LA DISCIPLINA VIGENTE IN MATERIA DI MISURE DI PREVENZIONE. PROFILI SOSTANZIALI
2. Le fattispecie di pericolosità c.d. generica
Ai sensi dell’art. 1 cod. ant., rientrano nelle categorie di pericolosità c.d. generica: a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;
b) coloro che per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica13.
L’art. 1 cod. ant. riproduce fedelmente il previgente art. 1 l. n. 1423/1956 così come modificato dalla l. n. 327/1988. Come abbiamo già visto nel primo capitolo del presente lavoro, la riforma del 1988, ispirata da un riscoperto afflato garantistico dopo oltre un ventennio di interventi legislativi di carattere emergenziale, si era assunta il compito di smorzare i tratti più marcatamente afflittivi e illiberali della disciplina della prevenzione [supra, cap. I, 9.2.1.]. Tra le novità introdotte dalla citata riforma, spicca la riscrittura delle fattispecie di pericolosità c.d. generica: volendo prendere le distanze dal diritto di polizia di memoria fascista14 e provando a fare proprio il ragionamento sviluppato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 177/198015, il legislatore del 1988 13 L’inciso «comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa» è stato recentemente inserito con d.l. 20 febbraio 2017, n. 14, convertito con modicazioni dalla l. 18 aprile 2017, n. 48.
14 Come si ricorderà, i t.u. di polizia fascisti facevano frequente ricorso alla “voce pubblica” come presupposto per l’applicazione dell’ammonizione e del confino di polizia, così da poter applicare le misure in questione senza la necessità di individuare concreti comportamenti attribuibili al soggetto proposto [supra, cap. I, 2.4.].
15 Come già detto, nella sentenza n. 177/1980 la Corte costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità della categoria soggettiva dei “proclivi a delinquere”, aveva affermato a chiare lettere che «anche nel processo
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ha inserito nelle nuove fattispecie la locuzione «elementi di fatto», contrapponendola idealmente al mero “sospetto”. In altre parole, nell’ottica del riformatore, con tale aggiunta si è voluto imprimere una svolta al sistema di prevenzione, abbandonando definitivamente la “logica del sospetto” che, fino a quel momento, aveva caratterizzato il diritto preventivo, ed esigendo per la prima volta in maniera espressa l’accertamento di fatti concreti ai fini dell’inquadramento del proposto entro una delle categorie soggettive16.
Come abbiamo già detto nel capitolo precedente [supra, cap. I, 9.2.1.], la sostituzione del vetusto “sospetto” in favore dei più moderni e liberali «elementi di fatto», salutata da più parti come la panacea di molti (o quantomeno di alcuni) dei mali della prevenzione17, non ci sembra che abbia veramente spostato verso l’alto gli standard garantistici della valutazione operata dal giudice della prevenzione ma, più semplicemente, abbia esplicitato l’ovvio, senza peraltro risolvere il problema del grado di persuasività che gli elementi presi in considerazione devono essere capaci di esprimere. In effetti, come osservato da autorevole dottrina, a meno di non voler sostenere che l’organo procedente possa agire «in conformità a proprie fantasticherie od oniriche rivelazioni, è evidente che anche il più esile sospetto non possa che trarre spunto da
di prevenzione la prognosi di pericolosità (…) non può che poggiare su presupposti di fatto “previsti dalla legge” e, perciò, passibili di accertamento giudiziale»; e che «non è affatto rilevante che la descrizione normativa abbia ad oggetto una condotta singola ovvero una pluralità di condotte, posto che apprezzabile può essere sempre e soltanto il comportamento o contegno di un soggetto nei confronti del mondo esterno, come si esprime attraverso le sue azioni od omissioni». L’importanza fondamentale di tale pronuncia per il diritto della prevenzione risiede nel fatto che, per la prima volta, è stata espressa in maniera inequivocabile l’incompatibilità costituzionale di fattispecie di pericolosità costruite attorno a modelli puramente soggettivi ovvero basate su elementi – come la “voce pubblica” fascista – difficilmente controllabili e, dunque, altamente arbitrari [supra, cap. I, 9.1.].
16 Evidenziano il valore garantistico della locuzione E. GALLO, voce Misure di prevenzione, cit., p. 6; R. GUERRINI,L.MAZZA, S.RIONDATO, Le misure di prevenzione, cit., p. 63. In senso parzialmente critico G. FIANDACA, voce Misure di prevenzione (profili sostanziali), cit., p. 116, il quale ha sottolineato il rischio che «l’esplicito richiamo normativo degli elementi fattuali possa di fatto rivelarsi inidoneo ad influenzare in senso più garantistico l’accertamento probatorio concreto: infatti, se il giudice della prevenzione facesse troppo sul serio in punto di verifica probatoria, verrebbe meno la stessa esigenza pratica di attivare il procedimento preventivo, sussistendo gli elementi indiziari sufficienti per promuovere il normale processo penale». Di recente, in giurisprudenza richiamano la locuzione «elementi di fatto» in contrapposizione alla logica del sospetto: C. cass., sez. II, 7 febbraio (dep. 2 marzo) 2018, n. 9517, Baricevic, in CED Cassazione; C. cass., sez. VI, 11 ottobre 2017 (dep. 19 gennaio 2018), n. 2385, Pomilio, in CED Cassazione; C. cass., sez. I, 15 giugno 2017 (dep. 9 gennaio 2018), n. 349, Bosco, in CED Cassazione; C. cass., sez. II, 4 giugno (dep. 22 giugno) 2015, n. 26235, Friolo, in CED Cassazione.
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elementi concreti». Più precisamente, non bisogna confondere «la scarsa persuasività di questi ultimi con la loro inesistenza: è piuttosto il riconoscimento della prima a far risaltare il bisogno di un’indagine accurata per suffragare con nuove risultanze le iniziali inferenze»18.
Il nocciolo della questione non sta, allora, nella base ontologica del giudizio in sé e per sé considerata, quanto piuttosto nel livello (quantitativo e qualitativo) minimo richiesto ai fini dell’attivazione del procedimento e dell’applicazione delle misure di prevenzione19. Ebbene, l’art. 1 cod. ant. ritiene bastevole che, sulla scorta degli elementi presentati dall’organo proponente, “debba ritenersi” lo stile di vita delittuoso del soggetto così come descritto nelle lett. a), b) e c): a fronte di un tale dato normativo, a noi sembra che, in assenza di ulteriori specificazioni, il grado di convincimento richiesto dalla citata disposizione corrisponda tutt’al più a quello di una probabilità, non ulteriormente qualificata20.
Va peraltro osservato che la più recente giurisprudenza di legittimità, nel tentativo di meglio definire i contorni delle fattispecie di pericolosità c.d. generica, ha sfruttato il carattere “neutro” della locuzione «debba ritenersi» per provare a tracciare una linea di demarcazione tra tali categorie soggettive e le fattispecie indiziarie di cui all’art. 4 cod. 18 G.UBERTIS, Profili di epistemologia giudiziaria, Milano, 2015, p. 109. Qualche riga prima l’A. esclude addirittura la possibilità di differenziare in maniera rigorosa l’indizio dal sospetto, sulla base della considerazione che «in ambedue i casi (…) dall’elemento che si pone alla base dell’inferenza può trarsi soltanto una conclusione incerta». Tutt’al più, secondo l’A. è «solo da una considerazione “quantitativa” che può desumersi la distinzione tra indizio e sospetto, riconoscendo che il dato di partenza del secondo costituisce, per così dire, un anello più lontano o più debole dell’elemento indiziario lungo la catena che può condurre alla verifica dell’oggetto di prova». In maniera non dissimile: T. PADOVANI, Misure di
sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 248, il quale ricorda che «il richiamo agli elementi di fatto è un
richiamo probatorio, non sostanziale».
19 Cade nell’equivoco di confondere la base ontologica del giudizio con il livello di persuasività della stessa anche D.PETRINI, La prevenzione inutile, cit., p. 221, laddove afferma, in maniera forse troppo avventata, che «[d]ove ci sono misure di prevenzione personali non ci possono essere elementi di fatto, perché se si chiede al giudice di “provare un fatto” che, come nel nostro caso, costituisce reato, allora significa che vi sono gli estremi per procedere penalmente» e, ancora, che «[u]n sistema preventivo personale che reprime il sospetto della commissione di un reato impone di accontentarsi di qualcosa di meno della prova di un fatto».
20 La preoccupazione, in definitiva, è che il sospetto, cacciato fuori dalla porta, si ripresenti alla finestra del diritto della prevenzione. Cfr. G.FIANDACA, voce Misure di prevenzione (profili sostanziali), cit., p. 116. Parla invece apertamente di fattispecie “indiziarie” anche in relazione alle categorie soggettive di cui all’art. 1 cod. ant. F.SIRACUSANO, I destinatari della prevenzione personale per “fatti di mafia”, cit., p. 7. Addirittura, P. PITTARO, La natura giuridica delle misure di prevenzione, in F. Fiorentin (a cura di), Misure
di prevenzione personali e patrimoniali, Torino, 2018, p. 151, afferma in maniera tranciante che «il “debba
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ant. Dopo aver osservato che «il termine ‘abitualmente’ che ricorre nei casi di cui alle lettere a) e b) postula di necessità pregresse occasioni di accertamento in sede penale della ripetuta dedizione a determinate condotte (…) o della consumazione di condotte costituenti reato dai quali i soggetti traggano o abbiano tratto, anche in parte, i proventi del loro sostentamento», i giudici di legittimità escludono che tale accertamento «possa limitarsi alla mera constatazione della mera condizione di indiziati per uno dei vari delitti da cui i proventi possono derivare»21. Ci sembra, tuttavia, che un tale sforzo interpretativo, se da una parte cerca di valorizzare il più possibile in chiave garantistica il tenore letterale delle fattispecie di pericolosità c.d. generica, dall’altra parte porta a snaturare l’intervento preventivo, il quale finisce per atteggiarsi come vera e propria misura post delictum (meglio, post plurima delicta).
2.1. La fattispecie di cui all’art. 1, lett. a), cod. ant.
La prima categoria di pericolosità c.d. generica è rappresentata da «coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi».
2.1.1. Le censure operate dalla Corte EDU nella sentenza De Tommaso.
Come abbiamo già visto nel capitolo precedente [supra, cap. I, 14.1.], una delle censure che, nella sentenza De Tommaso, la grande camera della Corte di Strasburgo ha mosso alla disciplina della prevenzione italiana, ha riguardato il difetto di determinatezza e, dunque, di prevedibilità delle fattispecie di pericolosità di cui alle lett. a) e b) dell’art. 1 cod. ant. in relazione alla riserva di legge contenuta nell’art. 2 Prot. 4 CEDU in materia di libertà di circolazione.
In particolare la Corte EDU, dopo aver ricordato la propria consolidata giurisprudenza in tema di ambito di operatività del principio di legalità così come
21 C. cass., sez. VI, 21 settembre (dep. 21 novembre) 2017, n. 53003, D’Alessandro, in CED Cassazione. Secondo la Corte una siffatta considerazione sarebbe giustificata, per un verso, dalla «differente struttura del sistema della pericolosità qualificata» e, per altro verso, dalla «pressante esigenza di dare un contenuto concreto alla nozione di pericolosità generica, al fine di delimitarne i confini e sottrarla ai rilievi critici di vaghezza e genericità, come tali suscettibili di attribuire margini di eccessiva discrezionalità ai giudici in violazione del principio di certezza del diritto, provenienti non solo dalla giurisprudenza sovranazionale (…) ma anche da quella interna».
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modulato nell’art. 2 Prot. 4 CEDU22, ha osservato che, nonostante l’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 177/198023, l’imposizione delle misure di prevenzione rimane tuttora legata ad un’analisi prospettica dei giudici nazionali condotta caso per caso, dal momento che «neither the Act nor the Constitutional Court have clearly
identified the “factual evidence” or the specific types of behaviour which must be taken into consideration in order to assess the danger to society posed by the individual and which may give rise to preventive measures»24. Sulla scorta di tale considerazione, la Corte EDU ha concluso che la vaghezza e l’imprecisione delle categorie soggettive di coloro che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi e di coloro che vivono abitualmente, anche solo in parte, con i proventi di attività delittuose non consentono di prevedere ragionevolmente in quali casi e sulla base di quali comportamenti potrà essere attivato un processo di prevenzione e applicata la misura ante delictum e, perciò, tali fattispecie vìolano la riserva di legge convenzionale.
2.1.2. L’interpretazione “tassativizzante” proposta dalla Corte di cassazione.
La pronuncia della Corte EDU ha stimolato la Corte di cassazione ad approfondire la sua opera di precisazione sul piano interpretativo della fattispecie de qua [supra, cap. I, 14.2.]. A ben vedere, la “tassativizzazione” delle fattispecie di pericolosità generica era stata avviata già qualche anno prima della vicenda De Tommaso: dopo la condanna da
22 C. edu, grande camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, §§ 106-109, dove la Corte ricorda che la riserva di legge di cui all’art. 2 Prot. 4 Cedu risulta soddisfatta nella misura in cui sia rinvenibile una
base legale avente i requisiti della accessibilità e della prevedibilità.
23 C. edu, grande camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, § 116: «In this connection, the Court
notes that the Italian Constitutional Court set aside the law in respect of one category of individuals which it found not to be defined in sufficient detail, namely those “whose outward conduct gives good reason to believe that they have criminal tendencies” (…). The relevant provision was no longer in force at the time when the impugned measures were applied to the applicant. In respect of all other categories of individuals to whom the preventive measures are applicable, the Constitutional Court has come to the conclusion that Act no. 1423/1956 contained a sufficiently detailed description of the types of conduct that were held to represent a danger to society. It has found that simply belonging to one of the categories of individuals referred to in section 1 of the Act was not a sufficient ground for imposing a preventive measure; on the contrary, it was necessary to establish the existence of specific conduct indicating that the individual concerned posed a real and not merely theoretical danger. Preventive measures could therefore not be adopted on the basis of mere suspicion, but had to be based on an objective assessment of the “factual evidence” revealing the individual’s habitual behaviour and standard of living, or specific outward signs of his or her criminal tendencies».
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parte di Strasburgo si è assistito, più semplicemente, ad un ulteriore sforzo di approfondimento e ad una “intensificazione” dell’attività di precisazione della vaga terminologia impiegata nel codice antimafia25.
Il primo termine ad essere “tassativizzato” dall’interpretazione giurisprudenziale è stato l’aggettivo «delittuosi» e, correlativamente, anche l’aggettivo «delittuose» che compare nella successiva lett. b). In particolare, la Cassazione ha espressamente affermato che tali vocaboli devono essere soggetti a stretta interpretazione e, dunque, devono reputarsi esclusi dalle categorie soggettive de quibus i reati contravvenzionali26 e le condotte illecite ma penalmente irrilevanti.
Una particolare declinazione di tale affermazione di principio la si è avuta proprio in un settore di interesse ai fini del presente lavoro. Nello specifico, in materia di evasione dei tributi, la giurisprudenza ha precisato che «il mero status di evasore fiscale non è sufficiente» ad integrare una delle fattispecie di pericolosità c.d. generica, «posto che il fenomeno della sottrazione agli adempimenti tributari (e contributivi), è indubbiamente illecito in tutte le sue forme ma dà però adito a diverse risposte da parte dell’ordinamento: a sanzioni di carattere amministrativo ed anche a sanzioni penali, ma distinguendosi ipotesi contravvenzionali e ipotesi delittuose». Secondo la Cassazione, «solo queste ultime soddisfano i requisiti posti dagli artt. 1 e 4 del codice delle misure di prevenzione», proprio in ragione dell’esplicito riferimento alla categoria dei “delitti”27.
Anche l’avverbio «abitualmente» – e, allo stesso modo, la locuzione «abitualmente dediti» di cui alla lett. b) – è stato specificato in via interpretativa dalla Cassazione, la quale ha ritenuto necessaria la verifica, da parte del giudice di merito, della «realizzazione di attività delittuose (…) non episodica ma almeno caratterizzante un
25 Per uno sguardo d’insieme della c.d. “giurisprudenza tassativizzante”, si rinvia al già citato contributo di F. BASILE, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione, cit.
26 C. cass., sez. II, 23 marzo (dep. 3 maggio) 2012, n. 16348, Crea, in CED Cassazione. La Corte ha osservato che «il riferimento al termine delitto sgombra il campo da possibili estensioni alle contravvenzioni, restringendo l’applicazione delle misure di prevenzione solo ai soggetti sospettati di compiere le più gravi forme di reato». Per contro, «per le persone di cui al n. 3 [dell’art. 1 l. n. 1423/1956] la generica indicazione del termine “reato” consente di comprendere anche le contravvenzioni». Successivamente, in senso conforme, C. cass., sez. I, 24 marzo (dep. 17 luglio) 2015, n. 31029, Scagliarini, in CED Cassazione.
27 C. cass., sez. II, 6 dicembre 2016 (dep. 9 febbraio 2017), n. 6067, Malara, in CED Cassazione. Successivamente, in senso conforme: C. cass., sez. VI, 21 settembre (dep. 21 novembre) 2017, n. 53003, D’Alessandro, in CED Cassazione.
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significativo intervallo temporale della vita del proposto»28. Addirittura, secondo una sentenza del 2018, il giudice della prevenzione dovrebbe tracciare «una sorta di “iter esistenziale”», che sia idoneo a connotare «in modo significativo lo stile di vita del soggetto che quindi si deve caratterizzare quale individuo che abbia consapevolmente scelto il crimine come pratica comune di vita per periodi adeguati o comunque significativi»29.
Si è, invece, delineato un contrasto giurisprudenziale in relazione al sostantivo «traffici»30. Secondo un orientamento più restrittivo, sarebbero riconducibili a tale termine soltanto le ipotesi di commercio illecito di beni materiali e immateriali, nonché le condotte lato sensu negoziali e intrinsecamente illecite da cui sia derivata una qualche forma di provento31. Secondo l’orientamento più estensivo, invece, col concetto di “traffico” dovrebbero intendersi le «attività delittuose che comport[a]no illeciti arricchimenti anche senza il ricorso a mezzi negoziali fraudolenti e quindi condotte
28 C. cass., sez. I, 24 marzo (dep. 17 luglio) 2015, n. 31029, Scagliarini, in CED Cassazione. In senso conforme: C. cass., sez. VI, 21 settembre (dep. 21 novembre) 2017, n. 53003, D’Alessandro, in CED
Cassazione; C. cass., sez. I, 15 giugno 2017 (dep. 9 gennaio 2018), n. 349, Bosco, in CED Cassazione,
dove si specifica che «il giudice della misura di prevenzione deve, preliminarmente, attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate (dato il riferimento alla abitualità) che – vuoi facendosi riferimento ad accertamenti realizzati in sede penale che attraverso una autonoma ricostruzione incidentale (non contraddetta, però, da esiti assolutori in sede penale) – siano rispondenti al tipo di una previsione di legge penalmente rilevante» (corsivo aggiunto).
29 C. cass., sez. II, 19 gennaio (dep. 15 marzo) 2018, n. 11846, Carnovale, in CED Cassazione.
30 Secondo C. cass., sez. V, 23 ottobre (dep. 18 dicembre) 2018, n. 57125, Manzo, in CED Cassazione, il contrasto giurisprudenziale sarebbe in realtà «soltanto apparente»: «[d]el resto – osserva la Corte – se la nozione di “traffico”, sul piano semantico, impone di individuare la sussistenza di un’“attività commerciale”, e se questa deve essere “delittuosa”, e, quindi, intrinsecamente illecita, non appare possibile delimitare il campo alla sola cessione di beni la cui detenzione costituisce già un illecito, ma deve ricomprendere anche tutti quei “negozi” che trasferiscono beni (e che comportano così un loro “commercio”) la cui causa negoziale sia, appunto, illecita: la consegna di danaro al pubblico ufficiale corrotto, la stipula di vantaggi usurai, ad esempio».
31 C. cass., sez. VI, 21 settembre (dep. 21 novembre) 2017, n. 53003, D’Alessandro, in CED Cassazione, secondo cui la nozione di “traffico” «richiede un necessario affinamento concettuale, dovendosi circoscrivere la nozione di ‘traffici delittuosi’ alle ipotesi di commercio illecito di beni tanto materiali (in via meramente esemplificativa: di stupefacenti, di armi, di materiale pedopornografico, di denaro contraffatto, di beni con marchi o segni distintivi contraffatti, di documenti contraffatti impiegabili a fini fiscali, di proventi di delitti in tutte le ipotesi di riciclaggio) quanto immateriali (di influenze illecite, di notizie riservate, di dati protetti dalla disciplina in tema di privacy, etc.) o addirittura concernente esseri viventi (umani, con riferimento ai delitti di cui al d. lgs. n. 286 del 1998 o di cui agli artt. 600 e segg. cod. pen. ed animali, con riferimento alla normativa di tutela di particolari specie) nonché a condotte lato sensu negoziali ed intrinsecamente illecite (usura, corruzione) ma comunque evitando che essa si confonda con la mera nozione di delitto (…) da cui sia derivato una qualche forma di provento».
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delittuose caratterizzate da una tipica attività trafficante (…), ma anche tutte quelle che sono caratterizzate dalla finalità patrimoniale o di profitto e che si caratterizzano per la spoliazione (…), l’approfittamento e in genere per l’alterazione di un meccanismo negoziale o dei rapporti economici, sociali o civili»32.
La dottrina non ha, peraltro, mancato di evidenziare come le soluzioni adottate dalla giurisprudenza in relazione al concetto di “traffico” rimangano insoddisfacenti, in quanto inidonee a restringere l’ambito di operatività della fattispecie di pericolosità in questione attraverso una chiara e razionale selezione dei comportamenti rilevanti33.
2.1.3. La declaratoria di incostituzionalità e l’attuale ambito di applicazione.
Come noto, la Corte costituzionale ha ritenuto non sufficienti gli sforzi