• Non ci sono risultati.

La riforma degli anni Settanta, che si ispirò alla centralità del Parlamento nella direzione politico - amministrativa dello Stato ed alla moltiplicazione delle occasioni di confronto e di dibattito in vista del raggiungimento di accordi politici di ampio respiro, non ribadì la precedente normativa che aveva proprio visto nascere e sviluppare la prassi del consociativismo.

I regolamenti del 1971 costituirono la consacrazione del parlamentarismo consensuale o consociativo e della teoria della cosiddetta centralità del Parlamento, che si inscriveva in uno sviluppo dei rapporti politici sfociato poi nel “ compromesso storico ”. Furono, dunque, regolamenti che costituirono la prima grande ed organica modifica dal lontano 1900 ( in quanto, soprattutto per quanto riguarda

60

la Camera dei Deputati, i successivi regolamenti del 1922 e del 1948 erano evoluzioni del testo di inizio secolo ), ed ebbero la missione di racchiudere, in un unico corpus normativo, tutti gli istituti sorti in via di prassi o frammentariamente regolati, dall’avvento della Repubblica in poi, ma soprattutto quella di regolamentare il prodotto del nuovo clima politico che si respirava all’epoca. Si fece strada il concetto di centralità parlamentare, col nuovo modo di governare “ ora in Parlamento, ora col Parlamento ” 25.

A questo proposito è molto importante la disciplina della questione di fiducia, introdotta per la prima volta nel Regolamento della Camera, con la quale si corresse una prassi fino ad allora troppo favorevole al Governo.

La relazione della Giunta per il Regolamento, spiegava che: “ il progetto … rappresenta una prima conclusione del dibattito politico e giuridico svoltosi negli ultimi anni sulla funzione, sulle strutture, sulle stesse prospettive delle Camere rappresentative ”, per cui il significato di molte norme tradizionali “ dovrà essere ricostruito sulla scorta della mutuata collocazione, delle nuove interdipendenze, della diversa funzionalità del sistema ”.

Il nuovi regolamenti del 1971 disciplinarono il rafforzamento dei gruppi parlamentari, e quindi dei partiti, al posto dei singoli deputati: i gruppi ebbero nuovi poteri, e per essi i capogruppo, che ne erano i rappresentanti. Questi testi attribuirono anche nuovi poteri di controllo, informazione ed indirizzo alle Commissioni permanenti che consentirono alle Camere di collegarsi alla società civile e politica,

25

S. TOSI, Sistema politico - costituzionale e regolamento parlamentare: l’esperienza dal ’71 alla

VII legislatura, in Il Parlamento nella Costituzione e nella realtà, Giuffrè, Milano, 1979, p.

61

ovvero di essere “ centrali ” rispetto ad essa. Il Parlamento ebbe l’obiettivo di esser la sede principale per lo sviluppo dei rapporti tra i partiti, in funzione di un concorso corale alla definizione delle grandi scelte di indirizzo politico.

Alla Camera dei Deputati, nella seduta del 16 febbraio 1971, venne approvato l’articolo 52 del teso originario, divenuto poi l’articolo 51 nel teso definitivo. Tale norma, al terzo comma, stabilì che la procedura di votazione normale era quella palese ( per alzata di mano ), mentre in caso di concorso di diverse richieste, la priorità andava assegnata allo scrutinio segreto ( sparì invece la previsione della prevalenza dell’appello nominale sulla votazione per divisione ) . Questo articolo costituì la conferma della continuità storica che caratterizzava la Camera in tale materia, dal primo Parlamento Subalpino, fino all’avvento della Repubblica.

Il secondo comma dell’articolo 51 riconobbe poi, ai Presidenti dei gruppi parlamentari, di sostituirsi al quorum ( di venti deputati ) necessario per richiedere le votazioni qualificate, a conferma del ruolo che venne riconosciuto ai gruppi da questa riforma.

A questo testo vennero presentati tre emendamenti. I primi due, da parte del deputato Terrana, intendevano sostituire al principio della prevalenza dello scrutinio segreto nel concorso tra diverse domande, quello secondo cui le votazioni per elezioni hanno sempre luogo a scrutinio segreto ( emendamento 52.3 ) e, per contro, sopprimere ogni riferimento allo scrutinio segreto nel residuo corso dell’articolo ( emendamento 52.4 ); il primo però venne dichiarato precluso e, il secondo, nemmeno discusso per assenza del presentatore.

Il terzo emendamento ( Milani 52.5 ), proponeva che, nel caso del gruppo misto, la richiesta di votazione nominale o segreta potesse

62

essere avanzata dal rappresentante di una delle componenti politiche del gruppo stesso.

L’onorevole Caprara però, pur riaffermandone l’opportunità e l’importanza, lo ritirò consapevole che il gruppo del Manifesto non aveva la forza numerica necessaria per imporre il suo punto di vista con il voto, tenuto anche conto che la Giunta era di diverso avviso. L’articolo dunque, sgombrato così il campo da ulteriori ostacoli, fu approvato nella versione originaria.

Sempre il 16 febbraio 1971, la Camera dei Deputati, approvò l’articolo 92 del progetto di nuovo Regolamento che, nella versione definitiva, divenne l’attuale articolo 91.

L’unico emendamento proposto a quell’articolo fu ancora del deputato Terrana e, si intese ritirato, sempre per l’assenza del suddetto parlamentare.

Perciò furono riconfermati l’obbligo dello scrutinio segreto in occasione della votazione finale sul progetto di legge e la sua prevalenza in caso di richieste concorrenti ( art. 51 e 91.1 R.C. ) . Occorre sottolineare che, riguardo l’obbligo di scrutinio finale segreto per l’approvazione delle leggi, continuò la prassi disposta dall’articolo 63 dello Statuto Albertino e proseguì dunque, da questo punto di vista, la diversità con l’altro ramo del Parlamento.

La questione di fiducia fu positivamente disciplinata ( art. 116 R.C. ), vietandone però il ricorso anche nei casi di voto obbligatorio per alzata di mano od a scrutinio segreto, tra cui il voto finale sui disegni di legge.

Da qui la possibilità, nel caso di disegni di legge composti dal solo articolo di conversione del decreto legge, di respingere a scrutinio

63

segreto in sede di voto finale l’articolo unico poco prima approvato a scrutinio palese.

Ciò accadeva a seguito della presentazione della questione di fiducia, con la conseguenza di un Governo che, restava formalmente in carica, nonostante fosse stato bocciato ciò da cui aveva fatto dipendere la sua esistenza e di deputati che, al di là dell’ipocrisia di facciata, avevano ritirato la propria fiducia all’Esecutivo senza prendersene pubblicamente la responsabilità, come invece stabilito dalla Carta Costituzionale.

Questa situazione, dunque, costituiva un’occasione d’oro per i sotterfugi dei cosiddetti “ franchi tiratori ” che, palesemente, votavano a favore del Governo, ma poi, nell’approvazione finale della legge a scrutinio segreto, gli voltavano le spalle. Per via di questa tecnica, restavano in carica Esecutivi ormai delegittimati agli occhi di tutti i parlamentari, degli elettori, dell’opinione pubblica.

Altre volte, ed aggiungerei con più senso di responsabilità e maggiore dignità, alcuni governi, invece di accettare una siffatta clamorosa contraddizione, preferirono rassegnare le dimissioni. Ciò accadde al secondo Governo Cossiga ( 27 settembre 1980 ) ed al primo Governo Craxi ( 7 giugno 1986 ) .

Per questo motivo il relatore Luzzatto propose di escludere la duplicità tra il voto palese, conseguente alla questione di fiducia, ed il voto segreto. Invece, nel dibattito del 17 febbraio 1971, l’approvazione di un emendamento presentato dall’onorevole Andreotti, trasformò l’ultimo periodo del secondo comma dell’articolo nel suo esatto opposto, normativizzando dunque il doppio voto successivo.

La Giunta, poi, accolse a maggioranza questo emendamento scatenando le proteste di vari parlamentari, tra i quali gli onorevoli

64

Caprara e Natoli. Allora, l’on. Andreotti, rispose argutamente e con un pizzico di ironia che il Governo, per evitare ogni rischio, invece di un articolo ne avrebbe potuti fare due.

Per quanto riguarda invece l’altro ramo del Parlamento, il Senato della Repubblica, il 3 febbraio 1971 l’Assemblea iniziò ad esaminare l’articolo 104 del progetto di nuovo Regolamento dedicato alle modalità di votazione, articolo che poi avrebbe mantenuto lo stesso numero anche nel testo definitivo.

Il senator Cifarelli propose un emendamento soppressivo ( il n. 104.2 ) che proponeva, al secondo comma, l’eliminazione della possibilità di richiedere lo scrutinio segreto da parte di venti senatori; la soppressione dell’intero terzo comma, che sanciva la prevalenza della domanda di scrutinio segreto sulle altre; infine, la conseguente abrogazione della previsione dello scrutinio segreto, dove essa ulteriormente ricorreva all’interno dello stesso articolo. Cifarelli motivò tale proposta con le difficoltà causate dal sistema di votazione a scrutinio segreto.

Successivamente, il relatore Gronchi, si disse contrario all’eliminazione del principio dello scrutinio segreto, poiché ciò avrebbe significato limitare e menomare le libertà di scelta dei singoli senatori. L’emendamento in questione fu dunque respinto per alzata e seduta; venne allora riconfermata la precedente normativa in base alla quale il voto segreto prevaleva sulle altre forme di votazione richieste ed era obbligatorio solo quando si votava su persone e nelle elezioni ( art. 113 R.S. ) . Questo articolo mostra la diversità di prassi e di disciplina tra le due sezioni del Parlamento, contribuendo a connotare il Senato come camera politicamente più stabile in virtù della minore debolezza in essa del Governo ( al contrario di quanto accadde invece

65

alla Camera dei Deputati in occasione della caduta dei governi di Cossiga e Craxi ) .

Si passò, poi, ad esaminare il successivo emendamento Nencioni ( numero 104.1 ), che proponeva di ridurre da quindici ad otto il numero dei senatori necessari per richiedere la votazione nominale, e da venti a dieci quello necessario per lo scrutinio segreto.

Si motivò questa proposta, di dimezzare il numero dei proponenti in relazione alle forze numeriche del Senato ( che erano appunto la metà rispetto a quelle della Camera ), al fine di consentire piene funzioni ai gruppi di questo ramo del Parlamento, la cui costituzione era proprio fondata sul numero minimo di dieci componenti.

A queste ipotesi, il relatore Gronchi, replicò che il testo proposto dalla Giunta non delegittimava i gruppi minori ed anzi comportava il vantaggio di render più difficili le richieste e dunque più rare le votazioni nominali e segrete, per le quali si doveva avere in Senato la presenza della metà più uno dei componenti.

Seguirono, poi, tre dichiarazioni di voto da parte dei senn. Trabucchi, Cifarelli e Pirastru. Il sen. Trabucchi si disse favorevole all’emendamento Nencioni poiché, riconosciuto il gruppo nella sua struttura, era necessario dargli il potere di intervenire e partecipare attivamente alla vita parlamentare ( come disposto dal presente Regolamento ) . A suo avviso, dunque, se il gruppo era composto da soli dieci senatori, era giusto che questo fosse il quorum sufficiente per chiedere una votazione garantita, così da non creare distinzioni fondate sulla consistenza numerica dei gruppi.

Anche il senator Cifarelli era favorevole all’emendamento in questione nonostante, in precedenza, avesse proposto l’abolizione del voto segreto ma, una volta accolto tale principio, si adeguò alla

66

situazione di fatto e dichiarò che non era possibile costringere un gruppo, che voleva porre un’istanza, a raccattare i voti ed i consensi di altri gruppi.

Infine, il sen. Pinastru, per difendere l’autonomia regolamentare del Senato della Repubblica, si dichiarò favorevole al testo proposto dalla Giunta per il Regolamento che rispecchiava la prassi di quel ramo del Parlamento.

A conclusione di queste dichiarazioni, l’emendamento Nencioni n. 104.1, dopo prova e controprova, fu respinto per alzata e seduta. Fu quindi approvato il testo dell’articolo 104 proposto in origine dalla Giunta.

Riguardo, infine, il principio dell’obbligatorietà dello scrutinio segreto per la votazione finale dei disegni di legge, la Giunta del Regolamento confermò la precedente posizione di non aderire a tale dettame, presentando dunque nella medesima seduta l’emendamento sostitutivo numero 111.1 che, approvato per alzata e seduta, condusse al seguente disposto: “ I disegni di legge, dopo essere stati approvati articolo per articolo, si approvano con votazione finale ”.

Tirando le somme sui regolamenti del 1971 si può affermare che, per giungere alla loro redazione ed approvazione, si compì un lento e difficile processo durato vari decenni.

Come detto, questa riforma, consacrò il consociativismo del Parlamento, “ anche se spesso a scapito della trasparenza delle decisioni e della corretta distribuzione delle responsabilità politiche ”

26

.

26

G. FLORIDIA, Il regolamento parlamentare nel sistema delle fonti, Giuffrè, Milano, 1986, p. 384.

67

L’attuazione dei programmi governativi venne portata avanti sia tramite contributi provenienti al di fuori dei partiti, sia soprattutto, grazie all’apporto di forze parlamentari esterne alla maggioranza. Per questi ultimi soggetti, la riforma dei regolamenti parlamentari, costituì uno strumento non tanto per incanalare attività di opposizione o peggio di ostruzionismo parlamentare, quanto per realizzare una maggiore partecipazione di quest’ultima al lavoro legislativo ed alle decisioni politiche delle due Camere. Fu, inoltre, data grande importanza ai gruppi parlamentari, anche i più piccoli, ed ai Presidenti degli stessi.

L’altra faccia della medaglia fu che, assicurando maggiori garanzie anche ai gruppi minori, si realizzò una sorta di paralisi e congestione delle attività parlamentari. Infatti si accordò, specialmente nel Regolamento della Camera, una posizione di privilegio ai Presidenti dei gruppi parlamentari a prescindere dalla consistenza numerica del gruppo.

Dunque, anche se il gruppo aveva un numero molto esiguo di membri, esso aveva comunque voce in capitolo ed una notevole autonomia, ciò naturalmente incidendo sulla speditezza dei lavori parlamentari e sulla governabilità da parte dell’Esecutivo.

Per concludere possiamo notare che, il Regolamento della Camera dei Deputati, inserì un’innovazione normativa che disciplinava la richiesta di votazione segreta: oltre che da venti deputati poteva essere richiesta anche da un Presidente di gruppo. In tal modo, col passare del tempo, anche gruppi molto piccoli se ne avvalsero e ciò fu dimostrato dall’aumento esponenziale delle richieste di scrutinio segreto.

Escludendo le votazioni finali sui progetti di legge, dalle 182 votazioni segrete effettuate alla Camera dei Deputati nel corso della

68

VI legislatura ( 1972 - 1976 ), si passò alle 643 della VII legislatura ( 1976 - 1979 ), per arrivare addirittura alle 2.485 dell’VIII legislatura ( 1979 - 1983 ) .

69