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1.3. Istruzioni per gli indipeti: il manuale di Geronimo Pallas

1.4.2. Le costanti delle richieste: l’aspetto culturale

La capacità di apprendere le lingue o il parlarne già più d’una era un altro dei fattori su cui gli indipeti puntavano già da fine Cinquecento, come nota Guerra . 119

Conoscere le lingue rimase anche nei secoli a venire una caratteristica che dava un valore fondamentale a una candidatura. Circa un secolo dopo, Giuseppe Bobadilla scriveva di avere già reso nota la sua vocazione al Generale e di averne parlato dal vivo col Procuratore delle Filippine (Domenico Medel) il quale, dopo averlo spronato a insistere in questa buona richiesta, gli aveva detto

tra l’altre cose che, per essere io Figlio di Padre e Madre spagnuoli nativi e possedendo la lingua castigliana, mi avrebbe volentieri assegnato alla sua Missione delle Filippine, ove la gente colta si serve assai di questa lingua . 120

Un’altra conoscenza utile e richiesta per la missione era l’apprendimento superiore e in particolare le “Matematiche”. Lo studio, specie dopo i primi decenni dalla fondazione della Compagnia, era emerso come “carattere fondante nel costruire l’immagine del buon candidato, che prima invece seppur presente non era essenziale” . Il percorso di Matteo Ricci aveva ampiamente mostrato come parte 121

integrante della accomodatio consistesse nell’assecondare gli interessi della

Uno degli indipeti presi in considerazione da Guerra enfatizzava l’aspetto con le seguenti parole:

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“Questo mio desiderio [delle Indie] mi si accresce per esser sano, per saper la lingua spagnola et per havere qualche abilità a qualche lingua straniera, per haver appreso in breve tempo la spagnola senza molto aiuto né metodo” (ARSI, FG 733, f. 11/1, Napoli 23 giugno 1590, cit. in GUERRA, “Per un’archeologia della strategia missionaria, p. 151).

ARSI, FG 750, f. 173, Genova 16 luglio 1704.

popolazione che si voleva evangelizzare. Nel caso cinese in particolare , quindi, erano 122

richieste ai gesuiti competenze matematiche e scientifiche. Con la riforma del calendario cinese, l’introduzione di nuovi strumenti tecnologici (il telescopio, nuovi sistemi di misurazione…) e dirigendo per decenni il Tribunale delle Matematiche e l’Osservatorio astronomico imperiale, i gesuiti diedero un contributo decisivo allo sviluppo della scienza nell’Impero cinese, in un periodo in cui le dinastie Ming prima e Qing poi erano particolarmente interessate a recepire nuove conoscenze.

Agli inizi del Settecento, Domenico Caraccioli scriveva che, pur nell’indifferenza della destinazione, si era dedicato allo “studio della Fisica, avanzato in quello della Matematica, preso con gusto spezialmente perché giova alla conversione dell’Indie Orientali” . Il siciliano Antonio Porzio nelle sue molteplici candidature per le Indie 123

orientali enfatizzò sempre l’impegno profuso negli studi delle Matematiche, perché aveva “udito essere [le Matematiche] colà in qualche maniera necessarie” . La 124

segreteria del Generale non risultò indifferente a questa dote perché sul retro dell’epistola si annotava che Porzio “studia le matematiche perché sente esser ivi giovevole” : è un aspetto importante, segno di una strategia di conversione molto 125

chiara anche a Roma.

Per agevolare la sua partenza, Federico di Massarano si dichiarava pronto a portare con sé non solo del denaro ma anche “cose che, conforme alla notizia havuta dal Padre Grimaldi, ho inteso essere nella Cina molto più utili a Missionarii di quel che sia il

Anche i giapponesi, per il breve periodo in cui fu consentito agli stranieri di vivere e operare in

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Estremo Oriente, si mostrarono interessati alla scienza e alle innovazioni occidentali, soprattutto a quelle più utili in quel momento ossia le armi da fuoco. Significativamente l’archibugio importato dagli europei ricevette il nome di “tanegashima”, ossia l’isola (nonché la casata che vi dominava) sulla quale alcuni marinai portoghesi fecero naufragio nel 1543, portando con sé un’arma così preziosa in un’epoca di conflitti diffusi in tutto l’impero quale era il “Sengoku jidai” (letteralmente, “periodo degli stati belligeranti”); si veda BOSCARO, Adriana, Ventura e sventura dei gesuiti in Giappone (1549 – 1639), Venezia 2008). L’interesse dei giapponesi per le scienze occidentali non era comunque paragonabile a quello dei cinesi, più articolato e ben lungi da una semplice curiosità, e che richiese una sistematica e impegnativa operazione di traduzione, adattamento e pubblicazione di molti dei classici europei (a partire da quelli greco-romani, con Euclide), del settore, che coinvolse non solo gesuiti ma anche, necessariamente, collaboratori cinesi (cfr., fra gli altri, STANDAERT, Nicolas, “Christianity Shaped by the Chinese”, in PO-CHIA HSIA, Ronnie (ed.), The Cambridge History of Christianity, Cambridge 2007, pp. 558-576).

ARSI, FG 750, f. 211, Palermo 12 giugno 1705.

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ARSI, FG 750, f. 206, Palermo 26 maggio 1705.

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ARSI, FG 750, f. 206v.

denaro” , ossia libri scientifici. Allo stesso modo Giovanni Francesco Musarra 126

scriveva di aver studiato “quel poco di Matematica” e che, qualora il Padre generale 127

lo avesse mandato in un posto dove serviva (il riferimento è evidentemente alla Cina), sarebbe salpato con qualcosa di molto importante. Voleva portare con sé tanti libri di matematica, “per quanto a un Missionario sia permesso recarne senza aggravio della Nave, poiché mi pare incredibile che colà eziandio appresso i Nostri sia per trovarne che quasi niente”.

Sono molto rari i casi in cui un gesuita puntava sulle proprie capacità musicali, per questo la testimonianza di Francesco Maria Luciani è ancora più preziosa. Mentre da un lato sottolineava i propri demeriti e la propria inutilità (evidenziando come la sua Provincia di appartenenza, quella Romana, non si sarebbe neppure accorta della sua assenza, anzi ne avrebbe guadagnato) dall’altro scriveva al Generale di aver ricevuto da Dio “l’ornamento del suono del Violino” e di volerlo utilizzare fruttuosamente. Le 128

sue doti di violinista, unite a “qualche prattica di Musica”, lo avrebbero aiutato a “facilmente acquistar la benevolenza di quei Barbari, e così promuovere molto la dilatazione della Santa Fede”. È interessante che Luciani non avesse paura di affermare che “un tale ornamento per me in questa Provincia sarebbe perduto”: le sue doti musicali sarebbero state ben più utili a apprezzate in Cina che nel centro-Italia. La sua particolare abilità veniva effettivamente annotata sul retro della lettera (“Sa di violino supra mediocritatem”), ma essa non fu sufficiente a garantirgli la desiderata missione cinese perché pochi anni dopo (1722) il gesuita si spense all’interno della sua Provincia . 129

Le circolari romane e le prassi della Compagnia concordavano sull’importanza della accomodatio: il missionario doveva essere in grado di fare propri usi e costumi del Paese di destinazione, secondo le politiche teorizzate da Alessandro Valignano e messe in pratica in primis da Matteo Ricci in Cina e Roberto Nobili in India.

ARSI, FG 749, f. 348, s.l. [31 gennaio 1691].

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ARSI, FG 749, f. 636, Mazara 5 marzo 1695.

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ARSI, FG 750, ff. 502, 502v, Città di Castello 25 luglio 1717.

Fra gli indipeti italiani di inizio Settecento, Francesco Saverio Farugi raccontava della propria ardente vocazione alla missione ma presagiva che l’età di soli diciannove anni potesse essere considerata dal Generale non abbastanza matura. Tuttavia proprio sulla sua gioventù puntava perché, secondo il suo modo di vedere, un ragazzo aveva maggiore “facilità d’accomodarsi a tanti patimenti e disastri, come imparar le lingue, impratichirsi del modo delle missioni” . 130