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La storica riforma del 1988: l’introduzione del voto palese

CAPITOLO SECONDO

2. Le prime basi della riforma

2.3. La storica riforma del 1988: l’introduzione del voto palese

Alla fine degli anni Ottanta i tempi erano ormai maturi per una riforma radicale dei sistemi di votazione dopo che, nei decenni precedenti, si erano scontrate sul tema varie dottrine e la giurisprudenza.

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Per la prima tesi, cfr. in particolare S. LABRIOLA, op. cit.; e S. ANDO', op. cit.

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La questione del voto segreto, nell’ultimo periodo, era andata assumendo una valenza sempre maggiore nel rapporto tra le varie forze politiche, rendendo assolutamente necessario un confronto su tale problema.

Il 19 aprile 1988, nel documento programmatico del Governo De Mita presentato alla Camera dei Deputati e contemporaneamente trasmesso al Senato della Repubblica, si sosteneva il diritto - dovere della maggioranza ad attuare il proprio programma ( riducendo l’area del voto segreto ), accanto a quello dell’opposizione di esercitare le proprie funzioni di rappresentanza e controllo.

Obiettivo della maggioranza di governo fu quello di rendere più trasparenti i comportamenti dei deputati e, al contempo, più chiari i rapporti tra maggioranza ed opposizione, in modo da consentire alla prima di perseguire il proprio indirizzo politico sotto l’efficace controllo critico e propositivo della seconda.

Questo fu un altro esempio di quanto stretta sia la connessione tra modalità di votazione e le dinamiche del governo, dato che questa proposta apriva la strada del passaggio dal consociativismo parlamentare al bipolarismo, quindi dell’alternanza tra i due principali partiti ( o coalizioni di partiti ), nei ruoli di maggioranza che decide ed opposizione che partecipa proponendo una critica sana e costruttiva. Palese fu, dunque, la volontà della maggioranza di addivenire, in tutti i modi, ad una corposa restrizione del voto segreto, “ anche se ciò avesse comportato il venir meno di quella convenzione regolamentare per cui, in occasione delle modifiche al Regolamento, la maggioranza

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avrebbe dovuto favorire la formazione del più vasto consenso politico possibile per garantire alle nuove regole un più solido fondamento ” 46.

La decisione della maggioranza di contare solo sulle proprie forze, senza ricercare a priori in consenso delle opposizioni, suscitò l’immediata reazione di queste ultime, in special modo da parte della sinistra, preoccupata da questo atteggiamento di totale rottura.

Nonostante queste scelte comportamentali, alla base, tutte le parti in causa erano convinte della necessità di alcune modifiche ai regolamenti. La situazione andava risolta al più presto e di ciò furono testimonianza le indebite pressioni esercitate dall’allora Presidente del Consiglio De Mita. Basti pensare che dichiarò di non voler neppure iniziare la discussione sulla finanziaria, in caso di mancata abolizione del voto segreto, minacciando velatamente in tal modo, di voler ricorrere allo scioglimento anticipato delle Camere 47.

Così facendo egli pose una sorta di questione di fiducia “ extra

ordinem ” 48, scatenando quindi le proteste delle opposizioni, le quali

accusarono il Governo di indebita ingerenza nell’autonomia regolamentare del Parlamento.

Questa vicenda dimostrò che, uno dei limiti all’efficacia dei testi delle Camere, deriva proprio dal diritto del Governo di avere a disposizione quegli strumenti essenziali al perseguimento del proprio indirizzo politico.

Dunque la maggioranza, non certo unita al suo interno, spingeva per rimuovere il voto segreto in quanto fattore d’instabilità politica e per poter perseguire con efficacia e coerenza gli obiettivi politici

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C. CHIMENTI, Gli organi costituzionali nella forma di governo italiana, Giappichelli, Torino, 1989, pp. 191 ss.

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P. MIELI, Niente finanziaria senza voto palese, in La Stampa, 14 settembre 1988. 48

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prefissatasi. Era pur vero che lo scrutinio palese rappresentava comunque per la maggioranza un’arma a doppio taglio perché, se da un lato permetteva un controllo più stringente sul voto dei parlamentari, dall’altro rendeva immediatamente identificabili le eventuali aree di dissenso e di contrasto esistenti al suo interno, palesando così debolezza politica agli occhi delle opposizioni, degli elettori e dell’opinione pubblica.

Ma i vantaggi erano di gran lunga superiori perché, eliminando il voto segreto, i casi di dissenso strumentale venivano enormemente ridotti; a volte la maggioranza parlamentare o il Governo potevano avere anche interesse a far uscire allo scoperto i dissensi ed i contrasti interni al fine di sottoporli al giudizio dell’elettorato; infine la prospettiva del voto palese poteva indurre la maggioranza ad affrontare e risolvere per tempo, o comunque con particolare attenzione, i problemi esistenti al suo interno in modo da non mostrarsi debole agli occhi dell’opposizione e dell’opinione pubblica.

Dall’altra parte della barricata, le opposizioni, non volevano perdere quel formidabile strumento per condizionare e volgere a proprio favore le divisioni ed i contrasti esistenti in seno alle maggioranze di governo.

Un’opposizione dunque disposta ad accettare l’abrogazione dello scrutinio segreto solo per le votazioni riguardanti la materia finanziaria, e pronta a lottare affinché si riservassero margini di autonomia decisionale sia ai parlamentari che allo stesso Parlamento nelle cosiddette “ conscience matters ”, in modo da tutelare la libertà di coscienza da ogni tipo di influenza.

Con queste premesse si giunse al dibattito vero e proprio, nel merito della riforma regolamentare alla Camera dei Deputati, a settembre del

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1988. Pur in presenza di numerosi e differenti progetti di revisione regolamentare, il confronto parlamentare si focalizzò su tre fondamentali proposte.

La prima fu quella che si rifaceva al progetto presentato dall’onorevole Cardetti e da altri deputati socialisti ( doc. II n. 10 ), che proponeva una serie di modifiche intese “ a rimuovere gli ostacoli che … maggiormente paiono pregiudicare l’efficace esplicarsi della funzione legislativa … e quelli che maggiormente si oppongono ad una maggiore scioltezza ed incisività dell’azione di governo nelle sedi parlamentari ” .

In particolare questa proposta prevedeva, per quanto riguarda le modalità di votazione, l’adozione del voto palese come regola di carattere generale, pur con alcune limitate eccezioni in cui era ammessa la votazione segreta.

Questo progetto costituì il testo normativo di base preso come prototipo dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei Deputati per la discussione in Aula. La scelta di adottare tale progetto come modello di riferimento fu presa, in seno alla Giunta, con una strettissima maggioranza, cinque voti contro quattro 49.

Il testo originario della Giunta prevedeva la sostituzione dell’articolo 49 comma primo, del Regolamento della Camera, con il seguente enunciato: “ Le votazioni hanno luogo a scrutinio palese. Sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni riguardanti persone o attinenti a diritti di libertà costituzionalmente garantiti di cui alla Parte I, Titolo I della Costituzione. In caso di dubbio sull’oggetto della

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In quell'occasione ci fu l'astensione del Presidente Iotti, che peraltro espresse il suo rammarico per essere venuto a conoscenza della volontà della maggioranza di affrontare subito il nodo del voto segreto, solo dai mezzi di informazione.

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deliberazione in relazione ai diritti di libertà costituzionalmente garantiti di cui al comma precedente, decide il Presidente della Camera ” .

La seconda tesi, condivisa da tutti i gruppi dell’opposizione, come si evinceva dall’insieme delle proposte emendative al testo presentato dalla Giunta, fu quello che ipotizzava l’obbligatorietà del voto palese nelle leggi finanziarie e di bilancio e sulle norme che determinavano conseguenze finanziarie, con la previsione del voto segreto, a richiesta, per tutte le altre materie.

Infine, la terza proposta fu quella che riprese il progetto, successivamente ritirato, dell’onorevole Del Pennino, che tentava una mediazione tra i due schieramenti contrapposti, sancendo il voto palese come regola generale, ma con la possibilità di apportare caso per caso eccezioni a tale regola.

Il nodo fondamentale riguardava il mantenimento dello scrutinio segreto anche per i diritti della famiglia garantiti costituzionalmente ( così come richiesto da vari parlamentari di maggioranza, sia cattolici che laici ) e per la materia elettorale ( ipotesi largamente invisa ai socialisti ) .

E’ molto importante sottolineare che le proposte di modifica vennero votate, ai sensi del Regolamento allora vigente, a scrutinio segreto. Vennero poi presentate una serie di questioni di pregiudizialità costituzionale 50, respinte comunque dalla Camera, fondate sul fatto

che, l’eventuale approvazione del voto palese, avrebbe determinato la subordinazione ai vincoli di partito e del gruppo parlamentare del principio sancito dall’articolo 67 della Costituzione, relativo al libero

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Tali questioni pregiudiziali di costituzionalità vennero poste da tutti i gruppi dell'opposizione, ad esclusione del gruppo comunista, che evidenziava in tal modo, nella fase iniziale del dibattito, una posizione più accondiscendente verso le proposte della maggioranza parlamentare.

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svolgimento della rappresentanza parlamentare senza alcun vincolo di mandato.

A queste critiche considerazioni rispose il relatore Ciaffi, replicando che, la nuova disciplina del voto segreto predisposta dalla Giunta, non rappresentava l’accantonamento delle garanzie di autonomia e libertà del parlamentare, in quanto le pressioni ed i condizionamenti nei confronti dei rappresentanti, oltre che dalle organizzazioni di partito, potevano derivare anche da lobbies ed altri gruppi di pressione portatori di interessi particolari.

Dunque per Ciaffi la proposta della Giunta, prevedendo il ricorso al voto segreto per le deliberazioni sulle persone e su questioni che attenevano alla libertà di coscienza, ebbe il merito di bilanciare l’indipendenza del deputato coi principi di trasparenza e controllo dell’attività parlamentare propri del rapporto di rappresentanza 51.

Dato che furono proposti vari emendamenti, la Giunta per il Regolamento, individuò i principi base sui quali discutere e li divise in alcune categorie.

Innanzitutto, scrutinio palese obbligatorio nelle votazioni che hanno ad oggetto la legge finanziaria, le leggi di bilancio e le leggi collegate, nonché le deliberazioni che abbiano comunque conseguenze finanziarie.

Estensione dei casi in cui si applica lo scrutinio segreto: alle votazioni su leggi di revisione costituzionale, sui presupposti di costituzionalità dei decreti legge e su altre categorie di leggi; alle votazioni attinenti altri principi e diritti costituzionali; alle votazioni sulla legge elettorale e a quelle relative all’ordinamento costituzionale; a seguito di accordi

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presi all’unanimità nella Conferenza dei Presidenti dei gruppi; alle votazioni relative a modifiche del Regolamento della Camera e istituzione di Commissioni parlamentari d’inchiesta; ad ogni altra deliberazione, fatti salvi i casi in cui sia obbligatorio il voto palese. Era poi presente l’obbligo di scrutinio palese per le votazioni in Commissione, fatte salve le votazioni riguardanti persone.

Si proponeva anche che lo scrutinio segreto, nei casi previsti, andava effettuato su richiesta, fatte salve le votazioni su persone ( ove operava automaticamente ) . Si chiese anche la modificazione dei quorum relativi alla richiesta di votazione a scrutinio segreto.

Inoltre soppressione, nella votazione finale delle leggi, dell’obbligo di scrutinio segreto ed adozione di modalità che comportino comunque la verifica del numero legale.

Infine, applicazione dello scrutinio segreto solo alle questioni strettamente attinenti ai casi previsti, con facoltà di separare le votazioni in relazione al carattere composito dell’oggetto e previsione di forme di consultazione, per l’esercizio del potere di decisione del Presidente della Camera, in caso di dubbio sull’oggetto della deliberazione.

Al di là dell’evidente distanza tra alcune posizioni, il nodo principale da sciogliere fu la richiesta di estendere l’ammissibilità del voto segreto alle leggi di revisione costituzionale ed alle altre leggi costituzionali, ai principi costituzionalmente garantiti relativi al diritto di famiglia e soprattutto alle legge elettorale.

Su quest’ultimo punto si registrò la posizione contraria ed intransigente da parte del Psi, che si cercò di superare tramite un compromesso politico che prevedeva la possibilità di deliberare a

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scrutinio segreto in una delle due Camere qualora, in prima lettura, l’altro organo legislativo avesse deliberato a scrutinio palese.

La proposta in esame si dimostrò materialmente irrealizzabile, perché se accolta, avrebbe comportato una grave lesione della reciproca autonomia tra i due rami del Parlamento.

La questione sarà comunque risolta, tra molte difficoltà, solo dopo una dichiarazione con la quale il Presidente del Senato formalizzava l’orientamento di questa sezione del Parlamento a deliberare con scrutinio palese sulla legge elettorale; da qui deriverà la decisione socialista di accogliere la previsione dello scrutinio segreto per le votazioni su tale materie alla Camera dei Deputati.

La risoluzione di questo problema certo non fece sparire i dissidi su tutti gli altri, tant’è che i partiti della coalizione governativa respinsero, a strettissima maggioranza, l’estensione dello scrutinio segreto alle votazioni sulle leggi di revisione costituzionale e sulle altre leggi costituzionali, sui presupposti di costituzionalità dei decreti legge e di altre categorie di leggi, nonché a seguito di accordi unanimi nella Conferenza dei Presidenti 52.

Venne, inoltre, respinto l’emendamento che prevedeva lo scrutinio segreto per ogni deliberazione, ad esclusione di quelle che concernono la legge finanziaria, le leggi di bilancio, le leggi collegate e tutte le deliberazioni che avevano comunque conseguenze finanziarie.

L’Assemblea approvò, invece, i principi emendativi presentati dall’opposizione parlamentare relativi all’estensione del voto segreto alla legge elettorale ed a quelle relative all’ordinamento costituzionale,

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Intendiamo riferirci alla reiezione - alla Camera per appena due voti - delle proposte dirette ad estendere lo scrutinio segreto alle deliberazioni su leggi costituzionali e di revisione costituzionale ( Atti parlamentari, Camera dei Deputati, X legislatura, seduta del 7 ottobre 1988, pp. 127 ss.; Senato della Repubblica, seduta del 24 novembre 1988, pp. 4 ss. ) .

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alle votazioni concernenti modifiche al Regolamento della Camera, nonché a quelle relative all’istituzione di Commissioni parlamentari d’inchiesta. Sulla base di queste decisioni, la Giunta del Regolamento rielaborò il testo dell’articolo 49 del R.C. da sottoporre, a maggioranza assoluta e con votazione a scrutinio segreto, alla deliberazione finale da parte della Camera dei Deputati.

Il testo definitivo presentato in Assemblea venne approvato, il 13 ottobre 1988, con la ridottissima maggioranza di sette voti, a dimostrazione di quanto fosse complicato trovare un accordo che rendesse tutte le parti politiche soddisfatte.

A riprova di quanto detto sta il fatto che le modifiche regolamentari furono approvate senza l’apporto dell’opposizione comunista che, fino ad allora, aveva votato a favore di tutte le variazioni dei regolamenti. L’ostruzionismo del Pci nei confronti della revisione dei modi di votazione fu determinata dal fatto che, con lo scrutinio palese, questo partito non poté più fare affidamento sui voti di dissenso della maggioranza che, col voto segreto, si esprimeva contro le iniziative del Governo cui aveva votato la fiducia ( i celeberrimi “ franchi tiratori ” ) .

Le modifiche apportate alla disciplina dello scrutinio segreto, pur non determinando la totale abolizione di tale istituto, misero in discussione i “ principi fondamentali della Costituzione reale delineata dai soggetti politici ed istituzionali nella forma di governo italiana e lo stesso concetto di rappresentanza politica, così come essa era stata definita e realizzata sin dall’origine della democrazia dei partiti ” 53

.

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Il nuovo testo dell’articolo 49, comma 1, del Regolamento della Camera dei Deputati, stabilisce pertanto che:

Le votazioni hanno luogo a scrutinio palese. Sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni riguardanti le persone, nonché, quando ne venga fatta richiesta ai sensi dell’articolo 51, quelle che incidono sui principi e sui diritti di libertà di cui agli artt. 6, da 13 a 22 e da 24 a 27 della Costituzione, sui diritti della famiglia di cui agli artt. 29, 30 e 31 comma secondo, e sui diritti della persona umana di cui all’art. 32 comma secondo, della Costituzione. Sono altresì effettuate a scrutinio segreto, sempre che ne venga fatta richiesta, le votazioni sulle modifiche al Regolamento, sull’istituzione di Commissioni parlamentari di inchiesta, sulle leggi ordinarie relative agli organi costituzionali dello Stato ( Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Corte Costituzionale ), e agli organi delle Regioni, nonché sulla legge elettorale.

Al comma 1 - bis, che non è consentito lo scrutinio segreto nelle votazioni concernenti la legge finanziaria, le leggi di bilancio, le leggi collegate, previste dalla legge 23 agosto 1988, n. 362, e tutte le deliberazioni che abbiano comunque conseguenze finanziarie.

Al comma 1 - ter, che nelle Commissioni hanno luogo a scrutinio segreto soltanto le votazioni riguardanti persone 54.

Al comma 1 - quater, che la votazione finale delle leggi avviene a scrutinio palese, salvo i casi previsti dal comma 1, mediante procedimento elettronico con registrazione dei nomi.

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Per votazioni di questo tipo in Commissione, si ricorda il parere per le nomine ad enti pubblici ( legge n. 14 del 1978 ) e, per il passato, l’elezione del consiglio di amministrazione della concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo ( legge n. 223 del 1990 ), oggi nominato con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti delle Camere.

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Al comma 1 - quinquies, che lo scrutinio segreto può essere richiesto solo sulle questioni strettamente attinenti ai casi previsti nel comma 1. In relazione al carattere composito dell’oggetto, può essere richiesta la votazione separata della parte da votare a scrutinio segreto.

Al comma 1 - sexies, che in caso di dubbio sull’oggetto della separazione, per la quale sia stato richiesto lo scrutinio segreto, decide il Presidente della Camera, sentita qualora lo ritenga necessario, la Giunta per il Regolamento.

Sembra dunque interessante sottolineare che la riforma, oltre alla legge finanziaria, legge elettorale, modifiche degli organi di Stato e votazioni su persone, abbia riguardato anche un’ampia categoria di diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione.

L’articolo 49 comma 1 si riferisce, nell’ordine, a: minoranze linguistiche, libertà personale, inviolabilità del domicilio, libertà e segretezza della corrispondenza, libertà di circolazione, libertà di riunione, libertà di associazione, libertà religiosa, divieto di limitazioni per le associazioni religiose, libertà di manifestazione del pensiero e di stampa, cittadinanza, capacità giuridica, nome, diritto alla difesa, diritto al giudice naturale e principio di legalità, estradizione, responsabilità penale, presunzione d’innocenza, divieto della pena di morte e di trattamenti disumani e degradanti, finalità rieducativa della pena, diritti della famiglia e disciplina del matrimonio, educazione della prole e tutela dei figli, protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù, trattamenti sanitari obbligatori.

In tutte queste materie vi è un voto segreto “ facoltativo ”, nel senso che deve esserci una richiesta in questo senso da parte di trenta deputati o da uno o più Presidenti di gruppi che, separatamente o

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congiuntamente, risultino di almeno pari consistenza numerica ( art. 51 comma 2 R.C. ) .

In ogni caso, nel contrasto tra richieste di voto segreto e questione di fiducia posta dal Governo, la prassi parlamentare ha però dato prevalenza al voto palese, vanificando alla fine quella libertà di coscienza del parlamentare che si intendeva tutelare nelle materie attinenti ai diritti fondamentali, di cui alla parte prima della Costituzione.

Approvata dall’Assemblea la modifica regolamentare dell’articolo 49, occorreva poi coordinarla con le altre norme del Regolamento che interessavano le modalità di deliberazione dei parlamentari, anche se ciò non comportò grandi problemi interpretativi.

L’articolo 51, ai commi 1 e 2, venne modificato nel senso che “ salvo le votazioni che si effettuano a scrutinio segreto, l’Assemblea e le Commissioni votano normalmente per alzata di mano, a meno che sia richiesta la votazione nominale, o, nei casi consentiti dall’articolo 49 e limitatamente all’Assemblea, la votazione a scrutinio segreto ”, con la soppressione dell’inciso finale che riguardava i requisiti per la richiesta dello scrutinio segreto in Commissione ( ora limitato alle sole votazioni riguardanti persone ) .

La Giunta procedette, inoltre, ad adeguare il comma 3 dell’articolo 55 R.C., che prevedeva l’esclusione dello scrutinio segreto per le deliberazioni delle Commissioni in sede referente o consultiva.

Infine, il comma 1 dell’articolo 91, venne modificato nel senso che, la votazione finale dei progetti di legge ( in precedenza a scrutinio segreto ), sarebbe in futuro effettuata a norma del nuovo articolo 49. L’unico vero dubbio interpretativo riguardò il coordinamento con l’articolo 116 comma 2 R.C. che, prevedeva, il principio della doppia

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votazione nel caso in cui il Governo avesse posto la questione di fiducia su un progetto di legge composto da un solo articolo ( norma che, qualche anno prima, aveva portato alle dimissioni di due governi, anche se non giuridicamente obbligati a rassegnarle ) .

La Giunta per il Regolamento risolse questa annosa situazione quando, qualche mese dopo la modifica dell’articolo 49 R.C., si fece ricorso alla posizione della questione di fiducia. Essa interpretò il comma 2 dell’articolo 116 R.C. ( nella parte in cui dice: “ Se il progetto di legge