Simone Mattiola
3. Le caratteristiche formali delle marche plurazional
Da un punto di vista formale, le lingue del mondo adottano molte strategie diverse per esprimere le funzioni plurazionali. Tra queste, però, ne esistono tre che sono di gran lunga le più frequenti: affissazione, reduplicazione e alternanza lessicale.
L’affissazione è la strategia più diffusa. Si possono trovare tutti i tipi di affissi (prefissi, infissi, suffissi) in ogni area geografica del mondo.
SINGOLAZIONALE CONTINUATIVO ABITUALE [PROGRESSIVO] IMPERFETTIVO GENERICO PLURALITÀDEI PARTECIPANTI RECIPROCO ITERATIVO FREQUENTATIVO INTENSIVO (ENFASI/ COMPLETO) PLURALITÀ INTERNA ALL’EVENTO (DISTRIBUTIVO SPAZIALE)
(14) Prefissazione: kuot (isolata, Oceania; Lindström 2002: 7)
u-me da-karət=oŋ [i-sik kapuna]
3M.SG-HAB PLAC-mordere=3M.SG 3M-DEM dog(M)
‘Quel cane morde molto spesso.’
(15) Infissazione: koasati (muskogean, America del Nord; Kimball 1991: 327)
SINGOLARE PLURALE
aká:non akásnon ‘avere fame’
akopí:lin akopíslin ‘bussare su qualcosa’
apí:lin apíslin ‘buttare via qualcosa’
anó:lin anóslin ‘divorare qualcosa’
maká:lin makáslin ‘aprire gli occhi’
(16) Suffissazione: huallaga-huánuco quechua (quechuan, America del Sud; Weber 1989: 150)
Chay-pita paka-ykacha-yllapa qeshpi-ku-rqa-:.
quello-ABL nascondersi-ITER-ADV fuggire-REFL-PST-1
‘Dopo che ero fuggito, nascondendomi qua e là.’
La reduplicazione è un’altra strategia particolarmente diffusa. Anche in questo caso possiamo trovare diversi tipi di reduplicazione (sia parziale sia totale) in quasi tutte le aree geografiche, ma con maggiore frequenza nelle lingue africane.
(17) Reduplicazione parziale: hausa (afroasiatica, Africa; Součková 2011: 106)
taa tat~tàɓà hancìntà
3SG.F.PF PLAC~toccare naso.suo
‘Lei si è toccata il naso ripetutamente.’
(18) Reduplicazione totale: burushaski (isolata, Asia; adattato da Munshi 2006: 226)
e:giću-mane e:gićumane
sow.PFV-mentre∼PLAC
‘(Mentre) semina continuamente.’
Infine, con alternanza lessicale si intende una coppia di verbi che sono completamente diversi dal punto di vista fonologico, ma che sono connessi dal un punto di vista semantico. Infatti, i due verbi hanno lo stesso significato lessicale ma si alternano per indicare diversi valori di numero: mentre un verbo codifica una situazione singola, l’altro verbo codifica la stessa situazione ma plurale. Questa strategia è diffusa a livello interlinguistico, ma pare essere più frequente nelle lingue dei nativi del Nord America.
(19) Alternanza lessicale: wari’ (chapacuran, America del Sud; Everett & Kern 1997: 328)
a. xin na-in
lanciare.SGAC 3SG.RP/P-3N
‘Lui lo ha lanciato via.’
b. wixicao’ na-in
lanciare.PLAC 3SG.RP/P-3N
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Una questione interessante riguarda il fatto che non sembrano esserci particolari associazioni ricorrenti di forma e funzione a livello interlinguistico. L’unica tendenza riscontrabile riguarda l’alternanza lessicale, la quale, al contrario delle altre due strategie, tende a codificare più spesso la funzione della pluralità dei partecipanti.
Inoltre, diverse strategie di marcatura possono coesistere anche in lingue strettamente imparentate, o addirittura nella medesima lingua. Si prenda ad esempio la situazione delle lingue ciadiche del mio campione tipologico, riportata in Tabella 1.
Tabella 1. Strategie di marcatura della plurazionalità nelle lingue ciadiche del campione. Ciò dimostra ancora una volta come la plurazionalità sia un fenomeno con un’elevata varietà a livello tipologico, sia a livello funzionale ma anche a livello formale.
Esistono alcuni problemi legati alle strategie di marcatura.5 Quello più discusso in
letteratura riguarda la possibilità di descrivere l’alternanza lessicale come un caso di suppletivismo. Nel prossimo paragrafo questo problema sarà brevemente discusso.
5Altri problemi formali legati alle marche plurazionali, che non saranno trattati qui, sono la distinzione
tra reduplicazione morfologica e ripetizione sintattica (cfr. Gil 2005 e Mattiola 2019: 71-75) e la difficoltà nel distinguere marche di numero nominale e marche di pluralità dei partecipanti (cfr. Durie 1986 e Mattiola 2019: 86-93).
Lingue Strategie di marcatura Affissi Reduplicazione Alternanza lessicale Altre Hausa (Newman 2000, Jaggar 2001) == parziale (iniziale/interna) == == Lele (Frajzyngier 2001) -wì == == sordizzazione della consonante iniziale Masa (Melis 1999)
NESSUNA MARCA PLURAZIONALE ATTESTATA
Mupun (Frajzyngier 1993) -a, -r, -e, -ep, -wat, -k == sì == Pero (Frajzyngier 1989) -j/-t (doppia) geminazione, parziale == inserzione di un’occlusiva glottidale sorda, inserzione di una semivocale geminata Wandala (Frajzyngier 2012) -a- parziale sì ==
3.1 Suppletivismo, alternanza della base e alternanza lessicale
In letteratura si trovano almeno due diverse diciture che si riferiscono alla strategia dell’alternanza lessicale descritta nel paragrafo precedente. Si tratta dei termini
suppletivismo (cfr. suppletion/suppletive) e alternanza della base (cfr. stem alternation).
Entrambe queste etichette risultano essere fuorvianti o addirittura scorrette, ma per motivi e con modalità differenti. Mentre il termine suppletivo per riferirsi all’alternanza lessicale non è appropriato da un punto di vista teorico, l’espressione alternanza della
base, sebbene si riferisca allo stesso fenomeno a cui si riferisce alternanza lessicale,
risulta essere fuorviante e non totalmente adatto da un punto di vista terminologico. In molti lavori, sia descrittivi sia teorico-generali, la situazione di due verbi che si alternano in base al numero degli eventi che denotano, che noi abbiamo chiamato alternanza lessicale, viene descritta come un caso di suppletivismo. Prima di discutere la questione, diamo una definizione di ciò che solitamente si intende per suppletivismo nella letteratura morfologica. Il suppletivismo è quel fenomeno per il quale “forme flesse diverse di uno stesso item lessicale non sono correlate da un punto di vista fonologico” (Corbett et al. 2005: 35).6 In altre parole, sono dette suppletive forme flesse
di uno stesso lessema, e quindi in relazione paradigmatica tra loro, che non hanno alcuna somiglianza fonologica.
In letteratura, gli studiosi si allineano su due posizioni: (i) alcuni considerano l’alternanza lessicale come un caso di suppletivismo (e.g. Veselinova 2006); (ii) altri invece non considerano l’alternanza lessicale come un caso di suppletivismo (e.g. Mithun 1988).
Per esempio, Mithun (1988) ritiene che non si possa considerare l’alternanza lessicale (che lei chiama alternanza della base, stem alternation) un caso di suppletivismo in quanto le basi che si alternano solitamente non mostrano alcun tipo di relazione paradigmatica, ma solamente una connessione semantica.
Nel senso più rigoroso, il suppletivismo si riferisce ad un’alternanza allomorfica condizionata da una distinzione flessiva sistematica. […] L’implicita pluralità
degli effetti è una caratteristica del loro significato base [i.e., delle coppie di basi]. Camminare da soli è classificato dal punto di vista lessicale come un’attività diversa dal camminare in gruppo; parlare è diverso da conversare; assassinare un singolo individuo è diverso da massacrare un villaggio. Queste coppie di verbi
sono correlate da un punto di vista semantico e non flessivo. (Mithun 1988: 214,
enfasi mia)7
Un esempio che va a favore di questa teoria è quella dei verbi classificatori. In poche parole, il numero degli eventi (e dei partecipanti coinvolti) sarebbe un tratto semantico del singolo verbo, esattamente come altre caratteristiche, tra le quali il tipo e la forma dell’oggetto/i dato/i. Ad esempio, in klamath (lingua isolata parlata nel sud dello stato dell’Oregon al confine con la California, negli Stati Uniti d’America) esistono diversi verbi
6Testo originale: “different inflectional forms of the same lexical item are not related phonologically”. 7Testo originale: “In the strictest sense, suppletion refers to allomorphic alternation conditioned by a
systematic inflectional distinction. […] The implied plurality of effect is a feature of their basic meaning.
Walking alone is classified lexically as a different activity from walking in a group; speaking is different from conversing; murdering an individual is different from massacring a village. The pairs of verbs are
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con il significato primario di ‘dare’, ma che si distinguono per il tipo di oggetto che viene dato.
(20) Klamath (isolata, America del Nord; adattato da Barker 1964: 176)
lvoy ‘dare un oggetto rotondo’
neoy ‘dare un oggetto piatto’
ksvoy ‘dare un oggetto vivo’
sɁewanɁ ‘dare molti oggetti’
Le caratteristiche dell’oggetto sono tali da rendere le singole azioni denotate da questi verbi come diverse, e quindi necessitano di essere codificate tramite verbi diversi: dare un singolo oggetto rotondo non è un’azione percepita come uguale a quella di dare un singolo oggetto piatto o vivo, e allo stesso modo dare molti oggetti non è percepito come la stessa azione che dare un singolo oggetto (indipendentemente dalla forma o animatezza).
Al contrario, Veselinova (2006) ritiene che si possa parlare di suppletivismo (anche se non prototipico) e inoltre afferma che le basi sono effettivamente lessemi diversi da un punto di vista diacronico, ma che bisogna tenere in considerazione il fatto che possano diventare con il tempo paradigmaticamente connessi a livello sincronico.
Da un punto di vista diacronico, non c’è dubbio che le coppie di numero verbale discusse in questo capitolo siano espressioni lessicali separate che includono nel
proprio significato lessicale il numero di volte in cui un’azione viene compiuta o il numero dei partecipanti più fortemente coinvolti dall’azione o stato. […] Comunque, il fatto che queste parole incorporino il numero nel proprio significato
le rende più facilmente associabili a processi derivazionali o flessivi in cui i verbi sono coinvolti come la derivazione di azioni plurali e l’accordo. (Veselinova
2006:172-173, enfasi mia)8
Discutere questo problema a livello tipologico è indubbiamente complesso, visto che la questione dovrebbe essere affrontata caso per caso all’interno di ogni singola lingua. Nonostante ciò, possiamo comunque fare qualche considerazione generale. Esistono almeno due motivazioni che spingono a preferire la posizione proposta da Marianne Mithun. Per prima cosa, a livello interlinguistico, le due forme che si alternano per numero tendono a essere effettivamente due lessemi diversi (come parzialmente notato anche da Veselinova) correlati da un punto di vista semantico, ma non dai punti di vista fonologico e morfologico/paradigmatico. Ovviamente esistono casi di vero suppletivismo (cfr. ad esempio l’elenco dei verbi singolari e plurali dello ngiti, lingua sudanica, contenuto in Kutsch Lojenga 1994: 283), e l’osservazione diacronica proposta da Veselinova è indubbiamente da tenere in considerazione, anche se, per molte lingue, pare che allo stato attuale il verbo singolare e quello plurale non siano ancora percepiti come due celle dello stesso paradigma. La seconda motivazione, invece, riguarda la definizione di suppletivismo. Appare abbastanza evidente come le due posizioni si distinguano principalmente per le definizioni di suppletivismo adottate: Mithun adotta
8Testo originale: “From a diachronic point of view, there is no doubt that the verbal number pairs
discussed in this chapter are separate lexical expressions which include in their lexical meaning the
number of times an action is done or the number of participants most strongly affected by the action or state. […] However, the fact that such words incorporate number in their meaning makes them also
prone to become associated with derivational or inflectional processes where verbs are involved such as
una definizione stretta (cfr. “[…] in the strictest sense […]” nella citazione tratta da Mithun 1988: 214), Veselinova invece definisce lo stesso fenomeno in maniera più ampia tenendo in considerazione anche relazioni derivazionali e non solo flessive (cfr. “The term suppletion is typically used to refer to the phenomenon whereby regular semantic and/or grammatical relations are encoded by unpredictable formal patterns” Veselinova 2006: xv). In linguistica, però, è sempre bene mantenere le definizioni dei fenomeni il più precise e definite possibile per evitare di ‘annacquare’ le nozioni che esse circoscrivono e rendere di conseguenza più difficile e meno predittiva la loro applicazione.
La seconda questione è prettamente terminologica. Mithun, come molti altri, adotta il termine stem alternation. Questa etichetta risulta essere fuorviante. Infatti, il termine base (stem) è di solito utlizzato in morfologia per riferirsi alla radice lessicale più eventuali estensioni derivazionali di una determinata forma flessa (cfr. “the base of an inflected word-form” Haspelmath 2002: 274). Pertanto, l’utilizzo di ‘alternanza della base’ rimanda nuovamente a una possibile relazione flessiva e paradigmatica. Siccome abbiamo visto come le due forme che si alternano per numero sono in realtà due lessemi diversi, propongo di chiamare questa strategia di marcatura ‘alternanza lessicale’, in modo tale da evitare possibili fraintendimenti.