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Le misure di prevenzione dall’epoca classica al fascismo

LA METAMORFOSI TELEOLOGICA DELLE MISURE DI PREVENZIONE

2. Le misure di prevenzione dall’epoca classica al fascismo

2.1. I più risalenti antecedenti storici delle misure di prevenzione.

La prevenzione ante delictum affonda le sue radici in un passato molto lontano. L’avvertita esigenza di assicurare un’adeguata difesa sociale ed un efficace controllo della devianza ha, infatti, da sempre spinto gli ordinamenti giuridici a dotarsi di strumenti, da affiancare al diritto penale in senso stretto, finalizzati alla prevenzione dei reati o, comunque, di comportamenti antisociali posti in essere da soggetti reputati “pericolosi”.

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Misure lato sensu preventive vengono individuate già nella legislazione greca6 e in quella romana7, così come strumenti di profilassi sociale risultano applicati durante il medioevo e per tutta l’età moderna8.

Carattere comune a questa vasta ed eterogenea congerie di misure è rappresentato dai soggetti destinatari: si tratta, quasi sempre, di sanzioni rivolte ad oziosi, vagabondi, mendicanti, zingari e “disturbatori” politici, a persone, cioè, che rappresentano una minaccia per l’ordine sociale aristocratico, prima, e borghese, dopo.

2.2. Le misure di prevenzione nella legislazione Sabauda.

6 Come riporta N. D’ARGENTO, Misure di prevenzione, Napoli, 1979, p. 4, una prima forma di controllo della vita pubblica e privata dei cittadini e dei regnanti va rintracciata nell’istituzione dell’eforato spartano. Presenti nella madrepatria Sparta già nella prima metà dell’VIII secolo a.C., gli efori costituivano una vera e propria magistratura, i cui componenti erano eletti da tutti i cittadini di pieno diritto e rimanevano in carica per un anno. In sintesi, il potere censorio-poliziesco dell’eforato si esplicava nella sorveglianza e nell’educazione dei giovani; nel controllo della vita pubblica e privata dei cittadini, anche se fuori dalla patria; nella vigilanza sulla regolarità della successione regia; nonché nella sorveglianza, a mezzo di una speciale polizia segreta, della popolazione soggetta alla sua giurisdizione e dei forestieri. L’A. sottolinea, poi, come tale istituzione sia stata d’ispirazione, ad Atene, per l’introduzione di sanzioni draconiane nei confronti di empi, libertini, oziosi e, più in generale, di tutti i cittadini inutili alla polis.

7 Cfr. B. SICLARI, Le misure di prevenzione, Milano, 1974, p. 14; N. D’ARGENTO, Misure di prevenzione, cit., p. 5, i quali menzionano la animadversio censoria quale precedente romanistico delle moderne misure di prevenzione. La animadversio censoria, nota anche come iudicium de moribus, era uno strumento a disposizione dei censori per sanzionare tutti quegli atti o quei comportamenti reputati disdicevoli ai boni

mores o alla legge romana. La contestazione dell’atto biasimevole, probrum, dava luogo ad una sorta di

processo: in caso di positivo riscontro del comportamento disdicevole, il soggetto veniva colpito da

ignominia, espressa in una nota che veniva registrata nell’elenco dei cittadini, dei cavalieri o dei senatori e

che produceva i suoi effetti per una durata massima di cinque anni. Come sottolinea N. D’ARGENTO, Misure

di prevenzione, cit., p. 5, l’istituto in parola «si caratterizza per il suo marcato bifrontismo: da una parte,

sanzione vera e propria, in quanto determinava un’infamia dalla quale ci si poteva riabilitare soltanto dopo aver dimostrato di essere tornati sulla “retta” via; dall’altra, sanzione sui generis o – se si vuole – misura di sicurezza sociale, ma pur sempre connessa alla commissione di un fatto, ancorché non rientrante nella giuridica illiceità». Per una rassegna delle sanzioni patrimoniali vigenti nei diritti antichi, v.: C. CIVOLI, voce Confisca (diritto penale), in Dig. it., VIII, Torino, 1896, p. 893 ss.; A. M. MAUGERI,Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, p. 19 ss.

8 Per un approfondimento in merito agli strumenti di prevenzione personale nell’esperienza giuridica medievale e moderna si rimanda a A. PERTILE, Storia del diritto italiano dalla caduta dell’impero romano

alla codificazione, vol. V (Storia del diritto penale), Padova, 1877, p. 311 ss.; P. DEL GIUDICE, Diritto

penale germanico rispetto all’Italia, in E. Pessina (a cura di), Enciclopedia del diritto penale italiano,

Milano, 1905, p. 431; P. PIASENZA, Polizia e mendicità a Parigi tra sei e settecento, Torino, 1983, passim. Per gli strumenti di prevenzione patrimoniale, invece, si rinvia in particolare a: A. M. MAUGERI,Le moderne sanzioni patrimoniali, cit., p. 24 ss.; L. FILIPPI, Il procedimento di prevenzione patrimoniale: le misure

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Puntando l’attenzione sull’esperienza giuridica italiana, assume peculiare interesse la legislazione sabauda la quale – con le sue due articolazioni, rappresentate dal codice penale e dalla legge di pubblica sicurezza – ha assunto «carattere prototipale»9 rispetto alla successiva elaborazione normativa in materia di misure di prevenzione ante

delictum.

In particolare, tra la metà del XVI e gli inizi del XVIII secolo, lo Stato sabaudo si dota di un sistema preventivo imperniato sulle misure personali dell’espulsione e del bando, e rivolto a contenere e a neutralizzare gli oziosi, i vagabondi, gli zingari e tutti coloro che risultano senza reddito o professione stabile. Al fine di garantire l’effettività di tali misure, sono poi previste sanzioni detentive e patrimoniali a carico dei trasgressori10.

Nella prima metà del XVIII secolo, il sistema di controllo della marginalità sociale subisce un’importante trasformazione. Le ipotesi soggettive di pericolosità fino ad allora previste si tramutano, infatti, in fattispecie incriminatrici di status soggettivi o di stili di vita, le quali puniscono con il carcere gli oziosi, i vagabondi e gli zingari per il solo fatto di essere tali11.

Con il codice penale Albertino del 1839, l’inquadramento penale dei reietti e degli emarginati viene reso «più sistematico»12. Tale testo legislativo, sensibilmente modificato e nuovamente promulgato nel 1859, si caratterizza sotto un duplice profilo: da un lato, vengono previste delle norme incriminatrici che forniscono una definizione di ozioso,

vagabondo, mendicante e persona sospetta e che ricollegano, a tali condizioni soggettive,

la pena detentiva del carcere; dall’altro lato, viene fatto rinvio alle allora vigenti disposizioni di pubblica sicurezza per l’applicazione, nei confronti dei medesimi soggetti, delle misure preventive.

In particolare, ai sensi del codice penale sardo del 1859, per oziosi devono intendersi «coloro i quali, sani e robusti, e non provveduti di sufficienti mezzi di sussistenza, vivono senza esercitare professione, arte o mestiere, o senza darsi a stabile lavoro» (art. 435); per vagabondi «1° coloro i quali non hanno né domicilio certo, né mezzi di sussistenza, che non esercitano abitualmente un mestiere o una

9 L.LACCHÈ, Uno “sguardo fugace”. Le misure di prevenzione in Italia tra Ottocento e Novecento, in Riv.

it. dir. proc. pen., 2017, p. 418.

10 D. PETRINI, La prevenzione inutile. Illegittimità delle misure praeter delictum, Torino, 1996, p. 9 ss.

11 Ivi, p. 10-11.

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professione; 2° coloro che vagano da un luogo all’altro affettando l’esercizio di una professione, o di un mestiere, ma insufficiente per sé a procurare la loro sussistenza; 3° coloro che fanno il mestiere di indovinare, pronosticare, o spiegare sogni per ritrarre guadagno dall’altrui credulità» (art. 436); per

mendicanti coloro che vanno «pubblicamente questuando» (art. 442); per persone sospette «1° coloro che

sono diffamati per crimini o per delitti, e singolarmente per grassazioni, estorsioni, furti e truffe; 2° coloro che sono sottoposti alla sorveglianza speciale di Pubblica sicurezza» (art. 447).

Nei confronti di oziosi, vagabondi e mendicanti, il codice penale sardo prevede la pena carceraria che, in caso di recidiva, può raggiungere addirittura i cinque anni di durata. Alla pena detentiva si accompagna, soltanto per gli oziosi e per i vagabondi, la pena accessoria della vigilanza speciale di pubblica sicurezza di cui all’art. 44 del medesimo testo legislativo.

Inoltre, agli artt. 448 ss. sono contemplati dei reati di sospetto che puniscono il possesso, da parte dei soggetti sopra indicati, di grimaldelli o di altri mezzi atti allo scassinamento, ovvero di somme di denaro «non confacenti al loro stato e condizione».

Infine, l’art. 452 dispone che, oltre alle disposizioni appena accennate, «i mendicanti, gli oziosi, i vagabondi e le altre persone sospette sono sottoposti alle prescrizioni della legge di Pubblica Sicurezza nelle parti ad essi relative».

Alla luce dei sintetici richiami storici appena accennati, è evidente come il descritto “intreccio” tra repressione e prevenzione, intessuto a partire dalla seconda metà del XVI secolo al fine di proteggere i “galantuomini” dai pericoli derivanti dalle classi subalterne, abbia rappresentato il «terreno fertile» sul quale ha potuto crescere rigoglioso il sistema di prevenzione ante delictum durante l’epoca liberale13.

2.3. Le misure di prevenzione nell’Italia liberale.

2.3.1. La l. n. 1339/1852 (c.d. legge Galvagno).

In linea di continuità con il passato, la storia delle misure di prevenzione nel XIX secolo si lega all’esigenza di controllo dei mendicanti, oziosi e vagabondi, nonché dei sospettati o dei diffamati di reati14.

13 D. PETRINI, La prevenzione inutile, cit., p. 12.

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La prima legge che disciplina in maniera organica la materia della pubblica sicurezza nel nascente Stato italiano è la l. 26 febbraio 1852, n. 1339, la quale costituirà il modello per tutta la successiva legislazione di pubblica sicurezza15.

La c.d. legge Galvagno, dal nome del ministro dell’interno che ha proposto il relativo disegno di legge all’assemblea parlamentare subalpina, regola le misure di polizia applicabili a determinati status soggettivi e alle attività che in maniera più immediata attentano alla proprietà e alla morale pubblica.

Nella relazione al progetto di legge, che appare come una vera e propria “dichiarazione di guerra” all’ozio e al vagabondaggio16, emerge chiaramente la preoccupazione del ceto dominante di “tenere a bada” le classi subalterne, le quali devono essere poste in condizione di non turbare la tranquilla esistenza delle gentildonne e dei gentiluomini borghesi17.

L’impianto della legge ruota attorno all’istituto della sottomissione, che si applica agli oziosi e alle persone sospette per furti di campagna o pascolo abusivo, e consiste nell’intimazione a darsi a stabile lavoro ovvero ad astenersi dal commettere i reati in relazione ai quali si è sospettati. Sanzioni penali a carattere detentivo sono previste a presidio dell’effettività della misura, e le cornici edittali salgono vertiginosamente in caso di recidiva; in aggiunta alle pene principali, è sempre prevista l’applicazione della pena accessoria della sorveglianza di polizia.

15 I. MEREU, Cenni storici sulle misure di prevenzione nell’Italia “liberale” (1852-1894), in Le misure di

prevenzione. Atti del convegno di Alghero, Milano, 1975, p. 197.

16 Si riportano le parole del ministro Galvagno: «Signori! L’ozio e il vagabondaggio quando non sono energicamente repressi dalla legge sono origine di gravissimi mali. L’ozioso e il vagabondo possono considerarsi in permanente reato, frodano la società della parte che da ogni cittadino le si deve, e non si può concepire, come possano, privi quali sono di mezzi, esistere senza supporre una continua sequela di truffe, di ladronecci e simili. All’ozioso e vagabondo già indurito per lunga abitudine nel vizio vuolsi provvedere con pene adeguate che, rendendolo intanto impotente a malfare, giovino a richiamarlo sul retto sentiero». E ancora: «È generale lamento che i furti di campagna si moltiplicano, sicché mal guardata sarebbe la piccola proprietà e dai piccoli furti si fa scuola ai grandi misfatti. A tale oggetto provvedeva la legge del 16 settembre 1848, se non ché varie delle disposizioni ivi sanzionate non sarebbero più consentanee ai principi dello Statuto. Abbiamo perciò creduto di dovervi intanto presentare alcuni articoli che desunti in parte da quella legge, ed applicati ora regolarmente dai tribunali ordinarii, possono supplire alle lacune che, in tal parte, tutti lamentiamo esistere nella nostra legislazione». Il testo integrale della relazione è reperibile sul portale storico della Camera dei deputati (https://storia.camera.it), nella sezione Atti e documenti, Progetti

di legge, IV legislatura del Regno di Sardegna.

17 Per avere una più chiara percezione dell’atteggiamento tenuto dal mondo borghese nei confronti dei ceti subalterni, si rinvia a: G. SAREDO,Accattonaggio o mendicità, in Dig. it., 1894, p. 250; M. REBORA, voce

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La sottomissione viene applicata a seguito di un procedimento che si svolge davanti al giudice del mandamento, e il proposto gode di minime garanzie. Inoltre, per le persone sospette per furti o pascolo abusivo sono previste l’iscrizione in un apposito registro mandamentale e la trasmissione della relativa nota al consiglio comunale, il quale provvede a rivederla ed aggiornarla con cadenza semestrale18.

A brevissima distanza di tempo, viene approvata la l. 8 luglio 1854, n. 6 (c.d. legge Di San Martino-Rattazzi), la quale “irrigidisce” e amplia i contenuti della legge Galvagno19.

Da un lato, infatti, vengono smorzati i tratti più liberali della previgente disciplina attraverso: l’eliminazione dell’intervento del consiglio comunale nella redazione della lista dei sospetti per furti di campagna20; l’accrescimento dei poteri di polizia e, in particolare, del ruolo svolto dalla denuncia; e una più marcata inversione dell’onere della prova, così addossando all’individuo sospetto il compito di smentire la denuncia e la notorietà.

Dall’altro lato, la legge in parola si caratterizza per una rilevante novità – accennata «quasi di sfuggita»21 nella relazione ministeriale – laddove introduce, all’art. 37, l’obbligo per i datori di lavoro di consegnare all’autorità di pubblica sicurezza la nota di tutti gli operai impiegati presso di loro, nonché di aggiornare tempestivamente la medesima autorità in caso di nuove assunzioni. Sebbene lo scopo dichiarato sia quello di

18 Come evidenziato da G. AMATO, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, Milano, 1967, p. 228, tali aspetti procedimentali assumevano una «portata rivoluzionaria» in quanto, in rottura con la tendenza tipica dell’assolutismo all’«assorbimento della società nello stato», restituivano alla società la gestione del potere, «del quale anzi quest’ultima, soprattutto sul piano della difesa sociale, era rimasta custode gelosissima». Come nota l’A., tale nuovo indirizzo ebbe tuttavia vita breve, dal momento che, già con la successiva legge dell’8 luglio 1854, le autorità pubbliche videro rafforzati i loro poteri ufficiosi.

19 G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 264; L.LACCHÈ, Uno “sguardo fugace”, cit., p. 419.

20 Il motivo di tale modifica emerge chiaramente dalle parole del ministro Rattazzi il quale riferisce al parlamento quanto segue: «io debbo riconoscere che veramente non si è eseguita perfettamente ed in ogni parte, ma ciò avvenne per difetto della legge stessa. Come ben ricorda la Camera, per fare la nota dei sospetti era indispensabile il voto del Consiglio comunale; ma niuno ignora come riesca assai difficile che i membri del Consiglio comunale, per quanto siano amanti del bene del paese, vogliano assumersi la responsabilità di fare essa nota; niuno ignora parimente quanto sia malagevole il poter indurre i membri del Consiglio comunale ad una operazione di tal genere. Che cosa dunque ne avveniva? Ne avveniva che la nota, a cagione di tali difficoltà, non si formava, e che, non avendosi la nota dei sospetti, mancava la base sulla quale era del tutto fondata quella legge». Tale brano è reperibile sul portale storico della Camera dei deputati (https://storia.camera.it), nella sezione Lavori parlamentari, V legislatura del Regno di Sardegna, tornata del 23 maggio 1854, p. 1451.

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tenere «sott’occhio l’ozioso e il vagabondo per poterlo denunciare»22, è evidente l’intento di “schedatura” delle classi operaie e subalterne, in funzione di un più efficace controllo del dissenso23.

Il congegno preventivo-repressivo, che tanta fortuna avrà in tutta la legislazione successiva fino all’età repubblicana, risulta già delineato nei suoi aspetti essenziali: a fronte di un sospetto, non sorretto da prove, che una persona abbia commesso uno o più reati, viene definita una fattispecie di pericolosità soggettiva, dalla quale derivano prescrizioni di difficilissima attuazione; l’inevitabile violazione di uno degli obblighi imposti finisce per trascinare il soggetto «in una spirale sanzionatoria», rappresentata dal combinarsi di pena detentiva e sorveglianza di pubblica sicurezza, dalla quale difficilmente il malcapitato riesce a sottrarsi24: ecco, allora, che la prevenzione nel suo significato più autentico sfuma, fino a diventare lo strumento attraverso il quale l’autorità può legittimare l’inflizione di una sanzione criminale che, altrimenti, non avrebbe potuto trovare applicazione per mancanza di elementi sufficienti a pronunciare una sentenza di condanna.

2.3.2. La l. di pubblica sicurezza n. 3720/1859 e le prime disposizioni in tema di domicilio coatto contenute nella l. n. 1409/1863 (c.d. legge Pica).

22 Così nella relazione ministeriale, reperibile sul portale storico della Camera dei deputati (https://storia.camera.it), nella sezione Atti e documenti, Progetti di legge, V legislatura del Regno di Sardegna.

23 I. MEREU, Cenni storici sulle misure di prevenzione, cit., p. 202. Del resto, è lo stesso ministro Rattazzi ad ammettere, di fronte all’assemblea parlamentare, che «[p]rima di tutto lo scopo di questa disposizione non è semplicemente di poter accertare se un dato individuo si trovi fra gli operai addetti ad una fabbrica, ma di sapere se le persone sospette alla polizia, oppure inquisite, siansi trovate in certe località, o se abbiano lavorato in quella data fabbrica. Mediante queste consegne riesce più facile il tener dietro a quei tali individui o il poterli cogliere altrove. In secondo luogo si vengono in tal modo a conoscere le persone che si danno a tali servizi, e la vita che conducono le persone sospette, si discopre se le medesime siano o no date al lavoro. Queste consegne adunque sono indubitatamente utili». La discussione parlamentare è reperibile sul portale storico della Camera dei deputati (https://storia.camera.it), nella sezione Atti e

documenti, Lavori parlamentari, V legislatura del Regno di Sardegna, tornata del 29 maggio 1854, p. 1533. 24 G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 264-265. Nello stesso senso D. PETRINI, La prevenzione inutile, cit., p. 12, il quale paragona le misure preventive ad «una vera e propria tagliola, destinata ad imprigionare le sue vittime in una spirale che vede sempre e comunque il carcere (o, peggio, la forca) al suo esito».

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Con la legge di pubblica sicurezza del 13 novembre 1859, n. 3720 – coordinata con il codice penale sardo, così come modificato e ripromulgato nel medesimo anno – viene definito un sistema di prevenzione ancor più efficace e pervasivo.

Anzitutto, la sottomissione è sostituita con l’istituto dell’ammonizione25, la quale si rivolge a tre categorie di destinatari: a) agli oziosi e ai vagabondi, ai quali viene ordinato di trovare immediatamente un’occupazione e di non allontanarsi dalla località in cui si trovano; b) alle persone sospette per furto di campagna o pascolo abusivo, le quali sono invitate a cambiare condotta di vita, con l’avvertimento che, in caso contrario, commetteranno un reato; c) agli individui sospetti come grassatori, ladri, truffatori, borsaiuoli e ricettatori, ai quali è intimato severamente di non dare luogo a ulteriori sospetti. Come già era accaduto nei precedenti testi di pubblica sicurezza, l’effettività dell’ammonizione viene garantita attraverso la previsione di sanzioni penali per ogni caso di trasgressione.

Bisogna peraltro evidenziare che l’ammonizione non comporta, di per sé, costrizioni o limitazioni fisiche, risolvendosi in un richiamo al destinatario di mutare la propria condotta; essa, tuttavia, finisce comunque per incidere, in via indiretta, sulla libertà personale, dal momento che il suo effetto tipico è «quello di degradare l’ammonito ad uno status tale da far sì che svariati suoi comportamenti (sia pure del tutto irrilevanti in sede penale), bast[ino], o ad arrestarlo, o a sottoporlo a domicilio coatto»26.

In secondo luogo, viene tratteggiata una più completa disciplina preventiva nei riguardi del condannato alla speciale sorveglianza della polizia ai sensi dell’art. 44 c.p. sardo. In particolare, il sorvegliato deve munirsi di foglio di via per ritornare alla propria residenza e deve sempre portare con sé una carta di permanenza. In aggiunta, egli è tenuto ad uniformarsi a una serie di prescrizioni che, come si avrà modo di vedere, non si discostano molto da quelle che, oggi, seguono all’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza27.

25 Per un’analisi più approfondita dell’istituto si rinvia a: A. CAMPESE, Appendice. Dell’ammonizione come

misura di pubblica sicurezza, voce Ammonizione, in Enc. giur. it., I, Milano, 1892, p. 2007; L. LUCCHINI, voce Ammonizione, in Dig. it., vol. IX, 1895, p. 44.

26 G.AMATO, Individuo e autorità, cit., p. 230.

27 Le prescrizioni, disciplinate dall’art. 113, erano le seguenti: 1) presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza nei giorni stabiliti nella carta di permanenza, nonché ogni volta in cui ne viene fatta richiesta dalla stessa autorità; 2) esibire la carta di permanenza alle forze dell’ordine, a loro semplice richiesta; 3) obbedire alle prescrizioni imposte dall’autorità di pubblica sicurezza di non comparire in un luogo, di non uscire in

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Infine, è irrobustita la disciplina relativa alla schedatura e al controllo degli

operai. Si prevede, infatti, che tutti coloro che prestano la propria attività al servizio di

un datore di lavoro debbano essere forniti di un libretto, il quale può essere ottenuto solo se il lavoratore sia munito di un certificato di buona condotta, o se comunque vi sia il «benservito del padrone». La sorveglianza dei salariati è completata da due ulteriori