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Modalità di voto in rapporto al divieto di mandato imperativo

CAPITOLO SECONDO

2. Le prime basi della riforma

2.2. Modalità di voto in rapporto al divieto di mandato imperativo

L’equipe di parlamentari che formava la Commissione Bozzi affrontò il dilemma voto palese - voto segreto, inquadrandolo anche con riferimento al principio della responsabilità del parlamentare rispetto al partito di appartenenza ed al suo elettorato.

Da un lato, c’era chi difendeva il voto segreto 34, sottolineando come

esso fosse garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia dei parlamentari ( di fronte al nuovo “ sovrano ” costituito dai partiti ), trovando il suo fondamento nel divieto di mandato imperativo di cui all’articolo 67 della Costituzione 35.

Dall’altro si sosteneva che, il voto segreto, consentendo al parlamentare di nascondere la sua identità, favorendo il potere di pressione delle lobbies ed impedendo agli elettori di giudicare i propri

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Cfr. in particolare S. LABRIOLA, Per tutelare il mandato popolare del parlamento, in Avanti!, 13 febbraio 1985; e S. ANDO', Qualità della legge e voto palese, in Mondoperaio, 9 marzo 1985.

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Sulle origini storiche del principio cfr. N. ZANON, La rappresentanza della nazione e il libero

mandato parlamentare, in Il Parlamento, Einaudi, Torino, 2001, pp. 683 ss.; D. NOCILLA, Il libero mandato parlamentare, in Il Parlamento, Convegno annuale dell’Associazione italiana

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rappresentanti, contrastasse con il principio di sovranità popolare che è alla base della nostra Costituzione 36.

Il divieto di mandato imperativo, affermato dall’articolo 67 della Costituzione, sta ad indicare che il parlamentare, in quanto rappresentante dell’intera Nazione ( intesa come comunità popolare ) e non degli elettori del proprio collegio oppure di gruppi di interessi o pressione variamente configurabili, non può ricevere dagli uni o dagli altri indicazioni ed imposizioni circa il modo in cui deve svolgere il proprio mandato.

Ovviamente è comprensibile che egli sarà più portato a rendersi interprete anche delle esigenze e dei bisogni del suo elettorato, della sua terra ( in questo senso, una importante sentenza della Corte Costituzionale 37 ), tanto più ove sia stato eletto in collegi uninominali.

Dal divieto di mandato imperativo discende l’irresponsabilità politica dei parlamentari nel corso della loro permanenza nell’ufficio, poiché mancano nel nostro ordinamento gli strumenti per far valere la loro responsabilità, come potrebbe essere per esempio la revoca del mandato.

Originariamente, il divieto di mandato imperativo, fu predisposto per garantire l’indipendenza degli eletti nei confronti degli elettori, ma risulta di fatto attenuato dalla presenza in Parlamento dei partiti politici ( che operano mediante l’intercessione dei gruppi parlamentari ), poiché deputati e senatori son tenuti a seguire le direttive degli organi di partito al quale appartengono.

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Per questa tesi cfr. L. ELIA, A proposito di “ ridimensionamento ” del voto segreto, in Scritti in

onore di Egidio Tosato, vol. III, Giuffrè, Milano, 1983, pp. 261 ss; e S. TRAVERSA, Non più obbligatorio il voto segreto, in Il Congresso, 1985, n. 3 - 4, pp. 11 - 12.

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Si può ritenere che, la disciplina alla quale il parlamentare è assoggettato, lo trasformi in un mero portavoce del partito, con conseguente violazione del suddetto mandato imperativo.

All’opposto si può pensare che la sottoposizione del parlamentare alla disciplina del partito non valga a far venir meno il divieto, dal momento che il parlamentare non è tenuto all’assoluta obbedienza e può sempre orientare la sua volontà in maniera difforme da quella delle direttive ricevute.

Una conferma parziale di questa tesi si ritrova nei regolamenti parlamentari, poiché a norma dell’articolo 83 comma 1 del R.C., nella discussione sulle linee generali di un progetto di legge, il Presidente concede la parola “ ai deputati che intendono esporre posizioni dissenzienti rispetto a quelle dei propri gruppi ”. Degli spazi per le opinioni e per le contestazioni dei parlamentari dissenzienti si ritrovano anche per quanto riguarda la votazione della questione di fiducia ( art. 116 comma 3 del R.C. ) e nella predisposizione del calendario dei lavori ( art. 24 comma 7 del R.C., e art. 84 comma 1 del R.S. ) .

La questione appare tuttavia puramente formale giacché, nella realtà, la disciplina di partito viene comunque ad imporsi ed eventuali casi di ribellione, in genere, vengono puntualmente sedati e puniti con l’applicazione, al parlamentare ribelle o riottoso, di sanzioni disciplinari molto gravi, che possono giungere sino all’espulsione dal partito od alla non ricandidatura per le prossime elezioni. La previsione di queste sanzioni vale, dunque, come un efficacissimo deterrente.

Pertanto, anche l’interpretazione dell’articolo 67 Cost. data dalla Corte Costituzionale nella già richiamata sentenza n. 14 del 1964, per la

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quale “ il divieto di mandato imperativo importa che il parlamentare è libero di votare secondo gli indirizzi del suo partito ma anche di sottrarsene ”, di modo che “ nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito ”, non appare rispondente all’effettivo atteggiarsi dei rapporti tra parlamentari e partiti di appartenenza.

Se poi, oltre ai partiti politici, si ha riguardo anche della complessa rete dei soggetti del pluralismo ( le cosiddette “ società intermedie ” ) che agiscono nel nostro Paese e si affiancano ai partiti come portatori di interessi sociali di varia natura, allora il divieto di mandato imperativo rappresenta ancora più la garanzia della libertà del parlamentare.

Originariamente, si mirava a garantire l’indipendenza dei parlamentari dal potere esecutivo, appartenente al Re 38.

Con la trasformazione della forma di governo in senso parlamentare, cambiava anche la ragione della persistenza dell’obbligo della segretezza, che si legava alla teoria ottocentesca della rappresentanza nazionale e del divieto di mandato imperativo 39.

La segretezza del voto fu, tra le altre cose, estrinsecazione del divieto di mandato imperativo, coniato per tutelare la nuova classe politica dominante sia delle ingerenze provenienti dall’alto, sia dalle pressioni che spingevano dal basso.

L’obbligo del voto segreto finale, inserito nello Statuto, acquisì una forza simile a quella delle norme di rango costituzionale che lo portò a

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L'articolo 5 dello Statuto Albertino era perentorio: “ Al Re solo appartiene il potere esecutivo”. 39

L'articolo 41 dello Statuto Albertino così disponeva: “ I deputati rappresentano la Nazione in

generale e non le province in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli elettori ”.

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resistere per quasi 140 anni a tutte le critiche che ad esso furono mosse.

Ma ormai era cambiato il contesto storico - politico sottostante, era mutata soprattutto la teoria della rappresentanza politica, ispirata ai fondamenti della sovranità popolare e non più ai principi della rappresentanza nazionale, con conseguente passaggio dallo Stato liberale a quello democratico.

Non essendo più disponibile il collegamento con il fondamento di legittimità dello Stato contemporaneo, l’obbligo del voto segreto finale preservava una connessione solo con il divieto di mandato imperativo, che naturalmente si trova nella Costituzione repubblicana all’articolo 67 .

Perciò “ mentre su questo versante vi è corrispondenza tra voto segreto e divieto di mandato imperativo, vi è discordanza, sull’altro versante, tra voto segreto e sovranità popolare ” 40.

Conseguentemente all’evoluzione della forma di Stato, ci fu pian piano anche quella della forma di partito, e la configurazione dell’ordinamento statale come “ stato dei partiti ”, contribuì ad esaltare la funzione dei gruppi all’interno degli organi parlamentari. Data la loro evoluzione ed il proprio rafforzamento, apparve chiaro come il ruolo del singolo parlamentare all’interno dell’Assemblea subì un forte ridimensionamento, nonostante l’esistenza del voto segreto. Ciò trovava conferma, malgrado il formale riconoscimento della libertà di azione dei singoli rappresentanti parlamentari, in ossequio alla previsione dell’articolo 67 della Costituzione. Infatti, come abbiamo già sottolineato, nonostante il divieto di mandato imperativo,

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restavano in auge altri mezzi praticati dai partiti al fine di sedare i parlamentari dissenzienti ( espulsione e mancata ricandidatura ) .

A conferma della strettissima connessione tra partiti, gruppi e funzioni dei singoli parlamentari durante il proprio mandato, sembra molto interessante sottolineare come, gli stessi regolamenti dei gruppi, contengano precise normative di coordinamento, oltre che coi regolamenti interni di ciascuna Camera, anche con gli stessi statuti dei partiti politici, fino a prevedere “ una maglia di norme che certamente creano non poche perplessità all’interprete quando si esamini la loro compatibilità con il principio sancito costituzionalmente del divieto di mandato imperativo ” 41

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Dunque, con tutte le discussioni ed i problemi che comporta, la questione del rapporto tra divieto di mandato imperativo e modalità di voto in seno ad un’assemblea parlamentare è uno dei temi classici negli studi di diritto parlamentare e costituzionale.

Si è visto come il voto segreto rappresentò l’ausilio principale per la realizzazione del principio del divieto di mandato imperativo, cosicché il singolo parlamentare potesse difender la sua libertà di coscienza dalle direttive del partito, dei gruppi parlamentari e dei gruppi di pressione variamente definiti. In passato fu criticato, però, questo stato delle cose in quanto, la relazione tra divieto di mandato imperativo e voto segreto in chiave di garanzia del singolo parlamentare, si è rivelata in realtà dogmatica e spesso artificiosa, debole sotto il profilo logico e sotto quello giuridico.

Anzi è lo stesso legame tra divieto di mandato imperativo e voto segreto che può esser contestato in via di principio: “ in primo luogo,

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M. D'ANTONIO - G. NEGRI, Il partito politico di fronte allo Stato, di fronte a se stesso, Giuffrè, Milano, 1983, pp. 48 ss.

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l’adozione del voto palese potrebbe trovare giustificazione proprio nell’esistenza del divieto di mandato, perché in virtù di tale divieto il parlamentare è giuridicamente libero, cioè non è costretto a sottostare alle forti pressioni partitiche o di gruppo che precedono e seguono il voto, e quindi non vi è danno a farlo votare pubblicamente ” 42.

In secondo luogo, non era affatto sicuro che, attraverso il voto segreto, il parlamentare potesse garantirsi contro le pretese dei gruppi di interesse e di pressione poiché, anzi, è stato spesso il segreto dell’urna a consentire il manifestarsi ed il prevalere in Parlamento di interessi particolaristici, leciti o illeciti che fossero.

D’altronde, se il voto palese poteva dirsi senza dubbio adatto ad un Parlamento di forti e carismatiche personalità effettivamente scelte dagli elettori, in un sistema come quello italiano, “ ove fortissima e sia pure legittima e giustificata è la pressione de partiti, e scarse o inesistenti le chances di fare altrimenti valere il proprio dissenso, è senz’altro da difendere lo scrutinio segreto ” 43.

Vi è comunque da sottolineare che, nella storia italiana, la disciplina del voto non è mai stata particolarmente costrittiva, perché anzi la nostra tradizione è sempre stata ricca di esempi di disponibilità da parte dei leaders politici ( tranne il caso della dittatura mussoliniana ), ad ammettere casi di coscienza.

Si ricordi il caso di Togliatti, che permise a Concetto Marchesi di non partecipare, durante l’Assemblea Costituente, alle votazioni sulla disposizione costituzionale riguardante i Patti Lateranensi, o la disponibilità di De Gasperi, che sorvolò sulla mancata approvazione

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Accenna a questa prospettiva A. SPADARO, Riflessioni sul mandato imperativo di partito in

"Studi parlamentari e di politica costituzionale", n. 67, 1985, p. 43.

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da parte di alcuni deputati democristiani dell’adesione al Patto Atlantico.

Proseguendo la nostra analisi, una dura ed interessantissima critica alla tesi per la quale, il voto segreto, dovrebbe tutelare i parlamentari “ tiranneggiati ” dal partito, fu espressa da Bettino Craxi. Egli così dichiarò: “ E’ davvero degna di essere presa in considerazione questa povera favola del parlamentare prevaricato dal partito? … I partiti li conosciamo bene e sappiamo che i loro vincoli valgono se rispondono a regole accettabili e condivise ” 44.

In realtà, nel nostro sistema, si può ampiamente dubitare del fatto che sia individuabile un confine certo tra materie che richiedono obbedienza alle direttive dei partiti e materie, viceversa, rientranti nella sfera del caso di coscienza.

Spesso, proprio i casi che meriterebbero di esser decisi nella sfera personale di ciascun parlamentare ( i classici esempi di divorzio, aborto, pena di morte, e così dicendo ), finiscono per rivelarsi come questioni sulle quali è più importante che una disciplina di partito e di gruppo si manifesti interamente, per il rilievo politico generale che tali questioni rivestono. Come si può notare, la situazione è molto delicata, soprattutto quando sul piatto della bilancia vengono messi interessi così importanti.

La diatriba voto segreto - voto palese, dunque, si ripropose anche riguardo al divieto di mandato imperativo; però bisogna sottolineare che, l’idea di una diretta derivazione costituzionale del voto segreto dall’articolo 67, non fu mai avanzata nettamente. La Costituzione ci dice che il voto segreto è indispensabile solo per quanto attiene al

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B. CRAXI, Una riforma necessaria. Discorso all'Assemblea dei parlamentari socialisti contro il

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rapporto di fiducia Parlamento - Governo, mentre per tutte le altre materie ove non sia in gioco l’indirizzo politico governativo, il voto segreto, che consente di spezzare agevolmente il vincolo di disciplina, è perfettamente ammissibile.

In una opposta prospettiva si è obiettato che, anche l’articolo 68 della Costituzione, riguardando la non perseguibilità dei deputati per le opinioni espresse ed i voti dati, deporrebbe in favore del voto palese, non potendosi esentare un parlamentare da responsabilità per voti rimasti coperti da segreto; in realtà, il discorso si può ribaltare perché, se la ratio dell’articolo è quella di togliere responsabilità al parlamentare, non vi sarebbe metodo migliore che farlo votare in segreto.

Con la vigenza per quasi 140 anni ( tranne qualche rara eccezione ) della disciplina del voto segreto, l’eventuale dissenso del singolo rispetto al proprio partito o al proprio gruppo, in quanto non manifestato pubblicamente, non poteva porsi al vertice di un movimento d’opinione, né fungere da stimolo alla dialettica parlamentare. Dunque, soprattutto la materia dei diritti fondamentali, in quanto collegata agli interessi di tutti i cittadini, avrebbe magari meritato molta più visibilità attraverso il voto palese, ma così facendo forse avrebbe limitato la libertà di coscienza dei singoli parlamentari. Sarebbe dunque servito un delicatissimo bilanciamento tra i valori costituzionali espressi dagli articoli 49 e 67, bilanciamento che, tutto sommato, riuscì: infatti il nostro diritto parlamentare, pur riconoscendo in modo netto l’importanza dei gruppi parlamentari e delle loro funzioni ( soprattutto dopo la riforma regolamentare del 1971 ), tutela in modo adeguato anche le attribuzioni, i diritti e la qualità rappresentativa del singolo parlamentare.

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Si può dunque concludere che, il principio della segretezza del voto, è stato condizione irrinunciabile e fondamentale per l’esercizio del diritto di voto da parte del popolo - sovrano, ma del tutto inadeguato per un corretto svolgimento del mandato parlamentare e della funzione rappresentativa, precludendo l’esercizio del potere di controllo democratico da parte dei rappresentati.

Con questo scenario si giunse alla storica modifica di fine anni Ottanta, epilogo di una ultrasecolare questione tra voto segreto e voto palese, che rappresentano due fondamentali ma antinomici valori: quello dell’autonomia e quello della responsabilità. Mentre “ per tutelare il primo si difende il voto segreto, per rafforzare il secondo se ne chiede l’abolizione o il ridimensionamento ” 45

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