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Scrivere una buona littera indipeta: le istruzioni dall’alto

Le litterae indipetae sono una tipologia di epistole talmente particolare che possono ascriversi quasi a un genere letterario a sé, con specifici tòpoi culturali e taluni elementi dell’ars dictaminis coeva. Esse presentavano spesso una struttura specifica: apertura con formule affini alla captatio benevolentiae con le quali il gesuita ammetteva di essere indegno e meschino e umilmente chiedeva l’attenzione del Generale. La successiva narratio sintetizzava le circostanze che avevano condotto il candidato a redigere un documento fra mille sforzi e struggimenti interiori. Il fulcro della littera indipeta era chiaramente posto nella petitio, ossia la richiesta di essere inviato in missione (con maggiore o minore indifferenza relativamente a tempistiche e meta); infine l’epistola terminava con una conclusio. Come esempio di questa impalcatura stilistica possiamo annoverare una parte delle indipetae italiane del Sei e Settecento; non tutte le richieste però seguivano questa generalizzazione, e moltissime fra esse iniziavano in medias res con un’accesa petitio.

Che cosa sapevano gli indipeti del Padre generale e della prassi di selezione? Probabilmente anch’essi erano consci del fatto che il suo entourage fosse molto impegnato a smistare le decine di candidature che giungevano a Roma ogni giorno. Ciononostante, come aveva assicurato un superiore a un indipeta dubbioso se inviare la sua candidatura, molti erano anche convinti che per il Generale le indipetae fossero più di “consolazione che tedio” . 26

Il romano Francesco Corsetti informava il Generale di provare da lungo tempo un forte desiderio di convertire gli infedeli: una volta ottenuta l’approvazione dei superiori, “acciò più facilmente riesca un tal mio disegno” indirizzava a Roma il suo

ARSI, FG 751, ff. 61, 61v, Termini 5 gennaio 1719. Si vedrà (cap. 4.3.) dalle Epistulae Generalium

26

come questa affermazione venisse spesso rivolta agli indipeti, che ricevevano ringraziamento per le loro candidature e inviti a persistere nell’invio - benché talora il Generale dovesse anche redarguirli e dissuaderli da una scrittura troppo insistente e compulsiva.

Tutte le citazioni che da qui in seguito riportiamo saranno una trascrizione diplomatica dei documenti dell’epoca. Esse si conformano all’attuale uso nella punteggiatura e prevedono l’aggiunta di alcune lettere (h per il verbo ausiliare, ad esempio) soltanto per agevolarne la comprensione. Maiuscole e minuscole corrispondono all’originale perché, soprattutto nel caso di indipeti di scarsa cultura, sembra rilevante mantenerle inalterate.

“memoriale” . È interessante notare come il gesuita, benché scrivesse dal Collegio 27

Romano e quindi a due passi dal Padre generale, avesse avvertito l’esigenza di ricordargli per iscritto della propria vocazione missionaria.

Gli indipeti talora si esprimevano sulle fasi che immaginavano contraddistinguessero la prassi dell’invio nelle Indie: Giovanni Battista Aggiutorio pregava “a scrivermi nel Catalogo dove registransi tutti coloro che, giusta gl’Ordini di Vostra Paternità, devono incaminarsi colà dove aspirano i miei desiderii” . Giovanni Domenico Pozzobonelli 28

nella la sua indipeta del 1716 oscillava tra due atteggiamenti opposti: da un lato non voleva ricevere la licenza soltanto “per importunità”, ma dall’altra non voleva neppure rischiare di “non ottenerla, perché Vostra Paternità si sia dimenticato il desiderio ch’Iddio s’è degnato benignamente concedermi”, evidenziando così l'antichità della sua vocazione . 29

Non sembra emergere una costante relativamente al momento migliore per redigere una indipeta. Giuseppe Maria Amendola aveva scritto le sue a distanza di dodici anni l’una dall’altra e giustificava questa pausa non con un indebolimento della vocazione, ma con un consiglio che gli era stato dato dai suoi Padri spirituali e da “molti Nostri partiti da questa Provincia [...] per isperienza”. Si era infatti rilevato che, prima di ripresentarsi come candidati al Generale, era meglio “fare tanti viaggi” o aspettare “dopo il corso de’ studii” . 30

Esistevano, in un certo senso, delle istruzioni da parte dei Generali su come andasse redatta una candidatura per le Indie: nel corso dei primi secoli dalla fondazione della Compagnia erano state emanate alcune circolari che dovevano da un lato motivare i gesuiti a fare richiesta (in generale per le Indie, oppure per una destinazione specifica per la quale si necessitava di nuove forze), dall’altro spiegare loro quali elementi il

ARSI, FG 750, f. 174, Collegio Romano 15 agosto 1704.

27

ARSI, FG 751, ff. 82, 82v, Napoli 24 febbraio 1720.

28

ARSI, FG 751, ff. 327, 327v, Milano 22 gennaio 1727 e FG 751, ff. 339, 339v, Milano 17 dicembre

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1727. Queste due candidature erano molto più specifiche delle precedenti riguardo alla meta: Perù o Messico nella prima e Filippine nella seconda, influenzato dal passaggio per Milano del Procuratore Bobadilla.

documento dovesse possedere per agevolare la segreteria romana nella scelta. 


Queste circolari svolgevano efficacemente il loro compito: è stato notato da più studiosi come in seguito ad esse le richieste per le Indie subissero aumenti consistenti. Nel caso italiano di Sei e Settecento è doveroso osservare anzitutto che in generale l’invio (o 31

quantomeno la conservazione archivistica) di indipetae non era regolare; l’influenza delle comunicazioni romane fu comunque un elemento certamente rilevante, così come lo fu il passaggio dei Procuratori . 32

Negli ultimi anni del Seicento, le richieste furono particolarmente numerose dal 1691 al 1695: giunsero a Roma 95 indipetae nel 1691, la metà circa nel 1692, 83 nel 1693, soltanto 33 nel 1694 e di nuovo 79 nel 1695 . Il numero diminuì significativamente 33

negli anni a venire (durante i quali oscillò tra le 7 e le 40 unità) riducendosi ulteriormente e radicalmente dopo il 1707. Per un decennio circa le candidature nel Fondo Gesuitico si contano sulla dita di una mano: si tratta, con tutta probabilità, di un problema di conservazione archivistica, perché un numero di lettere così basso non è compatibile con la persistenza della volontà di missione da parte di molti gesuiti del periodo. Un fattore che poteva incidere su queste oscillazioni numeriche di indipetae erano anche le guerre del periodo: si vedrà ad esempio come il frenetico susseguirsi di dinastie e i conflitti interni fra potere laico e religioso in Sicilia influirono profondamente sulla vocazione alla missione di molti gesuiti di quell'area . 34

Il quantitativo di richieste inviate a Roma tornò a crescere nel 1716, quando il loro numero superò il centinaio; nell’anno successivo si raggiunsero le 151 unità, e in seguito fino al 1729 le candidature si attestarono intorno alla trentina annua. Per ragioni purtroppo ignote, nel Fondo Gesuitico la conservazione regolare delle litterae indipetae italiane si interrompe proprio in quegli anni: la successiva testimonianza risale al 1744 e vi è poi una lacuna fino al 1770. Le vicende della Soppressione di poco successiva

Ci si riferisce in questa statistica alle sole litterae indipetae dell’Assistentia Italiae conservate

31

attualmente nel Fondo Gesuitico 749, 750 e 751, per gli anni 1687-1730. Per motivi di tempo si è limitata la ricerca a questo fondo escludendo Ital. 173 e Ven. 99 dove ne sono presenti alcune, ma non in quantità rilevante.

Cfr. capitolo 4.1..

32

Per un grafico dell’oscillazione delle indipetae in ARSI tra 1687 e 1730 si veda in Appendice.

33

Cfr. cap. 3, nota 113.

causarono la fine di qualsiasi continuità di conservazione documentaria fino agli anni della ricostituzione ottocentesca dell’ordine.

Le lettere dei Generali che esortavano a presentare la propria istanze nelle Indie influenzarono sicuramente il numero di indipetae di determinate annate. Poco prima del periodo preso in considerazione in questa tesi, Giovanni Paolo Oliva (1664-1681) all’inizio del suo generalato scrisse ai superiori francesi per incentivare la vocazioni verso le Antille: Pizzorusso ha notato che, immediatamente dopo la sua sollecitazione, vennero redatte molte indipetae richiedenti tale meta . Alcune di queste richieste 35

peraltro rivelavano una certa conoscenza da parte degli indipeti sia della situazione concreta della missione nelle Antille sia delle problematiche relative all’organizzazione delle spedizioni.

Secondo quanto testimoniato da un indipeta italiano, intorno al 1691 González redasse una circolare che invitava i gesuiti a candidarsi per la missione cinese. Maurizio Zaffino scrisse proprio in quell’anno la sua prima indipeta dalla Provincia Mediolanensis, ammettendo di non avere mai compiuto tale passo prima perché credeva che raggiungere l’Impero cinese fosse un’impresa impossibile. Aveva però cambiato idea dopo “la lettera circolare di Vostra Paternità, con la quale esorta ciascheduno ch’habbia tali desideri ad esporglieli” . 36

Lettere di un simile tenore, indirizzate dai Generali a diversi destinatari (i Provinciali, i superiori di qualche residenza, i Rettori - di tutte le Assistenze o solo di una di esse, o addirittura solo di una Provincia), non sono sempre identificabili. E neppure la ricerca, molto dispendiosa, attraverso i registri delle Epistulae Generalium di un determinato periodo e per ogni Provincia conduce a risultati certi. Per quanto riguarda le epistole parenetiche meno diffuse e note ci si basa quindi in questa trattazione soltanto sulle affermazioni rinvenibili nelle litterae indipetae dei gesuiti del periodo.

Paolo Faraone nel 1700 scriveva da Palermo la sua quinta indipeta in occasione della “fervorosa lettera indirizzata da Vostra Paternità l’anno trascorso, in modo speciale a

PIZZORUSSO, Giovanni, “Le choix indifférent: mentalités et attentes des jésuites aspirants missionnaires

35

dans l'Amérique française au XVIIe siècle”, in Mélanges de l'Ecole française de Rome. Italie et

questa Provincia, per animare i suoi sudditi alle apostoliche missioni di America”. Era già da nove anni che il siciliano presentava le proprie istanze per le Indie e, pur ammettendo di non godere di ottima salute, dalla sua aveva la perfetta conoscenza di molte lingue e la pratica acquisita nelle “missioni delle galee e carceri” . Il primo 37

elemento venne tenuto in particolare conto dalla segreteria romana, che annotò sul retro della lettera come il richiedente avesse “appreso più lingue”. Il gesuita tuttavia non ottenne quel che desiderava, e una quindicina di anni dopo morì nella nativa Sicilia . 38

Claudio Ferlan ha sottolineato come il 1722 sia stato un “momento decisivo per la definizione di un vero e proprio genere indipeta” , perché nel gennaio di quell’anno 39

Michelangelo Tamburini scrisse e indirizzò la circolare De mittendis ad Indias novis operariis, destinata “ad omnes Provinciales exceptam Angliam”, affinché la leggessero pubblicamente per promuovere le vocazioni per le Indie. Tale documento invitava gli aspiranti a indicare nelle proprie richieste “aetatem, vires, tempus, et ministeria” che ne motivavano il desiderio.

Dalle nostre ricerche emerge come, a partire da questa circolare di Tamburini, si verifichi un vero e proprio boom di richieste . Questa esplosione colpì l’Assistenza 40

italiana in generale (oltre 100 richieste nel 1722, mentre l’anno precedente erano soltanto 37) e tutte le Province al suo interno. L’unica eccezione fu la Romana e ciò è legato probabilmente al fatto che i gesuiti romani potevano interloquire dal vivo con la segreteria del Generale, senza ricorrere necessariamente al mezzo scritto. Nella Provincia Sicula le indipetae del 1722 superarono di un terzo quelle dell'anno precedente (da 22 a 38), nella Neapolitana quasi triplicarono (passando da 10 a 26), e in quella Mediolanensis addirittura ottuplicarono (da 5 a 38).

ARSI, FG 750, f. 86, Palermo 20 luglio 1700.

37

Faraone morì a Messina il 30 agosto 1715 (FEJÉR, Josephus SJ, Defuncti secundi saeculi Societatis

38

Jesu. 1641-1740, Romae 1985, p. 101).

Il documento è conservato in ARSI, Ep. NN. 9, f. 3. Su questo tema si veda anche FERLAN, Claudio,

39

“Candidato alle Indie. Eusebio Francesco Chini e le ‘litterae indipetae’ nella Compagnia di Gesù”, in FERLAN, Claudio (a cura di), Eusebio Francesco Chini e il suo tempo. Una riflessione storica, Trento 2012, p. 32 e CAPOCCIA, “Le destin des Indipetae”, pp. 89-110, spec. pp. 101-102.

Cfr. Appendice.

Le direttive del Generale, inoltre, modellarono anche dal punto di vista formale le indipetae di quell’anno e di quelli successivi: quasi tutte erano diligentemente scritte sulla falsariga dello schema da lui fornito. Di più: molte si limitavano a fornire essenzialmente i dati richiesti, riducendo notevolmente il loro interesse dal punto di vista della storia culturale e delle emozioni. È assente in quelle lettere qualsiasi fantasia, ricordo giovanile, racconto di miracoli ricevuti da parte dei richiedenti. Le lettere sono stringate, stereotipe, scritte apparentemente senza molto trasporto.

Costituiscono quindi una ancor più importante eccezione le indipetae dei “fedelissimi”, che già in precedenza tempestavano il Generale con le loro istanze e continuarono a farlo anche dopo questa circolare. Oltre ai nomi noti, erano frequenti i gesuiti alla loro prima richiesta, che non avevano mai segnalato fino ad allora la vocazione alle missioni indiane e dicevano di averla sentita risvegliare dentro di sé proprio in seguito alla comunicazione romana. Così come comparivano dal nulla, i loro nomi nel nulla tornavano e le loro candidature si limitavano a rimanere degli una tantum, confermando l’impressione di essere state redatte più “per dovere” che “per vocazione”.

Oltre alla struttura che rispettava le direttive del Generale, nella documentazione qui analizzata emergono anche riferimenti diretti ad esse: già alla fine del gennaio 1722 Stanislao de Marco scriveva da Napoli “in conformità dell’ordine di Vostra Paternità, manifestatoci per mezzo d’una lettera al Padre Provinciale circa la vocazione alle missioni dell’Indie” . Il gesuita non ebbe la sorte desiderata, e morì nella sua città una 41

quindicina di anni dopo . 42

Giovanni Saverio Bongiardina premetteva al suo elenco di informazioni personali la precisazione che si trattava di “obedire a quanto Vostra Paternità impone nella sua” . 43

Nicolò de Martino raccontava che “si lesse nel nostro Refettorio la sua Lettera Parenetica”, ossia di esortazione a richiedere la missione: dopo di che “molti che havevano desiderio di cercar le Missioni delle Indie si sentirono viepiù accesi nel loro

ARSI, FG 751, ff. 150, 150v, Napoli 29 gennaio 1722.

41

Stanislao de Marco morì a Napoli il 16 luglio 1736 (FEJÉR, Defuncti secundi saeculi, p. 25).

42

Così fece ad esempio Giovanni Saverio Bongiardina, ARSI, FG 751, ff. 200, 200v, Marsala 16 marzo

Santo desiderio: anche io sperimentai in me il medesimo effetto” e per questo scrisse 44

la sua prima indipeta, che rimase anche l’unica. Bongiardina non lasciò mai la Provincia di appartenenza e vi morì vent’anni dopo . 45

Antonino Sinatra, un gesuita che similmente non si era mai candidato prima, scriveva che la lettera del Generale che “poco fa si lesse nel nostro commun refettorio, fe’ riaccendere in me quel desiderio [che] fin da Novizio ebbi di chiedere l’Indie”. Con un certo ottimismo, affermava che dopo averla ascoltata gli sembrava di essere seguito ovunque da questo pensiero: “ovunque mi porti, mi sento non so qual voce interiore ch’or mi dice: L’è impossibile che ti facci sol una volta a supplicare il Padre Generale, senza esserne soddisfatte le tue dimande” . Giuseppe Cacace, per quanto “non [...] 46

meritevole per ora di tal favore”, implorava il Generale di “registrare il mio nome in quel fortunatissimo Libro in cui soglion registrarsi i Nomi di coloro che cercano l’Indie, affinché io resti con qualche speranza di andare o più presto o più tardi, come sarà maggior gloria di Dio” . 47

Sempre nello stesso periodo Mauro Berarducci informava Roma di essere stato “precisamente stimolato dall’ultima circolare di Vostra Paternità, ch’essortava e invitava i Sudditi ad accorrere alle tante richieste che continovamente vengono di Operarii evangelici” . Il gesuita, all’epoca già quarantaquattrenne, era nella Compagnia da 48

ventotto anni e aveva già presentato le sue istanze nel 1699 e nel 1705 : la 49

comunicazione di Tamburini aveva nel suo caso avuto l’effetto di ‘rinfrescare’ una vocazione quasi sopita e sulla realizzazione della quale, probabilmente, non si era più fatto molte illusioni, smettendo di riproporla. Forse anche a causa dell’età avanzata la

ARSI, FG 751, ff. 164, 164v, Napoli 13 febbraio 1722.

44

Bongiardina morì a Palermo il 21 aprile 1740 (FEJÉR, Defuncti secundi saeculi, p. 146).

45

ARSI, FG 751, ff. 196, 196v, Palermo 5 marzo 1722. Il nome di Sinatra non è presente fra i defunti

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della Compagnia né nei maggior repertori dei gesuiti inviati oltremare.

ARSI, FG 751, ff. 255, 255v, Bari, 6 marzo 1723. Anche di questo gesuita non si conosce il destino,

47

che probabilmente non fu comunque quello di missionario nelle Indie. ARSI, FG 751, ff. 264, 264vv, Benevento 21 agosto 1723.

48

ARSI, FG 750, f. 70, Napoli 7 marzo 1699 e ff. 226 e 226v, Napoli 24 ottobre 1705.

candidatura di Berarducci non fu accolta, e il gesuita morì a Napoli una decina di anni dopo . 50

Una lettera tipica del periodo, per quanto più prolissa e personale di altre, è quella del napoletano Giovanni Chiavacci, il quale non aveva mai scritto alcuna indipeta. Questi entrava in medias res fin dalla prima riga, nella quale annunciava che “il desiderio ardentissimo” , che nutriva dentro di sé da ancor prima di vestire l’abito gesuita, “di 51

andare una volta a terminar la vita tra gli Infedeli”, era stato “con le dolci Paterne esortazioni talmente ravvivato” che non aveva potuto evitare di redigere la propria richiesta. Chiedeva quindi di essere inserito “nel numero di quei tanti fortunati che havranno la beata sorte di incaminarsi per sì avventurato viaggio”.

Chiavacci specificava al Generale che la sua richiesta non era assolutamente motivata da “qualche avversione ch’havessi a questa Provincia o a qualche soggetto di essa, né meno per esser troppo aggravato d’officii faticosi”. Si trovava a suo dire molto bene e godeva dell’amore di tutti, nella sua Provincia: come nel caso di altri suoi confratelli, viene spontaneo chiedersi se questa ostentazione di armoniosa vita in comunità corrispondesse al vero . 52

Chiavacci assicurava il Generale di essersi “ben consigliato prima con Dio e poi con questi Padri spirituali” relativamente alla sua vocazione. Ammetteva di non essere stato ancora impiegato per compiti importanti, ma era sicuro che in missione ci fosse talmente tanto bisogno di manodopera che si sarebbe trovata la mansione giusta anche per lui e si dichiarava pronto ad “apprendere et esercitarmi in qualsivoglia altra cosa” e a “superare qualunque ostacolo che da qualcuno […] fosse addotto per impedire l’adempimento della mia risoluzione”. Questa specificazione riconferma il sospetto che qualcuno, molto probabilmente i superiori locali, avrebbero avanzato perplessità circa la sua partenza: anche per questo Chiavacci riconosceva solo nel Generale il suo “avvocato”. Il gesuita concludeva la lettera indicando i dati che sapeva essere più necessari per una candidatura: “la mia età è d’anni ventisette meno alcuni giorni, e anni

Mauro Berarducci morì a Napoli il 22 febbraio 1737 (FEJÉR, Defuncti secundi saeculi, p. 111).

50

ARSI, FG 751, ff. 154, 154v, Napoli, 7 febbraio 1722. Non si sa quale sia stata la sorte del gesuita, il

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sette di Religione; di Nazione Toscano e di Patria Pistoiese; di complessione non robusta, ma di perfetta salute”.

Le direttive della circolare di Tamburini plasmarono quindi molte litterae indipetae, e qualche decennio dopo vennero integrate e ribadite da Franz Retz (1673-1750, Generale dal 1730 alla morte). Nel 1734 il Generale scrisse “ad Patres provinciales omnes, praeterquam Anglia et Lithuaniae” un’epistola intitolata “Capita informationis de iis, qui petunt Missiones transmarinas” . Tamburini aveva previsto 53

pubblica lettura per la sua lettera, mentre Retz si rivolgeva al più ristretto circolo dei Provinciali affinché indirizzassero i loro sottoposti a scrivere richieste secondo quanto da lui comunicato . Al primo articolo di questa direttiva, Retz esplicitava l’esigenza di 54

conoscere “Nomen, Patria, aetas, gradus in Societate, Studia, et ministeria” del candidato. Come nota Ferlan,

l’indagine era piuttosto dettagliata e aveva lo scopo di consentire allo stesso generale, e a chi lo affiancava nella decisione sulla eventuale destinazione missionaria, di essere adeguatamente informato su qualità fisiche e morali, nonché doti intellettuali, disponibilità e motivazioni di ogni candidato alle Indie . 55

Gli articoli successivi infatti chiedevano ai Provinciali di informarsi se gli aspiranti avessero “sufficientes vires corporis, et sanitatem” (2.), se con la loro “prudentia” e i talenti sarebbero stati adatti a operare in una determinata zona (3.), se fossero guidati da una “recta intentione” (4.). Il quinto punto era teso a investigare se fossero di buona indole e se sarebbero stati in grado di accomodarsi facilmente alle nuove usanze incontrate in missione, sopportandone anche le difficoltà e i pericoli (6.).

Il candidato ideale doveva essere devoto, umile, mansueto, caritatevole, amare le mortificazioni e la povertà, obbedire, essere indifferente alla destinazione e

ARSI, Ep. NN. 9, f. 151.

53

L’indicazione era che “Provinciales informationes mittant de candidatis missionum”, come stabilito dal

54

decreto della XVI Congregazione generale del 1730 (cfr. Synopsis Historiae Societatis Iesu, Lovanii 1950, col. 306).

FERLAN, “Candidato alle Indie”, p. 32.

all’incarico : questo punto era molto significativo e si vedrà a breve che anche 56

Geronimo Pallas lo ribadì più e più volte (7.). Oltre a ciò, doveva avere lo zelo 57

sufficiente a un’impresa che gli sarebbe costata innumerevoli fatiche e incomodi (8.). Similmente, l’ultima clausola era riservata ai coadiutori temporali: il Generale chiedeva ai Provinciali di verificare che fossero amanti delle fatiche e pronti a qualsiasi disagio nel nome di Dio (9.).

Una volta fissate le regole per redigere una indipeta di successo, un’altra