Uno dei principali elementi che, secondo Laycock, caratterizza le religioni parodistiche, è la presenza di un “programma politico” proprio ai diversi culti98. Questo elemento mi ha spinto a considerare casi di studio più esplicitamente rivolti a movimenti di protesta che negli ultimi anni hanno avanzato forti rivendicazioni politiche, distinguendosi al contempo per una presenza diffusa all’interno dei cosiddetti “nuovi media”. È in questo senso che ho reputato estremamente utili le riflessioni avanzate da Jeffrey S. Juris in merito all’esperienza condotta all’interno del movimento #Occupy nell’autunno 2011, e contenute nell’articolo ad esse dedicato99. Juris conduce una ricerca multisituata, in un campo fisico che si estende tra il settembre e il dicembre 2011, oltre che nei social media utilizzati dagli attivisti di #Occupy. Il media più considerato da Juris è senza dubbio Twitter, all’interno del quale la presenza dell’hashtag #occupy è tanto radicata, e sfruttata dagli attivisti con cui è entrato in contatto, da spingerlo a utilizzarlo anche nel suo articolo, e non solo entro i confini della piattaforma.
#Occupy è un movimento nato nel 2011 per protestare contro le disuguaglianze economiche e le contraddizioni dell’economia occidentale, diffusosi dall’America al resto del mondo ispirandosi esplicitamente alle primavere arabe. Lo slogan più utilizzato dagli aderenti al movimento è “Siamo il 99% (“we are the 99%”)”, sottolineando una contrapposizione con l’1% della popolazione mondiale, che disporrebbe di un potere economico e politico superiore a
98Laycock, op.cit., p.2.
99Juris, Reflection on #Occupy Everywhere: Social media, public space, and emergin logics of aggregation, American Ethnologist vol.39 Issue 2, pp. 259 – 279, American Anthropological Association,
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quello totale della maggioranza. Il movimento si è articolato dotandosi di un sito web che ne riassume gli sviluppi internazionali e il punto di vista fondamentale100.
Teorizzando in particolar modo l’occupazione pacifica del suolo pubblico come strumento di protesta, la prima azione fisica del movimento è costituita dall’iniziativa detta Occupy Wall Street, che il 17 settembre 2011 portò migliaia di persone a presidiare lo Zuccotti Park, collocato nel distretto finanziario di Manhattan. A partire da questo momento, grazie a una massiccia presenza degli attivisti sui social media, il messaggio della protesta si sarebbe diffuso globalmente, portando all’organizzazione di iniziative simili nelle principali città del mondo. Tra il 9 e il 15 ottobre dello stesso anno, più di 900 città avrebbero imitato le azioni svoltesi a Manhattan101. L’organizzazione delle diverse occupazioni si articola su Twitter, nel quale alla chiave di ricerca #Occupy segue il nome della città interessata. Juris, dal canto proprio, si sarebbe unito ai manifestanti di #Occupy Boston, aprendo con loro l’occupazione della Dewey Square il 15 ottobre 2011.
Similmente a quanto accaduto il mese precedente a Manhattan, anche le proteste di Boston si sarebbero collocate nelle immediate vicinanze del cuore economico e finanziario della città. La piazza sarebbe stata occupata per circa due mesi, fino al 10 dicembre, giorno nel quale il sindaco avrebbe ordinato uno sgombero forzato dell’accampamento sorto nel’area. Nei momenti di maggiore affluenza alla protesta, Juris notifica la presenza di migliaia di attivisti, che non si limitano a presidiare la piazza ma si riversano nelle strade circostanti, avendo cura di sostare soprattutto in prossimità di banche e altri luoghi reputati espressione dell’ineguaglianza economica contro la quale si protesta, oltre che di centri di reclutamento – davanti ai quali si denunciano in termini economici e di vite umane delle attività belliche – e di attività commerciali accusate di sfruttare i propri lavoratori102. Il cuore della protesta è quindi costituito dall’accampamento di Dewey Square, che funge al contempo da punto di ritrovo, centro di coordinamento, luogo di residenza per gli occupanti. Le centinaia di tende che lo compongono sono disposte attorno al centro della piazza, nel quale si svolgono quotidianamente due assemblee per coordinare gli sforzi dei presenti e fare il punto della situazione; altre tende fungono da “quartier generale”, ed è possibile consultarvi la scaletta degli eventi in programma nei giorni e nelle settimane a venire. Juris notifica anche la presenza di diverse tende adibite a biblioteche, e addirittura a centri spirituali dove gli attivisti si possono 100Juris, op.cit., p.261; http://occupywallst.org/about/ 101https://www.washingtonpost.com/world/europe/occupy-wall-street-protests-go- global/2011/10/15/gIQAp7kimL_story.html?utm_term=.ef31d8e03d90 102Juris, op.cit., p.262.
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ritirare per meditare e pregare103. Oltre a queste forme di occupazione del territorio, Juris tiene conto della costante presenza online degli attivisti, che condividono le notizie delle altre proteste intavolate da #Occupy, e contribuiscono a diffondere ciò che accade nel contesto specifico di Boston. I legami allacciati dai manifestanti non si esaurirebbero tuttavia online, ma alla vigilia dello sgombero avevano iniziato a concretizzarsi anche con il dialogo con realtà locali estranee alla protesta, e nella definizione di un vero e proprio spirito comunitario104.
Mal tollerata dalle autorità locali, la presenza degli occupanti sarebbe stata bersaglio di continue minacce di sgombero nel corso dei due mesi di presidio. Queste avrebbero iniziato ad assumere una qual certa concretezza nel secondo mese di occupazione, quando il sindaco di Boston avrebbe fatto leva sulle (supposte) scarse condizioni igieniche del campo per giustificare lo sgombero forzato che si sarebbe quindi verificato la notte tra il 9 e il 10 dicembre del 2011.
Juris non manca di vedere in termini critici il movimento cui si è pure unito nella protesta. Uno dei principali difetti che individua è che, pur proponendosi di rappresentare il “99%”, #Occupy fallisca nell’intento: così come identificato dal periodo passato sul campo, la maggioranza dei manifestanti sono bianchi; hanno ricevuto un’istruzione medio-alta; provengono da realtà economiche relativamente agiate; il movimento è composto in larga percentuale da sostenitori o simpatizzanti del movimento LGBT, oltre che di tendenze politiche più liberali, se non addirittura anarchiche. La composizione sociale e ideologica del gruppo tenderebbe quindi a polarizzare la discussione attorno a tematiche che potrebbero non interessare l’interezza del 99% che invece si tenta di rappresentare, causando l’emersione di una realtà discriminante nei confronti di etnie, ceti economici e sociali che sono teoricamente rappresentati dalla protesta, ma all'atto pratico ne risultano esclusi105. Anche per questo motivo, Juris suggerisce come in una seconda fase dell'occupazione fisica ai singoli gruppi converrebbe allacciarsi a gruppi locali che rappresentino le minoranze in tal senso escluse. Gli stessi obiettivi di #Occupy costituiscono l’altro elemento che Juris critica, dal momento che mancherebbero di essere affermati con chiarezza. L’autore individua una certa insofferenza da parte delle autorità cittadine chiamate a dialogare con i manifestanti, poiché questi non sarebbero riusciti a esprimere chiaramente i propri bisogni, e i termini nei quali desideravano che il cambiamento auspicato avesse luogo. Questo avrebbe precluso il dialogo e inevitabilmente condotto allo sgombero106. 103Juris, op.cit., pp.262 – 264. 104Juris, op.cit., p.260. 105Juris, op.cit., p.265. 106Juris, op.cit., p.272.
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Il ruolo giocato dai social media nelle diverse fasi dell'organizzazione di #Occupy spingono Juris a interrogarsi circa i mutamenti impressi dalle nuove tecnologie alle diverse forme di attivismo. Già tra anni ‘90 e 2000 si articolano degli studi che mettono in luce il modo in cui l’emergere di siti, forum e listserv (software per la creazione e gestione automatica delle mailing list) popolati da esponenti dei cosiddetti movimenti di “giustizia globale (global justice)” contribuiscano a creare dei veri e propri network, importanti nel coordinare gli sforzi dei singoli. Juris fa tuttiva notare come i network che si vengono così a costituire non gettino ponti tanto tra gli individui, quanto tra collettività già affermate che si trovano a contatto tra di loro, tanto che il ricercatore parla di “network di network”. Esaurite le proteste, queste collettività si separano tornando a circoscriversi all’interno del proprio ambito. La definizione fornita da Juris per parlare del fenomeno è quella di logiche di networking (logic of networking)107.
La situazione che interessa invece l’ambito dei nuovi media è differente, dal momento che Juris parla di “logiche di aggregazione” individuando le dinamiche che spingono grandi masse di individui a radunarsi nello stesso posto da luoghi differenti, utilizzando forme di coordinamento digitale108. Sarebbe il ruolo giocato dai social network all’interno di eventi di portata internazionale come le primavere arabe e il movimento #Occupy, che hanno spinto diversi ricercatori ad interrogarsi riguardo alle peculiarità offerte da queste nuove teconologie. Parlando di nuovi media Juris si riferisce ai canali di comunicazione messi a disposizione dal web 2.0 e 3.0, oltre che di strumenti come gli smartphone, che permettono a ciascun individuo di collegarsi alla rete pressoché dovunque e in qualunque momento. All'interno dei nuovi media, un ruolo fondamentale è giocato dai social network: già menzionati nella descrizione dei canali utilizzati dai manifestanti di #Occupy, Facebook, Youtube, e Twitter in special modo, sono diventati degli strumenti imprescindibili. Questi canali sarebbero caratterizzati dal fatto di possedere una propria identità che prescinde quella degli individui che li utilizzano, favorendone la longevità: se i manifestanti di #Occupy smettono di caricare dei video su Youtube, o scrivere dei post su Facebook e Twitter, questi network non cessano di esistere, ma al contrario sopravvivono utilizzati da un altro tipo di utenza, e posseggono peculiarità uniche a seconda del tipo di interazione che consentono e favoriscono109. Nell'utilizzare questi canali, i network di attivisti sono sempre suscettibili a uno sgretolamento nelle loro componenti individuali, che tuttavia sembra essere prevenuto nel modo in cui l'occupazione dello spazio
107Juris, op.cit., pp.260, 267. 108Juris, op.cit., p.259. 109Juris, op.cit., p.261.
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fisico si accompagna a quella dello spazio digitale nella fruizione dei nuovi media. Quanto osservato nei gruppi inscritti nelle proteste delle primavere arabe e nel movimento #Occupy spinge Juris a reputare questa coagulazione fisica dei network come una componente imprescindibile dell'utilizzo che gli utenti fanno dei nuovi media. Per questo il termine che utilizza per descriverle è quello di logiche di aggregazione110.
Juris parla degli attivisti che giungono a radunarsi tramite le logiche di aggregazione nei termini di “folle di individui”. Trovo questa definizione determinante nel modo in cui sottolinea il fatto che ciascuno dei manifestanti continui ad agire su base individuale, accompagnando la presenza sul territorio a una costante condivisione e pubblicazione di dati, reperendo e mettendo a disposizione aggiornamenti di quanto stia accadendo. Nei casi etnografici considerati, circoscrizioni locali di manifestanti facevano parte di movimenti che protestavano in centinaia di altre località simultaneamente: la costante produzione e condivisione di dati tra i singoli gruppi contribuiva ad alimentare la forza del movimento e prolungarne la longevità, ottenendo anche di attirare nuovi manifestanti nel luogo fisico della protesta. I nuovi media contribuirebbero anche a definire l'identità dei network coinvolti. La stessa aggregazione degli individui sarebbe un atto performativo per cui questa giungerebbe a concretizzarsi111. Questa ipotesi è supportata dalle parole di alcuni manifestanti di #Occupy Boston, che alla vigilia dello sgombero sostengono una difesa dei perimetri dell'accampamento, affermando come al suo interno si siano creati un forte senso comunitario e una condivisione di ideali112.
Un errore dal quale Juris mette in guardia è quello di credere che le logiche di aggregazione giungano a soppiantare quelle di networking, in una sorta di processo evolutivo; il loro impiego continua ad essere fondamentale nelle fasi preliminari e organizzative dei movimenti, che nell'ottenere visibilità e concretizzarsi entro spazi fisici utilizzando i nuovi strumenti digitali, passerebbero poi ad impiegare le logiche di aggregazione113.
Un’altra tendenza fuorviante identificata da Juris è quella a polarizzare la discussione attorno a punti di vista tecno-ottimisti e tecno-scettici, dai quali prende contemporaneamente le distanze. La prima tendenza porterebbe a sottovalutare l’importanza delle narrazioni sociali e politiche articolate nei luoghi delle proteste, per credere erroneamente che i social media siano il principale motore di questi movimenti, ignorando ad esempio come non tutti i manifestanti utilizzino degli smartphone o esercitino una presenza digitale (errori di questo tipo sono stati
110Juris, op.cit., p.266. 111Juris, op.cit., p.267. 112Juris, op.cit., p.270. 113Juris, op.cit., p.261.
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compiuti parlando del ruolo giocato da Twitter nelle proteste egiziane e tunisine). La seconda tendenza ridurrebbe i social network a dei veicoli di condivisione delle notizie, leggendoli nei termini di semplici tecnologie che velocizzano la circolazione di informazioni, e ignorandone il contributo nella definizione dell’assetto delle proteste. Ciò che l'analisi di Juris si ripropone è di determinare come protesta fisica e comunicazione digitale divengano complementari nelle nuove forme di attivismo costituitesi negli ultimi anni114.
Il modello di interpretazione teorico appena riportato troverebbe conferma nell'esperienza etnografica di #Occupy Boston, movimento d’altronde originatosi con un tweet postato da un’attivista della città, che partecipando alle proteste di Wall Street avrebbe tentato di replicarne il successo richiedendo ai suoi concittadini di trovarsi il 27 settembre 2011 per definire un’occupazione della città. Due giorni dopo, le prime proteste avrebbero cominciato ad animare Boston sotto forma di marce e cortei, mentre l’occupazione vera e propria, come indicato, si sarebbe articolata a partire dal 15 ottobre115.
La presenza fisica dell'accampamento in Dewey Square assolverebbe quindi a un'esigenza di compattare il gruppo e definirne l'identità, e ne preverrebbe la disgregazione. Juris osserva come non si possa parlare di logiche di aggregazione nel merito di una protesta che si articoli ed esaurisca in una giornata, ma sia necessaria una presenza costante e spesso temporalmente non definita perché ciò accada: la piazza di Boston è occupata per due mesi, ma se non si fosse verificato lo sgombero l'occupazione sarebbe continuata. L'illegalità dell'occupazione ne garantisce poi una certa forza a livello di impatto sui media, e ha senso nell'ambito della protesta articolata da #Occupy116, ma d'altronde rende i gruppi vulnerabili a provvedimenti legali, condannandoli a una dimensione di precarietà. Qualora volessero stabilizzare la propria azione sul territorio, e prolungare indefinitamente la propria presenza, Juris suggerisce che i gruppi dovrebbe “reinventarsi” per adattarsi alla nuova realtà che andrebbe così costituendosi. Il ricercatore ipotizza che una soluzione potrebbe essere quella di oltrepassare il modello dell'accampamento legandosi a gruppi locali già presenti in maniera stabile sul territorio, come associazioni comunitarie di quartiere, gruppi che rappresentino minoranze etniche o religiose (che facilmente potrebbero rientrare in quel 99% che i manifestanti di #Occupy tentano di tutelare). Il suggerimento avanzato da Juris non è casuale, dal momento che questi tentativi di costituire rapporti con gruppi già presenti sul territorio avevano iniziato a prendere piede a
114Juris, op.cit., p.260.
115Juris, op.cit., pp.261, 262. 116Juris, op.cit., p.268.
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Boston poco prima dello sgombero. Ciò che Juris ipotizza è quindi l'evoluzione di un modello che stava già andando a costituirsi117.
117Juris, op.cit., pp.269-270.
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4.Resoconto etnografico del periodo passato osservando la CPPP.
Fino a questo momento ho tentato di contestualizzare l’iniziale diffusione del pastafarianesimo negli Stati Uniti, e di tratteggiare le modalità del suo arrivo in Italia, la nascita della CPI e la costituzione – pur indipendente – del nucleo pastafariano di Padova.
Ciascuno di questi eventi si è verificato precedentemente l’inizio della mia attività di ricerca, e non ho quindi potuto osservarlo direttamente. È nel capitolo che segue che esporrò i dati raccolti sul campo, iniziando con l’introdurre gli elementi più generali della fede pastafariana entro la CPI così come ho avuto modo di vederli vissuti, per poi restringere il focus attorno allo scenario padovano nel quale mi sono trovato a muovermi. Cercherò di porre l’accento sul modo in cui la fede pastafariana vive il territorio in cui si muove, come si rapporta e relaziona ad esso e quanto peso assume al suo interno il percorso individuale di ciascun fedele. Dal momento che la mia attività di ricerca si è articolata attorno alla partecipazione a singoli eventi, cercherò quindi di offrire una suddivisione di quelli osservati a seconda che siano parte del calendario liturgico pastafariano, siano stati organizzati dalla CPPP, oppure siano iniziative organizzate da terzi, cui i fedeli pastafariani si sono aggregati.