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Proposte e modifiche regolamentari negli ultimi dieci ann

CAPITOLO TERZO

3. Operato delle Camere fino ai nuovi regolamenti del

3.2. Proposte e modifiche regolamentari negli ultimi dieci ann

Due interessanti dispute avvennero, nel 2004 e nel 2005, riguardo le votazioni su persone. Generalmente, in questi casi, i regolamenti

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prevedono che il voto venga espresso in maniera segreta ( art. 49 comma 1 R.C. e art. 113 comma 3 R.S. ), anche in Commissione. Il carattere di votazioni riguardanti persone è riferito alle elezioni, dimissioni, autorizzazioni a procedere per reati ministeriali e pareri sulle proposte di nomina del Governo, nonché quelle che incidono direttamente sulle situazioni giuridiche di persone determinate.

Non sono considerate votazioni su persone quelle che, pur essendo riferite a determinati individui, hanno per oggetto principale un indirizzo al Governo, come accadde nella XIV legislatura in occasione della presentazione delle mozioni Violante n. 1 - 00043 e Cicchitto n. 1 - 00046 sull’Ufficio europeo per la lotta antifrode ( mozioni discusse nelle sedute del 28 e 30 gennaio 2002 ) .

In quei casi, le mozioni, furono finalizzate a far sì che il Governo assumesse una precisa posizione verso soggetti chiaramente individuati, ma non si ritenne ammissibile lo scrutinio segreto poiché era prevalente la funzione di indirizzo sulla tutela di determinate situazioni giuridiche soggettive. La questione, in generale, sembrerebbe priva di problemi interpretativi, eppure si verificarono due importanti casi in cui il Presidente ritenne di non poter applicare le norme sul voto segreto riguardante le persone.

Un primo episodio avvenne durante la conversione del decreto - legge n. 314 del 2004 ( A.C. 5521 recante “ Proroga di termini ” ); alla Camera fu avanzata la richiesta di votare a scrutinio segreto su due emendamenti soppressivi dell’articolo 2 del decreto - legge, il quale disponeva che “ il magistrato preposto alla Direzione nazionale antimafia alla data di entrata in vigore del presente decreto continua ad esercitare le proprie funzioni fino al compimento del settantaduesimo anno di età ” ( cosiddetta norma “ anti - Castelli ” ) .

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A giudizio dei richiedenti, la norma in esame, individuò inconfutabilmente una persona ben determinata, in quanto aveva un solo destinatario, e come tale rientrante nei casi dell’articolo 49 R.C. Il Presidente, respinse tali richieste, reputando giusto distinguere la titolarità degli uffici dalle persone che li ricoprono, richiamandosi ad un precedente molto pregnante relativo alla seduta del 22 novembre 1989: anche in quel caso, si trattava di una norma di un decreto - legge che conservava la qualifica loro spettante, ai magistrati che avevano la titolarità degli uffici delle preture circondariali 69.

Dato il dibattito particolarmente infuocato, alcuni deputati sollecitarono la Presidenza a riconsiderare la decisione in sede di autotutela, ma il giudizio presidenziale ribadì che si trattava di un ufficio da riconfermare, non incidente sulla qualità della persona. Un episodio simile si verificò con riferimento all’A.C. 2436 recante “ Riforma della vigilanza sulle assicurazioni e sui fondi pensione ”, nel quale vi era una norma ( l’art. 28 ), relativa alla durata della carica del Governatore della Banca d’Italia.

Contrariamente alle richieste poste in essere, la Presidenza scelse lo scrutinio palese, dato che la deliberazione oggetto della richiesta aveva carattere legislativo, in quanto volta a disciplinare la durata di un ufficio pubblico e come tale non rientrante nella fattispecie di votazione che riguardava le persone.

In tale situazione, la decisione presidenziale tentò di rendere rigidi e stringenti i criteri per individuare le relazioni tra voto e persona, soprattutto con un occhio di riguardo a quei provvedimenti sulla titolarità delle cariche pubbliche in cui “ il riferimento alle persone

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che temporaneamente copriranno l’incarico riamane accessorio ed eventuale ” 70.

Tuttavia, dato il clima politico particolarmente acceso e teso di quelle occasioni, tali questioni suscitarono numerose proteste in aula soprattutto da parte dell’opposizione, che contrastò palesemente l’operato e l’atteggiamento della Presidenza.

Altro tema importante, sempre nell’anno 2005, fu quello della tanto paventata legge elettorale ( A.C. 2620, “ Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica ” ) . Questo discorso infiammò il Parlamento, soprattutto l’aula di Montecitorio dato che il quella sede, come già sottolineato, il voto in tale materia è segreto.

Al Senato, invece, il principio del voto finale palese è inderogabile. Tuttavia, anche a Palazzo Madama, furono avanzate richieste di scrutinio segreto su alcuni emendamenti riguardanti minoranze linguistiche, rientranti perciò nelle deroghe dell’articolo 113 comma 4 del R.S. 71.

Al fine di richiedere il voto segreto, per “ legge elettorale ” si intendono solo “ le norme che riguardano il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, escludendo perciò quelle di carattere organizzativo, quelle relative alla presentazione di candidature, e quelle che riguardano fasi del procedimento elettorale che di per sé non concorrono a definire le caratteristiche essenziali del sistema elettorale medesimo ” 72

.

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S. CURRERI, op. cit., p. 152. 71

Si veda la seduta del 30 novembre 200, in cui ci furono 4 votazioni segrete su 151, alcune supportate anche da esponenti della maggioranza ( significativo è l'intervento del senator Gubert dell'Udc ) .

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Criterio interpretativo enunciato nella già citata seduta della Giunta per il Regolamento, alla Camera dei Deputati, il 7 marzo 2002.

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Come per la “ legge Cirami ” e diversamente dalla “ legge Gasparri ”, tale progetto fu approvato in tempi brevi, con due sole letture. Nelle sedute della Camera dell’11, 12 e 13 ottobre 2005 si ebbero complessivamente 104 votazioni segrete su 202, compreso il voto finale sulla legge intera, ovviamente segreto: una media di più di uno scrutinio segreto ogni due.

Dato questo caso appena descritto ( insieme a quelli delle leggi “ Cirami ” e “ Gasparri ” riportati precedentemente ), si può notare immediatamente come, da diverse previsioni regolamentari, derivino conseguenze differenti sul piano della portata e dell’intensità dello scontro politico in aula.

Alla Camera dei Deputati, “ considerata la pluralità di casi su cui è possibile il voto segreto, la conflittualità è stata assai elevata su quelle norme che il Governo ha approvato a maggioranza ” 73, ed a differenza

del Senato, si son verificate maggiori contestazioni sulle scelte presidenziali relative all’applicabilità dello scrutinio segreto.

Giungendo adesso al 2006 possiamo notare che, con l’inaugurazione della XV legislatura ( 2006 - 2008 ), la difficile sperimentazione della nuova legge elettorale, legata all’esigua maggioranza numerica conquistata al Senato, condusse ad un ulteriore incremento delle richieste di scrutinio segreto, data la reale possibilità di sfaldare il blocco governativo ( cosa poi puntualmente accaduta, soprattutto per il difficilissimo percorso che ebbe il Governo Prodi II, in questo ramo del Parlamento ) .

Tale strategia avvenne proprio a Palazzo Madama anche se, fino a quel momento, il Senato non dimostrò mai una particolare

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propensione per l’utilizzo di questo strumento. L’opposizione, quindi, ebbe tutto l’interesse a chiedere ripetutamente lo scrutinio segreto, al fine di alimentare un ostruzionismo in seno alla maggioranza, frutto della volontà di esponenti della coalizione governativa di sottrarsi alla responsabilità derivante dal legame fiduciario per manifestare pressioni sul Governo stesso.

A riprova di ciò, durante la seduta del Senato del 29 aprile 2006, durante la quale ebbe luogo l’elezione del Presidente dell’Assemblea, intervenendo nella discussione aperta dal sen. Cossiga, il sen. Buttiglione sostenne che la mancata elezione del Presidente nei primi due scrutini fu provocata da “ un caso inedito di ostruzionismo della maggioranza contro se stessa ”, tale da minacciare la segretezza del voto di ciascun parlamentare. In più occasioni ( ad esempio durante gli interventi dei senn. Castelli e Nania ), fu ribadita l’esigenza di tutelare la possibilità che ciascun parlamentare possa esprimere, senza condizionamenti, la sua scelta nel segreto dell’urna.

Sempre nel 2006, notiamo che venne ripresentata al Senato della Repubblica, l’unica proposta di modifica della XIV legislatura riguardante l’art. 113 R.S. in materia di voto segreto. A proporla fu la senatrice Alberti Casellati di Forza Italia 74 che, con l’occasione, fece

una gran elogio del voto palese e conseguentemente screditò, attaccando duramente, lo scrutinio segreto. Per la senatrice l’obbligatorietà del voto palese, salvo rarissimi casi, persegue lo scopo di rendere quanto più trasparente e controllabile l’operato dell’eletto.

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Doc. II, n. 2 comunicato alla Presidenza l'11 maggio 2006. Tale proposta era già stata presentata dalla stessa senatrice nella XIV Legislatura ( doc. II, n. 13 comunicato alla Presidenza il 4 dicembre 2003 ) .

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Il ricorso al voto segreto fu considerato, da illustri costituzionalisti, come un temibile grimaldello del corretto rapporto politico - istituzionale tra maggioranza ed opposizione. Infatti, la minaccia di votare a scrutinio segreto, fu sempre un’arma formidabile nelle mani delle opposizioni. Tra l’altro, in caso di domande concorrenti rivolte al tipo di votazione da effettuare, è stabilito che lo scrutinio segreto debba prevalere su quello nominale. Ciò fu disposto a tutela della libertà di coscienza dei parlamentari, ma ha portato alla manifestazione del fenomeno dei “ franchi tiratori ”.

La senatrice Alberti Casellati concluse con una bella citazione, favorevole al voto palese, dell’autorevole economista inglese Mill, che così scrisse: “ lo spirito del voto segreto è questo, che il suffragio all’elettore è dato per sé, per uso e profitto proprio, non quale pubblico carico. Ora l’esercizio di ogni pubblica funzione, sia come elettore, sia come rappresentante, è un potere sugli altri. In ogni elezione politica vi è per il votante l’obbligo morale assoluto di considerare non già il suo interesse privato, ma l’interesse del pubblico. Posto ciò, è perlomeno conseguenza prima facie che il dovere di votare, come qualsiasi altro dovere, venga adempiuto al cospetto del pubblico sotto la minaccia della censura del pubblico ” 75.

L’intento del parlamentare in questione era, dunque, quello di restringere lo scrutinio segreto ai soli casi in cui esso è obbligatorio, cioè le votazioni riguardanti persone e le elezioni mediante schede, eliminando, per il resto, tutti i casi in cui oggi è possibile richiederlo. Tale proposta, in entrambe le occasioni, non fu nemmeno discussa dalla Giunta per il Regolamento.

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JOHN STUART MILL ( Pentonville, 20 maggio 1806 - Avignone, 8 maggio 1873 ) è stato un filosofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del liberalismo e dell'utilitarismo.

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Sempre riguardo le modalità di votazione, nelle Camere parlamentari, si ebbero due questioni interessanti nel 2007. Una riguardò ancora il giudizio del Presidente ai fini dell’ammissibilità del voto finale segreto nei casi di proposta di legge con oggetto e contenuto disomogeneo, giudizio che non può fondarsi su di una ponderazione meramente quantitativa ma anche, e soprattutto, qualitativa dei vari aspetti dei progetti in esame, nonché delle loro possibili implicazioni future. In questa prospettiva, rimase ancora impregiudicata la questione circa l’ammissibilità del voto segreto sulle leggi costituzionali che incidono sui diritti e libertà su cui, per regolamento, è possibile chiedere il voto segreto, nonostante si ebbe l’occasione per chiarirla.

Complice il consenso quasi unanime che circondava la proposta, il voto segreto non venne chiesto sulla proposta di legge costituzionale che abolì la pena di morte anche in tempo di guerra, modificando un articolo ( il numero 27 della Costituzione ), espressamente richiamato dagli articoli 49 comma 1 R.C. e 113 comma 4 R.S. 76.

Circa, invece, gli atti di indirizzo al Governo, il Presidente della Camera, nella già citata seduta della Giunta per il Regolamento del 7 marzo 2007, escluse il voto segreto perché tali atti non possono, per loro natura, produrre effetti sui principi e sui diritti costituzionali di cui all’articolo 49 comma 1 R.C.

Uno studio molto interessante, effettuato dopo la caduta del Governo Prodi II nel 2008 ( e quindi dopo la fine della XV legislatura ), ci mostra come le riforme regolamentari di venti anni prima abbiano inciso, in modo decisivo, sulla durata in carica dei vari governi.

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Si è votato, invece, per appello nominale sia alla Camera ( sedute del 10 ottobre 2006 e del 2 maggio 2007 ), che al Senato ( sedute del 7 marzo e del 25 settembre 2007 ) .

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In particolar modo, la riforma che nel 1988 introdusse l’ordinaria prevalenza del voto palese e la sua obbligatorietà nella materia finanziaria ( questo però nel 1982 - 83 ), concorse in maniera decisiva a tamponare certi fenomeni ed a ridimensionare una tendenziale instabilità che avrebbe quasi sicuramente reso le legislature, dalla XII in avanti, ancora più critiche di quanto poi in effetti furono e, dunque, la governabilità praticamente impossibile.

Basti porre mente alla XIII legislatura ( ricca di “ rimpasti ” governativi ) o alla breve XV. Il calvario in Senato del secondo Governo Prodi fu sotto gli occhi di tutti, a prescindere dalle ideologie o simpatie politiche, continuamente sottoposto a votazioni in grado di metterne a repentaglio l’esistenza che comunque fu breve.

Va tra l’altro notato che, questo Governo, cadde nel 2008 ( così come era successo al Governo Prodi I esattamente dieci anni prima ) a seguito di una decisione parlamentare assunta per appello nominale, quindi più trasparente che mai.

Nel complesso, il secondo Governo Prodi, riuscì ad esercitare il suo mandato per 20 mesi e 618 giorni e, nonostante le difficoltà, ad essere paradossalmente il settimo per durata su tutti i cinquantanove governi dell’epoca repubblicana 77.

Si deve escludere che, il Governo Prodi II, sarebbe durato così a lungo con i regolamenti parlamentari del 1971, e successive modificazioni, fino alla riforma del 1988: forse un simile Governo non sarebbe neppure nato. Al di là di giudizi sommari o di parte, con la riforma di

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La maggior stabilità degli anni dal 1994 al 2008 è confermata dalla media di durata degli otto governi che si sono succeduti, pari alla durata del Governo Prodi II, cioè ventuno mesi. La durata media totale in epoca repubblicana è fra i dodici mesi e i tredici mesi, ma, per il periodo che va dal 1946 al 1994, è appena oltre gli undici mesi.

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fine anni Ottanta, ne ha fortemente guadagnato la trasparenza e la responsabilità di singoli parlamentari, gruppi e partiti.

“ Di imboscate parlamentari i governi non muoiono più; chi vuole minarne capacità realizzativa e durata, difficilmente può farlo senza assumersene la responsabilità ” 78.

Nonostante la maggior stabilità governativa degli ultimi anni, dopo la riforma della criticatissima legge elettorale, la XV legislatura mostrò quanto fossero fondate certe preoccupazioni riguardo questo testo. Alla vigilia della XVI legislatura ( 2008 - 2012 ) ci si rese conto che, terminata nei primi anni Novanta l’epoca dell’ingovernabilità e della instabilità cronica, si era passati nei tre lustri successivi ad una situazione governativa più stabile ma comunque impotente “ per eccesso di frammentazione di coalizioni costruite per vincere, più che per governare ” 79. Da qui parte il tentativo di ridisegnare struttura e

formato del sistema partitico, in modo da offrire all’elettore alternative gerarchizzate, e più omogenee, a vantaggio di un principale partito e del suo leader.

Tornando alle riforme dei regolamenti, nella XVI legislatura, soprattutto tra il 2008 ed il 2009, si ebbero varie proposte di modifica. Qualcuna alla Camera riguardante la costituzione dei gruppi parlamentari e l’ufficio di Presidenza, molte di più al Senato riferite agli articoli 18 e 167 ( Giunta per il Regolamento ed approvazione e revisione del Regolamento ) proposte dai senn. Belisario, Pardi, Pastore e Zanda. Ma, come si può ben vedere, nessuna di queste ultime proposte è riferita ai metodi di votazione, rimasti sostanzialmente invariati dalla riforma del 1988.

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S. CURRERI - C. FUSARO, op. cit., p. 283. 79

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Nel 2011, la questione del voto segreto, tornò alla ribalta in occasione della discussione alla Camera dei Deputati sulla richiesta di autorizzazione a procedere ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Papa.

Nella seduta del 20 luglio di quell’anno, infatti, dopo che tutta l’opposizione aveva inutilmente rivolto alla maggioranza un appello perché non fosse richiesto il voto segreto per esigenze di responsabilità politica e trasparenza, il Presidente del gruppo parlamentare del Partito democratico annunciava che i componenti del suo gruppo avrebbero reso “ comunque palese il loro voto con un accorgimento tecnico che il nostro sistema di votazione consente ” . Infatti, al momento del voto, alcuni deputati sollevarono dei cartellini con la scritta IO VOTO SI; altri, non solo del Pd e non solo della maggioranza, filmarono o fotografarono con i cellulari il momento in cui pigiavano il tasto SI, che voleva dire esser favorevoli all’arresto. Dopo 27 anni, dunque, di riebbe un voto favorevole all’arresto di un parlamentare ( appena il quinto di tutta la storia repubblicana ) .

Inoltre è da notare come, questa volta, fu soprattutto l’opposizione a spingere per il voto palese, non la maggioranza. Di solito, invece, la divisione tra sostenitori del voto palese o segreto coincide con quella tra maggioranza ed opposizione, le quali hanno rispettivamente l’interesse a restringere e ad estendere l’area del voto segreto: la prima, per individuare i possibili e temutissimi “ franchi tiratori ”, la seconda, all’opposto, per agevolarli, così da svelare e mettere in risalto le divisioni esistenti all’interno della maggioranza.

In questa vicenda, invece, le parti si invertirono: la maggioranza favorevole al voto segreto per nascondere il più possibile il dissenso interno della Lega e magari per conquistare il voto di qualche deputato

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dissenziente dell’opposizione, quest’ultima, al contrario, favorevole al voto palese, sia per mettere in luce la spaccatura sulla questione nella maggioranza, sia per render trasparente il proprio operato al fine di accattivarsi i favori degli elettori e dell’opinione pubblica ( nel caso specifico quasi tutta favorevole all’arresto del deputato ) .

Ciò dimostrò ancora una volta come, al di là delle dichiarazione di facciata, improntate alla difesa della libertà del Parlamento e dei suoi componenti o al senso di responsabilità verso i cittadini, la decisione di richiedere o meno lo scrutinio segreto corrisponde sempre ad una precisa scelta effettuata, non in base a diritti e libertà, ma in ragione di tattiche politiche, facendo prevalere la posizione più funzionale agli interessi politici del momento rispetto a quelli dell’avversario.

Altro profilo di riflessione riguarda la legittimità stessa della richiesta di scrutinio segreto. Camera e Senato, infatti, son solite ammettere le richieste di scrutinio segreto sulle votazioni riguardanti le autorizzazioni a compiere provvedimenti giurisdizionali limitativi della libertà personale, domiciliare e di corrispondenza del parlamentare. Ciò non in quanto previsto dagli articoli 49 comma 1 R.C. e 113 comma 3 R.S., ma di una loro interpretazione costante basata su pareri resi dalle rispettive Giunte per il Regolamento 80.

Secondo tali pareri non si tratta di votazioni riguardanti la persona ( su cui è obbligatorio il voto segreto ) o la prerogativa volta a tutelare l’indipendenza e la libertà della funzione parlamentare ( su cui è

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Nel 1993, ci fu un’inversione di interpretazione delle Giunte per il Regolamento della Camera e del Senato, a proposito della votazione a scrutinio palese sulle proposte delle Giunte sulle autorizzazioni a procedere. Poiché esse riguardano non la posizione personale dei deputati, ma un accertamento sulla natura - “ parlamentare o no, funzionale o no ” - di loro atti ai fini della sottoponibilità al processo penale ed investono quindi i rapporti tra organi dello Stato. Sono, invece, votate a scrutinio segreto le proposte delle Giunte sulle richieste di autorizzazione all’arresto ed all’esecuzione di misure limitative delle libertà personali, in quanto incidenti sui principi elencati dalla parte prima della Costituzione.

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invece obbligatorio il voto palese ); piuttosto lo scrutinio segreto è facoltativo, ma quasi sempre richiesto 81, perché si tratta in tal caso di

deliberazioni rientranti tra “ quelle che incidono sui principi e sui diritti di libertà di cui agli articoli 13 e seguenti della Costituzione ( art. 49 comma 1 R.C. ) o che attengono ai rapporti civili … di cui agli articoli 13 e seguenti della Costituzione ( art. 113 comma 4 R.S. ) ” . Occorre comunque chiedersi se sia legittimo ammettere lo scrutinio segreto sulle votazioni in tema di autorizzazione all’esecuzione di misure limitative della libertà del parlamentare, poiché si tratta pur sempre di deliberazioni attinenti la funzione e non la persona ( altrimenti il voto segreto sarebbe obbligatorio ), e come tali non incidenti, se non indirettamente, sull’esercizio dei diritti di libertà in questione.

Questa prassi, comunque, sembra essere frutto di un compromesso politico tra l’obbligo di voto palese sulle autorizzazioni a procedere ( oggi scomparse ), e la facoltà di voto segreto per i provvedimenti limitativi della libertà del parlamentare. Sarebbe dunque utile ed opportuno che, questa materia, fosse oggetto di una attenta e specifica riflessione da parte del Parlamento.

Un ulteriore spunto, sollevato dalla vicenda in questione, riguarda l’effettiva tutela della segretezza del voto nei confronti di coloro che non vogliono rivelarlo. In sede di elezioni, per eludere la segretezza dello scrutinio e consentire così ai gruppi parlamentari di controllare il voto dei propri membri, si può ricorrere a vari espedienti: segni convenzionali sulle schede, sottoposizione della scheda alla visione di

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Costituisce tuttora un'eccezione il voto palese della Camera dei Deputati nella seduta del 20 gennaio 1998 sulla richiesta di autorizzazione all'esecuzione della misura cautelare della