare alle Camere il diritto di autodeterminarsi in via regolamentare. Per i repubblicani l’articolo 69 andava bene così come originariamente formulato, mentre per i demolaburisti si dovevano attuare le proposte di riforma presentate da democristiani ed alcuni socialisti.

In una situazione così infiammata ed eterogenea scese in campo l’onorevole Mortati della Dc che, come visto, contrariamente a quanto proposto una decina di mesi prima, richiedeva di abolire dall’articolo

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69 del progetto ogni riferimento alle modalità di votazione, deferendo tutto alla libertà regolamentare delle due Camere.

Diversi socialisti rincararono la dose, non solo contestando l’uso del voto segreto, ma perfino chiedendo l’abrogazione della stessa votazione finale sui progetti di legge.

A districare l’ingarbugliata matassa provvide, finalmente, Meuccio Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Riguardo il primo comma dell’articolo 69, il progetto della Commissione proponeva l’approvazione articolo per articolo ed, infine, la votazione finale a scrutinio segreto sui progetti di legge.

In virtù della proposta di Aldo Moro ed altri parlamentari di abolire lo scrutinio segreto, il Presidente si disse convinto della necessità di una votazione complessiva, di una votazione finale. Non prese invece in considerazione la richiesta, del socialista Nobili, di eliminare la stessa votazione finale sui progetti di legge.

Il Presidente Ruini pose l’accento sul fatto se, si dovesse richieder o meno, lo scrutinio segreto per la votazione finale di ogni e qualunque legge, poiché ce n’erano varie di non grande importanza, che non davano luogo a divergenze e che potevano benissimo esser votate per alzata e seduta, per divisione o in modo palese, ma senza coinvolgere la macchina enormemente ritardatrice dello scrutinio segreto. Dunque, con ciò, si auspicava una semplificazione ed un acceleramento nei lavori delle Camere. Se poi fosse rimasta ancora impregiudicata nel Regolamento la possibilità di chiedere lo scrutinio segreto, questo sarebbe stato richiesto volta per volta, per determinate leggi.

Riguardo la questione se si dovesse o no sopprimere di per se ogni possibile applicazione dello scrutinio segreto, questa decisione sarebbe spettata autonomamente alla disciplina regolamentare delle

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Camere ( e così facendo venne confermata la linea già seguita